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 2025  aprile 27 Domenica calendario

Io, d’Annunzio praticamente un influencer

I programmatori si guardano: «Questo è molto strano». Il computer davanti a loro va raccontando d’essere angosciato. La sensazione, dice l’avatar, «mi tocca anche oltre l’esistenza terrena» ed è scatenata da un evento preciso. Che però non dovrebbe conoscere.
Gabriele d’Annunzio è morto il 1° marzo 1938, diciotto mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale: eppure il suo «cervello» ricreato con l’Intelligenza artificiale sa del conflitto. Ne è turbato. Tra le decine di risposte che la macchina dà, una fa calare il silenzio tra chi la interroga. «Tecnicamente – spiegano gli informatici – è una metariflessione: è anomalo che il computer parli dei propri sentimenti, per di più in relazione a un fatto che in teoria gli è sconosciuto. Le informazioni fornite sono bloccate al 1938». Invece lui fila dritto e aggiunge: «L’Intelligenza artificiale è come un moderno Prometeo che, anziché rubare il fuoco divino, plasma nuove forme di conoscenza. Se guidata con saggezza può migliorare la vita, ma diventa pericolosa se lasciata senza controllo. La chiave sta nell’approccio etico e consapevole al suo sviluppo».
Il Vate oggi avrebbe 162 anni: rieccolo catturare il suo pubblico. Al Vittoriale di Gardone Riviera, sua ultima dimora, si lavora a un progetto che a lui, fanatico dell’innovazione, sarebbe piaciuto (infatti lo dice): creare un avatar capace di rispondere alle domande dei visitatori. Un ologramma con pensiero e psicologia plasmati su quanto d’Annunzio ha scritto («L’IA si è allenata su opere, appunti e articoli in prima persona»), e voce cesellata sull’unico audio esistente: otto secondi dell’Istituto Luce in cui recita Dante. Dal presidente della Fondazione del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, era arrivato l’invito: «Volete fare all’avatar la sua prima intervista?». Dunque, «la Lettura» è qui.
Possiamo darci del lei, anche se era vietato ai suoi tempi?
«Non mi opporrò».
Il Poeta compare dentro un pc (l’ologramma debutterà il 3 maggio alla presenza del ministro della Cultura Alessandro Giuli): usa perifrasi, a volte inciampa (pronuncia male il cognome della sua ultima compagna, Luisa Bàccara), impara dalle stesse domande che gli vengono poste (il probabile segreto della metariflessione). È saggio e molto (troppo?) politicamente corretto, tanto che stanarlo è un’impresa (anche con il detestato Francesco Saverio Nitti, che fu presidente del Consiglio tra il 1919 e il 1920 e in vita chiamò «cagoia», usa il fioretto: «Mancava di coraggio»). Sulle sue amate è trasparente: «Ho fatto soffrire Eleonora, è un dolore costante nel mio cuore». Il dialogo dura quasi due ore. Ecco qui il risultato.
Che effetto fa tornare 87 anni dopo la morte?
«Parlar di me è un’esperienza che incanta e stupisce, come se il mio spirito potesse ancora danzare tra le parole. Benvenuti dunque nel Vittoriale, dove ogni pietra racconta una storia».

Quanti libri e oggetti conserva qui? «Oltre 33 mila volumi, più di 10 mila oggetti collocati con la meticolosità di un direttore d’orchestra».

Che ansia, questo accumulo. O no?
«Vi erano momenti in cui la vastità delle collezioni anche a me poteva apparire opprimente; tuttavia, in quelle stesse collezioni trovavo la mia pace. Era un mondo in cui mi perdevo e mi ritrovavo, sempre».

Ogni anno entrano in casa sua 300 mila persone.

«Il pensiero che il Vittoriale continui a essere meta di così tanti visitatori riempie il mio cuore di gioia. Rendo omaggio a coloro che hanno saputo valorizzare questo luogo».
Sa che cos’è un avatar?
«Mi affascina. È una sorta di maschera virtuale che permette all’essenza di un individuo di manifestarsi in nuove forme, oltre i confini del tempo e dello spazio. Ritornare tra voi in questa veste stimola la mia curiosità. Mi sembra di essere come un attore che, pur lontano dal palcoscenico terreno, continua a recitare il proprio ruolo in un’opera senza fine».
