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 2025  aprile 27 Domenica calendario

La colonizzazione della Luna. Abbiamo (più di) un problema

Se restano ancora molti problemi da affrontare per sbarcare su Marte, l’obiettivo della Luna resta il più vicino, non solo in senso fisico. «Diciamo però che se ora tagliano il budget della Nasa del 30 per cento, tutto diventa più difficile», commenta Patrizia Caraveo, una tra le più note astrofisiche italiane, dirigente di ricerca all’Inaf, Istituto nazionale di astrofisica, impegnata in varie missioni Nasa ed Esa, e autrice del saggio Ecologia spaziale (Hoepli). A «la Lettura» spiega progressi e problemi delle missioni spaziali, a partire dal programma Artemis della Nasa, avviato nel 2017, durante la prima presidenza di Donald Trump, con lo scopo di riportare l’uomo sulla Luna e, a lungo termine, di stabilire una base autosufficiente da cui partire per raggiungere Marte. Artemis 1, senza equipaggio, è stata lanciata nel novembre 2022; Artemis 2, con equipaggio, dovrebbe partire nel 2026.
La missione Artemis
Lo scopo di Artemis è portare l’uomo a colonizzare la Luna, ma il primo problema è adattarsi all’ambiente lunare, spiega l’astrofisica: «Ad esempio, imparare a utilizzare le risorse locali per costruire qualche tipo di rifugio: chi arriva lì (e questo vale per la Luna e anche per Marte) deve vivere in un ambiente pressurizzato. Inoltre, a meno che non si trovino i famosi tunnel di lava, cioè tunnel sotterranei sulla superficie lunare in cui si potrebbe sistemare un habitat gonfiabile, occorre costruire una “casetta”, anche gonfiabile, ma con una protezione robusta: sulla Luna (e in minor misura anche su Marte) non c’è la protezione dell’atmosfera. Qualsiasi tipo di sassolino celeste che nell’atmosfera terrestre brucia, lì può fare danni. Per la salute degli astronauti c’è anche l’enorme problema delle radiazioni cosmiche. Sulla Terra abbiamo il campo magnetico che ci protegge, ma gli astronauti, sia durante i viaggi interplanetari che durante la permanenza su altri corpi celesti, sono esposti alla radiazione cosmica (raggi cosmici ad alta energia) e ai raggi cosmici di più bassa energia che vengono dai brillamenti solari: questi ultimi sono più cattivi, perché si fermano nelle cellule e le ammazzano. Creano mutazioni nel Dna e altri danni. Sulla prima missione Artemis intorno alla Luna, sono stati sistemati due manichini dotati di rivelatori di particelle per misurare quanta radiazione li colpisce nel viaggio».
Tra i molti strumenti a bordo c’era infatti il BioSentinel, utile a misurare l’impatto delle radiazioni durante i lunghi periodi di permanenza oltre l’orbita terrestre. Questo è un punto critico, non si è ancora riusciti a immaginare un modo efficiente per schermare gli astronauti durante i viaggi più lunghi o la permanenza nello spazio. Ed è una delle difficoltà maggiori per il viaggio verso Marte, che dovrebbe costituire la fase avanzata di Artemis: «Ci vorrebbero grandi quantità di piombo, che è pesantissimo, ma non si può costruire un’astronave di piombo. Bisogna inventare un altro modo: si potrebbe produrre all’occorrenza un campo magnetico locale per schermare gli astronauti. Studi interessanti, ma un conto è esporsi per qualche minuto a una buriana cosmica, già terribile, altro è andare su Marte: ci vogliono sette mesi, e la dose di radiazione è troppo alta».
Anche il viaggio sulla Luna non è così facile come sembra. «Artemis 2 deve rifare quello che ha fatto Apollo 8 nel 1968 – ricorda Caraveo – cioè un giro intorno alla Luna con astronauti a bordo: proverà ancora una volta l’hardware, la capsula Orion, la capsula di servizio, eccetera. Nel frattempo, Elon Musk dovrebbe cercare di costruire degli Starship che non esplodano, visto che ha un importante contratto con la Nasa per portare in orbita lunare la capsula che dovrà fare allunare gli astronauti e farli ripartire. Il progetto Starship ha motori che permettono una discesa controllata sulla Luna: ricordiamoci che sulla Luna si atterra frenando con i motori, perché non c’è atmosfera. Serve una particolare manovra e tutti gli schianti che ci sono stati, in passato e di recente, mostrano che la Luna non scusa nessun errore».
