la Repubblica, 27 aprile 2025
Intervista a Edoardo Pesce
Edoardo Pesce, in “Ho visto un re” di Giorgia Farina – in sala il 30 aprile con Medusa – interpreta un podestà fascista che, siamo nel 1936 l’Italia inebriata dalla vittoria in Etiopia, tiene rinchiuso un principe africano in una voliera per costringerlo a tradire il suo popolo. Ma in quel prigioniero suo figlio ci vede Sandokan, il suo idolo salgariano.
«In questa favola ho visto subito un personaggio attraverso cui esprimermi con un tono da commedia, ma non proprio da gag, aprendo la recitazione naturalistica che mi appartiene a venature grottesche».
Un omaggio a certi personaggi dalla commedia all’italiana?
«Sì, senza scomodare Scola o altri grandi, però quel sapore c’è. È un personaggio ottuso, certo, ma anche pieno di sfaccettature. Rappresenta tante cose del periodo fascista: l’opportunismo, ma anche la fedeltà cieca, la mancanza di empatia, anche verso i figli. Un po’ un piccolo Mussolini, un attivista frustrato, con dentro una rigidità assurda. Che in questa chiave da favola diventa anche fragile, ridicolo»
Con la moglie raffinata e colta, Sara Serraiocco, che lo ridimensiona di continuo.
«Lei è un po’ la sua Margherita Sarfatti. E poi c’è il bambino, che rappresenta l’innocenza, il futuro.
È un film scorrevole, delicato, elegante. E come tutte le favole, ha anche un retrogusto un po’ feroce».
Ha visto M. Il figlio del secolo?
«Mi è piaciuto molto. Avevo letto anche i primi due libri. Avevo anche incontrato Joe Wright, penso mi avesse visto in Dogman. Mi aveva proposto il ruolo di Cesare Rossi, uno dei comprimari importanti, il braccio destro di Mussolini. Alla fine, ha scelto un altro attore».
Le è dispiaciuto non esserci, dopo aver visto la serie?
«Un pochino, ma va bene così. Luca (Marinelli ndr.) è stato bravissimo. Ho fatto un incontro, è andata com’è andata. Fa parte del lavoro. Joe Wright è un grande, magari la prossima. In autunno ho in ballo un film tedesco in cui dovrei interpretare due personaggi, due ruoli “alla me”, diciamo».
Che ragazzino è stato, quali avventure l’appassionavano?
«Da piccolo usavo molto la fantasia, ma era più “analogica”. Sono del ’79, quindi leggevo tanto Disney, racconti come Sandokan erano più della generazione di mio padre, io li ho conosciuti in queste versioni a fumetti. Leggevo Topolino, mi piaceva Paperino. Ero piuttosto nerd».
Il bambino del film viene bullizzato, poi reagisce.
«Io ero uno dei leader, mi facevo notare con la simpatia, con le battute. Ho imparato in famiglia dove siamo tanti, quindi ho trovato il mio posto in questo mondo: preparavo barzellette, cercavo di far ridere».
Il fare scherzoso mitigava il fisico imponente?
«Sono un metro e ottantasei. Non sono un gigante, anche se certi ruoli ti ci fanno sembrare».
E poi ha praticato la boxe. Le manca?
«Tantissimo. Ho iniziato sui vent’anni. Con un amico ci allenavamo in una palestra di borgata, gestita da padre e figlio: lavoravano in cantiere e poi, dalle cinque alle dieci, allenavano. Era una palestra con poca gente, molto seria. Non c’era quella retorica dello scontro: oggi vedo molti ragazzi pronti a combattere prima ancora di cercare l’amicizia. La boxe la vedo come una metafora della vita, tragica e poetica. Mi fa pensare a mio nonno, a quando guardavamo insieme Toro Scatenato».
La guarda ancora?
«Sì. Ho anche l’abbonamento specifico per seguire gli incontri. Ho scritto anche a un grande pugile inglese su Instagram, dopo un match intenso, in cui aveva perso. E lui mi ha risposto con abbracci virtuali e tutto. Sono belli i social, in certi casi».
Ha 45 anni, una filmografia ampia. Le esperienze che più le sono rimaste addosso?
«Romanzo criminale è stata una grande scuola. Avevo 27 anni, già fatto delle cose, ma lì ho imparato davvero il mestiere. Due stagioni di set, con Stefano Sollima… È stato formativo. E poi ci sono statiFortunata e Dogman, due momenti importanti. Ma tengo molto anche a Notte fantasma di Fulvio Risuleo, giovane autore molto bravo che non ha ricevuto il supporto che meritava. Vorrei lavorarci ancora».
Lavori in corso?
«Il falsario con Pietro Castellitto, che conoscevo dai tempi di Fortunata. Ho girato con Michela Andreozzi un film in cui sono il padre di un bambino che non è ancora sicuro della propria identità: vuole vestirsi da sirenetta, e questo mette in discussione i genitori».
Che momento è della sua vita?
«Un bel momento. Un giro di boa, diciamo. Mi sento come se avessi cinquant’anni, anche se ne ho quarantacinque. Però va bene così: sono innamorato».