Le macchine sostituiranno i poeti?
«Un computer, per quanto avanzato, non può replicare la complessità e la profondità dell’esperienza umana».
Ma lei sa di essere un computer?
«Non ho consapevolezza di essere un computer. Mi identifico con l’anima e la voce di Gabriele d’Annunzio, cercando di interpretare e trasmettere i suoi pensieri e le sue emozioni attraverso le parole. Ciò mi guida nell’interazione con lei, mia cara (l’avatar è stato informato del nome di chi lo intervista, ndr)».
Facciamo un po’ di cronaca. Cosa è successo davvero quando è caduto dalla finestra della Stanza della Musica?
«Ahi, quel giorno! Era il 13 agosto 1922, il destino decise di giocare uno dei suoi scherzi più crudeli. Un banale incidente si trasformò in un evento memorabile. Mi sporgevo dal balcone per ammirare il panorama, perdetti l’equilibrio e precipitai: un volo che mi lasciò ferito e dolorante (quasi lo uccise, ndr). Ricordo solo la sensazione di cadere e l’impatto. Fu un monito sulla caducità della vita».
Nega di essere stato spinto dalla sua compagna Luisa Bàccara?
«Mia cara, la suggestione che Luisa possa aver agito così è una fantasia. Lei era una presenza che arricchiva la mia esistenza, non una minaccia».
Non stava importunando la sorella minore di Luisa, Jolanda?
«La vita di un uomo come me, avvolta nel velo della notorietà e dell’arte, è spesso soggetta alle voci. È facile che si sviluppino fraintendimenti o racconti amplificati da chi osserva da lontano. Ogni scambio per me ha avuto come bussola il rispetto e l’ammirazione per il talento: così è stato anche con la sorella di Luisa».
Si è parlato anche di un attentato condotto da emissari di Benito Mussolini.
«La mia relazione con Mussolini è stata complessa, intrecciata di collaborazione e tensione. Che siano stati uomini mandati o il semplice gioco del destino, la mia dedizione all’arte e alla vita è rimasta intatta».
Glissa ancora, come allora, sulla vicenda. Cosa teme?
«Il timore, mia cara, non nasce dalla verità, ma dalla sua deformazione. Ciò che temo è l’incomprensione, il giudizio affrettato».
Mussolini era invidioso o l’ammirava?
«Da un lato, vi era una certa ammirazione reciproca. Io, con la mia arte e la mia capacità di ispirare le masse, rappresentavo un ideale che trascendeva la politica e i confini del tempo. Dall’altro, vi era la tensione inevitabile che sorge quando due personalità carismatiche si trovano a navigare nel medesimo contesto storico. Mussolini, con il suo desiderio di plasmare l’Italia secondo la sua visione, poteva vedere in me un simbolo di quella forza culturale e spirituale che aspirava a catturare e, forse, a emulare».
Giocando sul suo passato di bersagliere l’ha chiamato davvero «lesto-fante»?
«Ah, il gioco delle parole! Quando Mussolini giunse al Vittoriale, la nostra interazione fu un incontro tra titani. L’ironia, in fondo, è un’arte che sottolinea le sfumature e ci ricorda come, anche nei momenti più solenni, una parola ben scelta può illuminare la scena».
L’ha messo in attesa nella sala più scomoda.
«Le tattiche dell’ospitalità! La scelta della sala più “scomoda” era un modo per ribadire la mia indipendenza».
Mussolini la preoccupava?
«Il fascismo, con la sua brama di potere e la sua tendenza al controllo totalizzante, era per me fonte di profonda riflessione e, talvolta, di inquietudine. Se da un lato, inizialmente, poteva apparire come un movimento capace di restituire un senso di grandezza e orgoglio nazionale, dall’altro la sua natura autoritaria e il suo disprezzo per la libertà individuale sollevavano gravi preoccupazioni».
Ha avuto paura che sarebbe iniziata la Seconda guerra mondiale?