«Fallisci e rifai»
Non bisogna stupirsi se il team di Starship prosegue nel suo lavoro nonostante due fallimenti successivi, con esplosione del modulo. «La filosofia di Elon Musk e di SpaceX è “fallisci e rifai”, mentre Wernher von Braun provava ogni pezzo dei suoi lanciatori e quando li metteva insieme erano un orologio». L’ingegnere tedesco (1912-1977), ideatore del razzo V2 nella Germania nazista, poi naturalizzato americano, fu il padre del programma spaziale statunitense, che portò allo sbarco sulla Luna nel 1969. «Non è mai esploso un lanciatore di von Braun, perché c’era un grande lavoro di test, prima. Qui invece, per fare più in fretta, si è cambiata filosofia: il che non è sbagliato, ogni team ingegneristico ha diritto di decidere la sua filosofia, purché alla fine porti un risultato affidabile e sicuro. Il Falcon 9, che pure è esploso diverse volte prima di trovare la formula giusta (altro esempio della stessa filosofia: sbaglia e rifai), ora è il razzo più usato, lancia più dell’80% dei carichi in orbita».
Non prima del 2027, anche per via degli incidenti di Starship, dovrebbe partire Artemis 3. Prosegue l’astrofisica: «È la missione che dovrebbe portare gli astronauti sulla Luna, quelli che dovevano essere la prima donna e il primo uomo non bianco. Ora, sul sito della Nasa queste interessanti informazioni sono state tolte, perché l’amministrazione Trump è contro ogni iniziativa di diversity equity inclusion. Dopo Artemis 3 dovrebbe partire una serie di altre missioni, per costruire una base lunare. Base che dovrebbe essere al Polo Sud lunare, o lì vicino: impresa non facile, come mostrano i problemi delle navette di Intuitive Machines, che si sono rovesciate una volta arrivate sulla Luna (l’ultima a febbraio). Le fanno alte, perché abbiano più possibilità di essere illuminate dal Sole, visto che ai poli il Sole è basso sull’orizzonte. Comunque: perché allunare ai poli? Perché nei crateri che lì sono sempre in ombra, c’è il ghiaccio. E il ghiaccio è la benzina dello spazio, con il ghiaccio si può ricavare idrogeno e ossigeno, l’ossigeno necessario agli astronauti e l’idrogeno per le celle a combustibile. Così tutti vogliono allunare nello stesso posto: la Nasa, ma anche i cinesi. Il problema è che nessuno può pretendere di essere proprietario di una parte di un corpo celeste, dire “ok, questo appezzamento è mio”, come i minatori del Klondike. È vietato dall’Outer Space Treaty. Quel che si può fare però è dire hic manebimus optime, sono qui e gli altri non possono prendere questo posto».
Inquinamento e «recupero»
Artemis nasce dopo il tramonto di altri progetti di missione verso Marte e verso gli asteroidi, nel corso della prima presidenza Trump. «Ma per i programmi spaziali – riflette l’astrofisica – bisogna fare investimenti a lungo termine. Non è che investo oggi e ho un risultato domani o tra un anno, bisogna investire in modo significativo per diversi anni». I frequenti cambi di rotta creano confusione, commenta Caraveo, che spiega anche altre difficoltà della missione Artemis. «Artemis ha un “peccato originale” che è il lanciatore, lo Space Launch System, Sls, che deve portare la capsula Orion in orbita lunare (dove troverà l’altro equipaggiamento che sarà fornito da SpaceX). Il problema è che il lanciatore Sls è stato pensato per mantenere i posti di lavoro che rischiavano di andare perduti quando ha chiuso il programma Shuttle: riprende una serie di pezzi dei motori dello Shuttle, fornendo contratti per Lockheed Martin, Boeing eccetera. Quindi un lanciatore vecchio, non pensato ex novo, e che, a questo punto, dimostra la sua età. È un lanciatore tutto “a perdere”, viene lanciato e viene tutto buttato via, e ogni lancio costa 4 miliardi di dollari. Mentre il Falcon 9 e Starship (quando funzionerà) sono “a recupero”. L’amministratore designato della Nasa, Jared Isaacman, ha detto che dovranno “trovare il modo di spendere meno per andare sulla Luna e su Marte”. Ecco, alcuni miei amici ingegneri lo definirebbero un wishful thinking».
