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 2025  aprile 27 Domenica calendario

Il tono dei classici non è la lezione ma la conversazione

La lingua italiana è molto generosa di sinonimi per quanto riguarda quei testi che si accompagnano ai libri informando i potenziali lettori sul loro contenuto e cercando di invogliarli all’acquisto. Che si chiamino bandelle, o risvolti, o alette, queste presentazioni editoriali (di norma anonime) sono diventate un vero e proprio genere letterario, con le sue regole e i suoi trucchi, appartenente al più vasto insieme di quelli che Jorge Luis Borges definì testi prigionieri, perché devono accontentarsi dei ferrei limiti di spazio a loro disposizione, sfruttandoli al meglio. Non mi addentrerò nel complesso tema della brevità e dei suoi inestimabili benefici psicologici ed estetici, accontentandomi di ricordare che in questo tipo di scrittura, che in fin dei conti è un ibrido di critica letteraria e pubblicità, è la quantità a produrre la qualità. Più risvolti scrivi, insomma, e più impari il difficile mestiere.
La letteratura italiana può vantare alcuni maestri meritevoli di studio: l’importante è che non si cerchi mai di imitarli pedissequamente! Tra i primi nomi che mi vengono in mente, ci sono quelli di Italo Calvino e di Roberto Calasso, per citare due forme di intelligenza opposte e complementari; e naturalmente quel principe della bandella, quell’infallibile pifferaio magico che fu Pietro Citati. La follia degli antichi è la raccolta di tutti i testi che Citati ha scritto, tra il 1974 e il 2005, per la collana dei classici greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla: impresa editoriale ormai celebrata in tutto il mondo, per la quale il grande critico ha speso, per una parte così importante della sua vita, tempo ed energie non inferiori a quelli dedicati ai suoi libri. Chiunque abbia conosciuto e frequentato Citati può testimoniare quanto ci tenesse, a ogni singolo volume della collana, vegliato in ogni minimo particolare come un’ostetrica durante un parto complicato. E questa raccolta è arricchita da una preziosa testimonianza di Piero Boitani, degno successore al timone di questa ormai ricchissima cartografia del sapere antico e medievale, che è diventata uno scrigno insostituibile di conoscenze storiche e letterarie.
Si potrebbe pensare che, di fronte alla complessità delle introduzioni, delle traduzioni e dei commenti, spesso poderosi, quella di scrivere un risvolto at-traente fosse l’ultima delle preoccupazioni. Ma Citati è stato uno degli uomini di cultura del suo tempo più sensibili alle aspettative e ai desideri di quel «lettore comune» che è costantemente evocato nelle presentazioni di questi libri, si tratti dell’Odissea e dell’Eneide, o delle splendide vite dei primi eremiti cristiani affidate ai racconti della Storia lausiaca, o ancora delle corrusche e angosciose cronache degli ultimi anni di Bisanzio.
Già, ma chi è questo «lettore comune», ai quali vengono proposti dei commenti ai testi classici e tardo-antichi così minuziosi e abbondanti, firmati dai maggiori specialisti in materia, di ogni parte del mondo? Lungo tutta la sua laboriosa esistenza, interamente pervasa dal piacere bulimico di leggere, Citati non ha mai nascosto, né a sé stesso né ai suoi tantissimi lettori, che la conoscenza, se non ha nulla in sé di necessariamente pedante, è una strada in salita, piena di tornanti e insidiose biforcazioni. Se c’era una cosa che lo mandava su tutte le furie, era l’idea di una divulgazione semplificatrice, intesa come il futile sforzo di indorare una serie di amare e indigeste pillole filologiche. L’idea che aveva della critica e del giornalismo culturale era del tutto diversa. In qualunque cosa scrivesse, quello che fondamentalmente cercavo era un tono di conversazione tra persone colte, capaci di guardare alla letteratura, all’arte, al pensiero come all’unica prova dell’esistenza di un mondo comune, al di là della solitudine dei singoli.
Ecco, chi non avesse mai letto un saggio o un articolo di Citati e si trovasse per le mani questa Follia dei classici potrà trovarci una serie di sintesi critiche che sembrano, per la ricchezza degli spunti e la sovrana scorrevolezza dello stile, altrettante miniature di libri ben altrimenti poderosi. Colpiscono certe formule memorabili e provocatorie (come quando definisce Gli uccelli di Aristofane «la più bella commedia di tutti i tempi» o i passi su Omero della Poetica di Aristotele «la più grande pagina di critica letteraria che sia stata mai scritta»).
Tipici di Citati, poi, sono gli improvvisi ponti tra l’antico e il moderno, tanto arbitrari quanto credibili. Ecco ad esempio Serse, nel risvolto dell’ottavo volume delle Storie di Erodoto, che assiste alla battaglia di Salamina «seduto in trono sulle pendici del monte Egaleo, come un personaggio di Kurosawa». E se a Citati veniva quasi naturale, presentando il primo volume delle Metamorfosi di Ovidio, ricordare che si trattava del libro «che per la sua leggerezza, rapidità, esattezza e molteplicità Calvino affidava al terzo millennio», davvero geniale, nella sua gratuità, è l’idea di un Robert Musil lettore della Vita di Mosè di Gregorio di Nissa: l’autore dell’Uomo senza qualità avrebbe ammirato, nel severo teologo del IV secolo, «quello che sognava, e non fu in grado, di fondare: non una mistica della stasi, ma una mistica dell’ininterrotto movimento». Si potrebbe sempre obiettare che il problema non si pone, perché Musil non poté mai ispirarsi a un autore che non conosceva; ma per Citati, i singoli scrittori, le epoche e i generi letterari confluiscono nello stesso sterminato libro, dove il possibile e l’impossibile formano un’unica trama iridescente di illusioni e di sapienza.