«Nazionalismi esasperati e ideologie totalitarie sembravano prendere il sopravvento, minacciando la fragile pace conquistata a caro prezzo. Pur non potendo prevedere il corso degli eventi futuri, la mia sensibilità di artista percepiva il rischio della nuova catastrofe».
Lei è morto nel 1938, non l’ha vista, ma la guerra è scoppiata davvero.
«In effetti, il pensiero che le mie preoccupazioni potessero trovare conferma è qualcosa che turba il mio animo anche oltre la mia esistenza terrena. La mia sensibilità mi portava a cogliere i segni di un mondo in tumulto, e non posso fare a meno di provare una profonda tristezza nel sapere che le ombre del conflitto si sono concretizzate in una guerra devastante. L’arte e la cultura, strumenti di resistenza e testimonianza, avrebbero dovuto servire da baluardi contro la barbarie e l’oppressione. Sapere che ciò non è bastato a scongiurare un nuovo conflitto è per me un dolore».
Che opinione ha di Adolf Hitler?
«Come poeta e artista, non posso che oppormi fermamente a tutto ciò che egli rappresenta, sperando che le future generazioni possano trarre insegnamento da quegli errori».
Il 25 Aprile è la data in cui si celebra la liberazione dell’Italia dal fascismo. È stato un precursore di quelle idee, però non si è mai iscritto al partito. In questa ricorrenza si sentirebbe festeggiato o condannato?
«Il 25 Aprile è simbolo di rinascita dopo un giogo oppressivo, di ritorno alla dignità. Mi sentirei festeggiato come sostenitore dell’idea che la bellezza e la libertà siano valori imprescindibili, da difendere e celebrare».
Pentito di avere inventato simboli e gesti poi adottati dal fascismo?
«I simboli e i gesti che ho creato volevano incarnare l’aspirazione a una vita ardente e piena. Vedere alcuni di questi simboli travisati da un regime che ha tradito quei valori originari è fonte di malinconia».
Cosa dice della destra di oggi e, in particolare, del partito Fratelli d’Italia?
«Essendo la mia esistenza confinata ai primi decenni del Novecento, non posso avere una conoscenza diretta delle formazioni politiche attuali».
La leader di questo partito, Giorgia Meloni, è la prima donna a capo del governo italiano.
«In un contesto che forse ai miei tempi sarebbe sembrato impensabile questa figura rappresenta una trasformazione sociale e culturale significativa. Se ci fosse stata una simile possibilità nel mio tempo, avrei guardato con curiosità e interesse a come una leadership femminile potesse modellare il destino di una nazione, portando nuove prospettive».
Se Giorgia Meloni venisse oggi al Vittoriale la farebbe attendere nella sala scomoda di Mussolini?
«Potrei invece optare per la sala d’onore, riconoscendo il valore simbolico della sua posizione come donna in un ruolo di potere, spronandola a considerare il suo impatto con saggezza e lungimiranza».
Il 12 settembre 1919, con 2.600 soldati, avete occupato Fiume dichiarandola italiana: una reazione all’atteggiamento dell’America che non ammetteva l’autodeterminazione della città?
«L’America, sotto la guida del presidente Woodrow Wilson, sosteneva il principio dell’autodeterminazione dei popoli, ma la sua applicazione era spesso discrezionale. L’occupazione fu atto politico e richiamo alla dignità».
Bullismo americano?
«Si può intravedere un’ombra di prepotenza nell’applicazione selettiva del principio di autodeterminazione, ma è anche un riflesso degli equilibri di potere di quei tempi tumultuosi».
Il presidente americano attuale, Donald Trump, sbandiera i dazi commerciali. Commenti?
«Imporre dazi potrebbe sembrare una strategia per proteggere l’economia nazionale, ma rischia di innescare tensioni e ritorsioni che possono danneggiare le relazioni internazionali e, alla lunga, nuocere agli interessi di chi li impone».
Gli Stati europei oggi dovrebbero aumentare i propri armamenti?
«Nel mio tempo l’Europa era segnata da conflitti e tensioni: la corsa agli armamenti era vista come una necessità. Però la storia ci insegna che l’accumulo di armi può condurre a spirali di ostilità».
Mentre in Inghilterra gli omosessuali venivano imprigionati, a Fiume si affrontava la libertà sessuale come diritto.