In un articolo de «la Lettura» #697 del 6 aprile, il fisico Alessandro De Angelis ha illustrato la questione dell’affollamento delle orbite terrestri, con gli 11 mila satelliti, di cui circa 7 mila di Starlink: questi ultimi, per scelta, posti su un unico guscio orbitale, a circa 500 chilometri di altezza. Anche Caraveo mette in guardia dalla congestione del traffico e dai suoi rischi: «Ogni oggetto a quell’altezza va a 8 chilometri al secondo, la velocità necessaria per stare in orbita: la posizione di ciascun oggetto deve essere nota con grandissima precisione e sempre monitorata, perché non ci si può permettere che i due oggetti si avvicinino troppo. Uno scontro spaziale, oltre a distruggere i due satelliti, crea una nube di detriti che a loro volta sono proiettili verso altri satelliti: un processo a cascata che renderebbe letteralmente inutilizzabili le orbite intorno alla Terra: la Sindrome di Kessler». Lo scenario catastrofico, suggerito dall’astrofisico Donald J. Kessler nel 1978, impedirebbe per molte generazioni l’esplorazione spaziale e l’uso dei satelliti artificiali. In mancanza di un organismo internazionale che stabilisca regole, prosegue Caraveo, forse saranno le stesse compagnie spaziali a darsi delle limitazioni. «Oltre a questo problema – prosegue la scienziata – ci sono le preoccupazioni immediate degli astronomi, che temono di avere un cielo pieno di sorgenti luminose in movimento: i satelliti riflettono la luce del Sole e quando si presentano sotto certi angoli diventano brillanti, rendendo inutilizzabili molte osservazioni. Ma gli astronomi osservano il cielo da migliaia di anni e sono estremamente resilienti, sapranno trovare qualche soluzione. Nessuno si sogna di dire che le costellazioni di satelliti siano brutte e cattive, offrono un servizio: la nostra vita dipende dai satelliti, l’economia, ogni transizione bancaria, le previsioni del tempo, le immagini dei carri armati, il grano maturo con l’agricoltura di precisione, fatta con i satelliti. Non ci possiamo permettere di perdere l’utilizzo delle orbite».
Lo spazio «sostenibile»
Altre fonti di inquinamento sono i gas tossici immessi nell’atmosfera a ogni lancio: «Il Falcon 9, il lanciatore più usato, va a cherosene. Che crea pulviscolo, CO2, ma anche composti di zolfo, che si attaccano all’ozono e lo distruggono. Certo, lo strato dell’ozono è resiliente e sa rifarsi, lo abbiamo visto, ma ci vuole tempo. Il Protocollo di Montreal, del 1987, che ha messo al bando i clorofluorocarburi responsabili dei danni allo strato dell’ozono, non parla dei lanci, perché all’epoca il problema non sussisteva. Poi ci sono gli oggetti lanciati in orbita che rientrano nell’atmosfera e vengono vaporizzati dall’attrito; ma le molecole restano: così troviamo già nell’aereosol delle particelle d’alta atmosfera i metalli che provengono dai motori dei razzi. È pericoloso? La risposta è “non lo so”: certo immettiamo nell’atmosfera qualcosa che allo stato naturale non c’è. Dobbiamo capire che l’ambiente in cui viviamo non è solo la superficie della Terra, o l’atmosfera più vicina, ma anche lo spazio esterno, perché là operiamo, lavoriamo e quindi dobbiamo adottare una filosofia di utilizzo sostenibile».
Dovremo preoccuparci anche dell’inquinamento degli altri pianeti: «Andiamo a esplorare altri mondi con sonde automatiche costruite qui, abbiamo fatto ogni sforzo per tenerle pulite, le abbiamo sterilizzate a caldo: non dall’inizio dell’era spaziale, ma da qualche tempo abbiamo sviluppato una certa attenzione in questo senso. Però gli astronauti non si potranno sterilizzare. Dobbiamo fare attenzione a non portare microrganismi terrestri altrove, e a non portarne di extraterrestri qui, perché non sappiamo se c’è un qualche tipo di forma di vita, lo supponiamo, ma non possiamo essere sicuri e non possiamo infischiarcene. Non è questione di temere di essere invasi dagli “omini verdi”, ma dobbiamo ricordare i problemi del progetto Apollo, per non riscoprire l’acqua calda: gli astronauti restarono in una quarantena che, secondo gli storici, ebbe vari problemi di contaminazione. Tutto ciò che arriva dall’esterno, dalla Luna, ma anche dall’asteroide Bennu, deve restare in ambienti stagni, pieni di azoto, senza interazioni con la Terra. Ecco perché (anche se la missione di ritorno è stata cancellata: costava troppo) si stanno pensando dei laboratori di massimo contenimento per i campioni di terreno che torneranno da Marte».