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 2025  aprile 27 Domenica calendario

Gli ultimi Le rose bianche trans, poveri e detenuti per accogliere la salma

Allora ciao. «Gli ho detto ciao come si dice a un fratello che ti è morto, perché lo eravamo. Fratelli, più che amici». «Volevo ringraziarlo per le porte che ci ha aperto», e «mi si è proprio chiuso il cuore», quando ha visto arrivare la grande bara, su per la scalinata di Santa Maria Maggiore, passargli così vicina «e non poterla neanche toccare un’ultima volta». Non era previsto, il cerimoniale papale è rigido, ognuno al suo posto. Dentro la basilica solo i cardinali e gli altri sacerdoti, le guardie svizzere sull’attenti, e alcuni bambini. Gli amati amici, fratelli, figli di Francesco sono rimasti fuori, i quaranta scelti dalle associazioni di carità, che il Papa stesso ha voluto presenti. Quelli della rosa bianca, giusto il tempo di un saluto, e via.
Giovanni, 56 anni: «Avremmo voluto fare di più, e magari entrare. Ma ci hanno detto che la chiesa era già piena. È stato bello lo stesso, ci è dispiaciuto non poterlo salutare meglio». Venti da una parte del sagrato, venti dall’altra, pescati tra le molte categorie dei derelitti veri. Rifugiati politici, transessuali, detenuti, senzatetto come lui, migranti, tutti ugualmente poveri. Gli ultimi. «Per noi il Papa ha fatto tanto, e non è fantascienza. Io ad esempio, ho dormito vent’anni sotto il colonnato di San Pietro, poi ho avuto un posto a Palazzo Migliori, con Sant’Egidio. Quando entro lì, mi sento un nobile, non un barbone». E non si trattava solo di soldi, mense, letti. «Ci ha trattato da uguali. Perché sai, quando sei povero la gente ti guarda male, giudicandoti per quello che hai, non per quello che sei». E se non hai niente, sei un niente, è il ragionamento cristallino di Giovanni. «Invece lui ci invitava spesso a Sant’Anna, e si parlava tra di noi. Era un uomo a cui piaceva anche scherzare, fare le sue battute...».
Tutto questo non succederà più, non nello stesso modo, e questo pueblo variegato e scomodo, di gente che vive ai margini, e sempre in bilico, dapprima sospettoso e poi tranquillizzato dai sorrisi di Francesco, ora ha una paura grande: che le cose cambino, che il nuovo pontefice non li accolga più, non come prima. «Bergoglio non era un uomo falso, infatti ti sorrideva con il cuore. Tanti invece ti dicono “poverino”, poi se ne vanno pensando “chissenefrega di quello lì”. E noi, noi che siamo gli “invisibili”, questo lo capiamo al volo». Perciò gli dispiace non aver potuto lasciare «la rosa bianca che mi è stata consegnata all’arrivo sulla sua tomba. Purtroppo le abbiamo restituite quasi subito, e sono state messe in quattro cestini, consegnati a quattro bambini molto piccoli, che le hanno portate dentro».
Quei bambini le hanno posateproprio all’altare della Madonna Salus Populi Romani, nella grande cappella dove Francesco andava a pregare, e sempre prima di ogni viaggio, e quindi al ritorno. L’ultima volta, nell’ultimo breve tragitto post dimissioni, ospedale- Santa Marta, si è fatto portare lì davanti. Ma è stata solo una breve preghiera dall’auto che lo stava riportando a casa. E così anche ieri, quando il feretro è entrato in basilica, l’hanno posato davanti all’icona per alcuni minuti, e poi ricaricato sulle spalle dei sediari fino alla tomba aperta, nella nicchia luminosa dove starà per sempre (ricavata da uno spazio già ripostiglio, seppure di arredi sacri).
«È stata un’emozione fortissima», raccontava a cose fatte Tamara Castro, argentina come Bergoglio, nata nella regione andina di Salta, e poi arrivata in Italia, per una vita assai disgraziata. «Volevo ringraziarlo per le porte che ha aperto a noi trans, e per essere sempre stato presente. Spero che questo continui, perché così lui voleva», ma come andranno le cose nessuno di loro lo sa. E se qualcuno si è sorpreso della mise di Tamara, quella canottiera della nazionale del suo (loro) Paese, di sicuro non si sarebbe scandalizzato Francesco. «Prima per noi era tutto chiuso, lui ha aperto le porte, ci ha accettato», infatti Tamara è ospite di una piccola comunità gestita dalle suore, che ieri l’hanno accompagnata al sagrato.
E c’era Antonino, ormai volontario di Sant’Egidio. Un uomo sconsolato. «Dieci volte, l’ho incontrato. Oggi è l’undicesima, ma così… E l’ho visto l’ultima volta solo in televisione, era la domenica di Pasqua. Ho visto subito che c’era qualcosa che non andava in lui». E «ci ha sempre detto di aiutare, perché se ci si aiuta in una catena, funziona». Quella solidarietà la conosce Giovanni, «io se ho un euro in più, lo do a chi non ce l’ha», nella moltitudine dei poverissimi che sopravvivono a Roma, e questi sono solo la rappresentanza ufficiale, ieri frastornata dall’enorme fragore che ha travolto la piazza, nel momento preciso dell’arrivo di Francesco. Gli elicotteri sopra la testa, le campane che suonavano a morto, il fischio degli aerei che ricominciavano a passare sopra Roma. «Mi si è chiuso il cuore», diceva Antonino, è stata la stessa cosa per molti altri.