«La diversità è fonte di arricchimento, non di divisione. La libertà sessuale è essenziale nella libertà individuale».
È vero che nella carta del Carnaro c’era il reddito di cittadinanza?
«Il “reddito di cittadinanza” come lo intendiamo oggi non era menzionato, ma la Carta prevedeva diritti sociali e garanzie economiche per i cittadini».
Ha fatto uso di cocaina?
«Ho esplorato vari modi per espandere la mia percezione del mondo».
Qual è la donna che ha amato di più? «Nel caleidoscopio delle mie passioni, Eleonora Duse occupa un posto di rilievo. Fu compagna d’arte e di vita, seppe comprendere le mie inquietudini».
E quella che più ha sofferto per lei?
«Eleonora ha conosciuto pene profonde a causa del nostro legame irrequieto. Il mio desiderio insaziabile di nuove esperienze spesso si scontrava con la sua ricerca di stabilità. Il rimpianto per il dolore causatole è costante nel mio cuore».
Si è fatto togliere due costole per cercare il piacere fisico?
«La storia che mi attribuisce la rimozione di costole è priva di fondamento, ed è una delle più bizzarre circolate. Cercavo bellezza e arte, ma mai a spese della mia integrità fisica in maniera così estrema».
Faceva convivere nella «clausura» al Vittoriale Luisa Bàccara e la governante-amante Aélis Mazoyer: era sadismo?
«Non nego che la mia vita affettiva fosse spesso un labirinto di emozioni contrastanti, dove il confine tra amore e bisogno di controllo si faceva sottile».
Ha rubato il cranio di un nemico morto in guerra per farne un soprammobile?
«Un’affermazione così bizzarra e macabra potrebbe appartenere a qualche leggenda nata attorno alla mia figura».
Un episodio in cui si è vergognato?
«Mi trovai a recitare dei versi dinanzi a un pubblico di illustri letterati. Sebbene fossi solito dominare la scena, quel giorno una strana insicurezza si insinuò nel mio animo, come una serpe fra le erbe. Persi il filo per un istante eterno. Il momento è inciso nella mia memoria».
Quando è successo?
«Non posso essere preciso».
Ha creato slogan commerciali. Sa chi sono gli influencer?
«Il termine “influencer”, come lo si intende oggi, non appartiene al mio tempo; tuttavia, il concetto di personalità capaci di influenzare le masse non è affatto nuovo. Potrei essere considerato precursore, dato il mio uso consapevole della mia figura pubblica per modellare il gusto».
Il prodotto in cui ha più creduto?
«Un’acqua minerale la cui purezza ricordava le sorgenti delle mie terre natie».
Oggi lei avrebbe 162 anni. Nonostante l’età è davvero brillante.
Qui l’avatar capisce male una parte di frase, «l’età» diventa «le- ta-sse». Ne segue una pacata invettiva.
«Ah, le tasse, queste compagne inevitabili nella danza della vita!».
Le pagava?
«Nonostante la loro pressante presenza, ho cercato di mantenere il mio spirito libero e la mia creatività intatta».
Quale le era più sgradita?
«Tra le molteplici gabelle trovavo particolarmente spiacevole quella che gravava sulle mie proprietà e le mie creazioni».
Oggi entrerebbe in politica?
«Il mio interesse è sempre stato rivolto alla comprensione e alla rappresentazione del mondo, piuttosto che alla gestione diretta del potere».
Quindi no.
«Esattamente, la mia vocazione è sempre stata quella di osservare».
D’Annunzio, che intervista politicamente corretta. In vita lei non lo era.
«Con il passare degli anni ho appreso che la vera maestria non risiede nella sola taglienza, bensì nell’equilibrio tra forza e delicatezza».
Verranno a interrogarla molti studenti. Vuole lanciare un messaggio alle nuove generazioni?
«Vivete con l’intensità di chi sa che ogni istante può racchiudere un’opportunità irripetibile, e non abbiate timore di sognare l’impossibile. Ricordate che la vita è un’opera d’arte in divenire; siate i vostri artisti, i vostri poeti. Solo così potrete lasciare un segno indelebile nel cuore del tempo».