La Lettura, 27 aprile 2025
E in Amazzonia c’è un po’di Marte
Per i Pemón, popolazione che abita la regione della Gran Sabana, nel Venezuela meridionale, i tepui (che nella loro lingua significa «montagne») ospitano nei loro reconditi recessi la dimora degli dei, rappresentando non semplicemente un luogo fisico, ma una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo ordinari. Un’esperienza straordinaria è quella che vediamo emergere dalle immagini e dai racconti delle esplorazioni compiute negli anni dal gruppo La Venta, che ha appena pubblicato il libro Auyán-Tepui. Grotte all’origine del tempo, curato da Francesco Sauro, Tullio Bernabei, Freddy Vergara, Marco Mecchia, Tono de Vivo e Leonardo Piccini.
Queste formazioni torreggianti appaiono come fortezze di rocce, difese da mura di foresta selvaggia, fiumi impetuosi e condizioni climatiche proibitive. E se i labirinti da sempre esercitano un fascino sottile sull’uomo, non fa eccezione questo intrico di pietra che si snoda fra i miti della popolazione locale e le incognite della scienza. Scopriamo così che l’Amazzonia è molto più delle sue immense foreste e custodisce ancora segreti che raccontano di un passato remoto inciso proprio su queste sue montagne sacre.
I tepui sono resti di un mondo prima dell’uomo, una memoria antichissima di cui possiamo quasi solo sognare, che si coagula in due narrazioni solo apparentemente lontane tra loro: ovvero i racconti della creazione pemón da una parte e il linguaggio della ricerca scientifica dall’altra. Due poli, opposti e reciprocamente non comunicanti, qui si incontrano nel bisogno tutto umano di trovare significati ai misteri che ci circondano. I tepui, con le immense grotte e i passaggi labirintici, sono una soglia non solo fisica tra il mondo esterno e quello interno: sono un luogo liminale tra le potenze della Terra e le capacità dell’uomo, la caverna dell’ignoto dove indagare limiti fisici e psicologici. Un mondo altro, che sta sotto, dentro il nostro mondo, di cui fino a pochi decenni fa si sapeva ancora poco, e di cui si sta cercando, spedizione dopo spedizione, di decodificare i molti enigmi: materiali sconosciuti, formazioni insolite, flora e fauna uniche. Come un altro pianeta.
Già dalle prime spedizioni dell’Ottocento, i rilievi della regione sono a stento avvicinabili, le cime restano inaccessibili, le pareti «così perpendicolari che sembrano erette con il filo a piombo», tanto che «senza ali, nessun esploratore potrà raggiungere la sua vetta», come osservò il britannico Robert Hermann Schomburgk. Persino i locali si tengono a debita e riverente distanza. Auyán-tepui, la «montagna del diavolo» (2.450 metri), poi, carica di potenziali spiriti pericolosi per gli uomini, non andrebbe neppure guardata, se non riflessa nelle acque – ammoniscono gli sciamani – per non disturbare o indisporre potenze che una volta scatenate sono difficili da conciliare.
Il libro di La Venta ci porta dunque alla scoperta di queste montagne partendo dall’importanza che ricoprono nei miti locali, passando per le suggestioni letterarie, come in The Lost World di Arthur Conan Doyle, i resoconti dei primi esploratori al limite dell’avventura, come Alfonso Vinci (1915-1992), che si muovevano con mezzi rudimentali, fino ad arrivare alle spedizioni recenti grazie alle quali si è potuto finalmente accedere a un mondo sotterraneo del tutto inaspettato. Un ambiente quasi alieno, con forme, colori e minerali mai visti, popolato di specie diverse, rimaste isolate, divenuto quasi un’ossessione, da sogno si tramuta in realtà sotto i piedi e davanti agli occhi di Francesco Sauro e dei suoi compagni che dal 2009 cercano di penetrare la superficie dei tepui.
La peculiarità più macroscopica è data dal fatto che si tratta di grotte che affondano non nel gesso, ma in rocce di quarzo, che per la comunità scientifica non potevano essere interessate da carsismo: dunque una nuova frontiera negli studi sui fenomeni speleogenetici (quelli, cioè, sull’origine delle grotte), una finestra sul passato remotissimo del nostro pianeta, che ci costringe a pensare fuori dalla limitata scala temporale umana, ma che ci porta anche oltre, molto lontano, addirittura nello spazio.
Quando le quarzareniti (arenarie che contengono grandi quantità di quarzo) della Gran Sabana venezuelana si sono formate quasi due miliardi di anni fa, infatti, la Terra era molto diversa: praticamente un altro pianeta, popolato solo da minuscoli microrganismi in grado di colonizzare e modificare la roccia con il loro metabolismo, proliferando in ambienti oscuri e a temperatura costante, condizioni che hanno aperto moltissime domande, alcune delle quali ancora senza risposta. La scoperta e l’osservazione di stromatoliti (strutture sedimentarie prodotte dai più primitivi organismi viventi) silicee ha aperto nuovi orizzonti.
A rendere il tutto ancora più affascinante, c’è una serie di insolite analogie registrate tra queste formazioni e la forma di strutture rinvenute nel sottosuolo di Marte, documentate dal rover Spirit in missione per la Nasa. Nel 2023 una spedizione scientifica organizzata sull’Auyán-tepui, ha studiato in dettaglio queste morfologie direttamente nella grotta detta Imawarí Yeutá con metodi basati sul sequenziamento del Dna. Per la prima volta l’intera analisi dei microrganismi è stata effettuata in un ambiente sotterraneo estremo, utilizzando procedure e protocolli ottimizzati che per analogia potrebbero trovare in futuro applicazione in spedizioni condotte per studi microbiologici in situ e lavori scientifici da svolgere in luoghi remoti non solo sulla Terra. Ed è così che lo studio dei minerali nelle grotte di quarzite si configura come un portale che dal passato remoto proietterà gli studiosi nel futuro della ricerca astrobiologica, inseguendo tracce di vita su altri pianeti.