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 2025  aprile 27 Domenica calendario

James Daunt: "Per chi sa già cos a comprare c’è Amazon per tutti gli altri Barnes & Noble"

Perché ha deciso di fare il libraio?
«Appena uscito dall’università sono entrano in una banca americana, la JP Morgan di New York, un lavoro che mi piaceva, ma la mia fidanzata dell’università, diventata mia moglie, lo trovava un lavoro terribilmente noioso. Leggevo tanto e viaggiavo tanto, e ho pensato a come mettere insieme le due cose e nel 1990 ho aperto una libreria».
Qual è la differenza tra le sue librerie e Waterstones?
«Ho lavorato per 21 a Marylebone, in una bellissima libreria piena di libri meravigliosi, con una base di clienti fedeli, in una zona gradevole della città. Waterstones è più democratico e inclusivo, tratta di tutto e va ovunque, dai centri commerciali alle vie centrali delle città grandi e piccole, fino ai villaggi. È un altro modo di vendere libri, ma se lasciate l’autonomia ai librai di ogni negozio loro faranno la migliore libreria adatta al loro ambiente».
Cosa serve per il successo di una libreria?
«Innanzitutto ricordare che vendete libri. Non è follia, Amazon oggi vende soprattutto altre cose e molti miei predecessori hanno cercato di vendere merci che non erano libri. Così si finisce in un circolo vizioso al ribasso, con sempre meno libri a ridurre la qualità del negozio. Riportate i libri, curateli nel migliore dei modi per dare ai clienti quello che cercano, e riconquisterete i clienti. In realtà è tutto molto semplice».
Sfogliare libri è un piacere?
«Sì, il libro è un piacere e il libro fisico rispetto agli e-book e agli audiolibri è attraente come sempre. Le librerie sono importanti come spazi sociali in cui persone di ogni età possono venire e godersi i libri, ciascuno a modo suo. Il nostro lavoro è creare spazi in cui tutti, dal bambino all’anziano, si sentano benvoluti».
Un tempo il libraio consigliava le letture, è ancora così?
«Il nostro legame con i clienti è il cuore di quello che facciamo. Molti sono clienti abituali, li conosciamo bene, sappiamo come si chiamano, cosa leggono, cosa hanno comprato l’ultima volta, cosa piace a loro e ai loro figli. I clienti nuovi vanno accolti e interessati a scoprire le novità. Quasi tutti i nostri librai lo sono per vocazione».
Oggi ci sono più lettori?
«Sì, i lettori sono più propensi all’avventura, comprano di più e leggono di più, il mercato continua a crescere. C’è un’enorme richiesta di fiction e non-fiction straniera, la letteratura giapponese e coreana sta avendo un grande successo, e il mercato più dinamico della fiction è quello latinoamericano. Ogni anno vendiamo sempre più libri».
Più fiction o non-fiction?
«Da quando ho iniziato, un terzo delle vendite è stato narrativa di ogni genere, un terzo non-fiction e un terzo libri per bambini, e questo non è cambiato, come non cambia la parte più dinamica del mercato, quella dei giovani adulti».
Si dice che oggi i giovani non siano interessati ai classici?
«Non è affatto vero. I social permettono ai giovani di parlare dei libri che li entusiasmano, e le loro preferenze cambiato velocemente, ma dopo la pandemia abbiamo venduto quantità enormi di classici, Jane Austen, Middlemarch, Dostoevsky. Una notevole quantità di ragazzi intorno ai vent’anni collezionano e leggono belle edizioni colorate in copertina rigida dei classici, ne discutono e le amano. In più di 35 anni di lavoro non abbiamo mai venduto di più».
Come funziona la lettura ai tempi di Internet?
«Non è cambiata molto. I bambini vengono spinti a leggere dai genitori. I giovani adorano i libri, che sono uno dei modi per fare amicizia e corteggiare, le nostre librerie sono piene di ragazzi. Poi c’è un vuoto quando si comincia a essere presi dal lavoro, ma con l’età la gente torna ai libri, soprattutto quando hanno figli. In pensione, si legge moltissimo. Alla fine, il libro è il modo più soddisfacente per istruirsi e seguire i propri interessi».
Cosa interessa di più i lettori?
«Buone biografie, buone storie, buone narrative che raccontano un pezzo di mondo. Non vedo una grande differenza con i libri che abbiamo scelto negli ultimi 30 anni: ci sono delle mode, ma alla fine si parla sempre di buona editoria, di libri ben curati, ben scritti e ben stampati, con un buon design, carta di qualità, caratteri chiari, tutte le vecchie virtù di un buon libro».
Come si fa a scoprire nuovi scrittori?
«Uno dei ruoli più importanti di noi librai è questo. Amazon è fantastico se sapete già cosa comprare, ma è molto difficile emergere. Noi scegliamo libri interessanti e voci nuove. È l’esercizio di curare, di avere gusto, è il nostro lavoro».
Come vanno i suoi affari?
«Ho ereditato il business nel 2011, quando il settore era in grande difficoltà nel Regno Unito, in buona parte per colpa delle librerie che avevano perso fiducia con l’avvento di Amazon e non erano più in grado di concentrarsi sulla qualità. Una volta che abbiamo ripristinato questo sentimento, gli affari sono andati benissimo. Abbiamo un business dai fondamentali fortissimi e in crescita, abbiamo un ottimo profitto e questo ci permette di reinvestire, soprattutto per aprire nuove librerie».
Esiste un filo comune tra le librerie?
«Ci sono librai, soprattutto in Europa, che applicano gli stessi principi e lasciano i gestori di ogni negozio fare quello che vogliono. Così si ottiene un settore di librerie fisiche molto più solido e non si ha più paura di Amazon. Feltrinelli in Italia è molto simile a noi come filosofia. L’Italia è un esempio fantastico, hanno una scuola centrale per i librai che insegna i principi della buona vendita di libri a tutti, librerie di catena e indipendenti».
La lettura crea dipendenza?
«Leggere è una dipendenza. Andare nelle librerie è una dipendenza. Se poi create delle belle librerie, più la gente ci va e più vuole andarci. Ecco perché è così importante avere librerie accoglienti, belle e attraenti».