La Stampa, 27 aprile 2025
Rosa Diletta Rossi: "Un passo alla volta è la mia filosofia Si sbaglia ma non bisogna punirsi"
Dieci anni fa, era terrorizzata dal vuoto. Ora scala i 4mila metri in montagna. Rosa Diletta Rossi ci è arrivata un passo alla volta: è la sua «filosofia di vita», tutta «in ascensione», fatta di grandi slanci e pause. Nel privato come sul lavoro. A 36 anni, l’attrice rivelazione di Suburra ha alle spalle una «preziosa gavetta», quattro anni densissimi – Alda Merini, Elisa Claps, Nero a metà, Belli ciao – e un immediato presente all’insegna della consacrazione: dal 29 aprile torna in prima serata su Canale 5 con Maria Corleone 2. Il genere coniuga mafia e action, ma senza concessioni alla fascinazione. «Maria è rotta, spezzata, e capisce che la vendetta non è l’unica strada: prova a scommettere sulla legalità, rinunciando a farsi giustizia da sola».
Quanto è importante ricostruire una fiducia sociale nella legalità?
«Purtroppo la sfiducia nella giustizia è un male di vecchia data. Oggi però ci stiamo accorgendo del ruolo fondamentale della magistratura perchè sta facendo da argine a una certa politica che tende a essere strabordante».
Mattia Lombardo, il villain di questa stagione, sostiene che «la ricchezza passa attraverso la sofferenza». La logica del mondo di oggi?
«Il dio denaro sta facendo stragi. Il capitalismo, inteso come volontà di avere più di quello di cui abbiamo bisogno, ha generato una lotta scellerata per il possesso, che ci ha portato lontani dai reali punti di riferimento. Se penso alle guerre, all’America di Trump, alla Russia, emerge uno scenario desolante prima ancora che preoccupante: le atrocità stanno diventando sistemiche, si tende a mettere a tacere chi obietta e sta venendo sempre meno il concetto di comunità».
Maria Corleone si interroga anche sulla propria capacità genitoriale: una partita persa in partenza?
«In una scena, a cui tengo molto, Maria dice all’ex marito: “Sarà improbabile non fare errori: sbaglieremo e impareremo. Come tutti. Un passo alla volta”. Ho cercato di pronunciare quel “un passo alla volta” con tenerezza, perché mi sono confrontata con diversi amici con figli e ho capito che non si può che procedere così. Si sbaglia ma non bisogna punirsi».
Dopo il caso Adolescence, i genitori sono diventati dei sorvegliati speciali?
«C’è sicuramente più attenzione – e pressione sociale – che non in passato. Prima la formazione veniva spartita tra famiglia e scuola, ora i ragazzi sono soli contro i social che complicano una fase, già ardua e pericolosa, come l’adolescenza».
Per questo lei temporeggia?
«In realtà la maternità mi incuriosisce perché avere figli ti cambia lo sguardo. I bambini vivono tutto per la prima volta e questo costringe te a fare altrettanto».
Nella serie Giovannino cresce con due mamme: Maria e la zia. Le famiglie d’elezione sono il futuro della società?
«Sono già realtà: una bellissima realtà. Finchè si moltiplica l’amore è una grande gioia: è quando manca l’affetto che iniziano i problemi. Io stessa ho diverse famiglie d’elezione: quella degli amici, quella dei compagni d’arrampicata. Sono gli ultimi avamposti comunitari che ci restano».
Lavora molto su se stessa?
«Sì. Ho iniziato arrampicata sportiva per superare la paura del vuoto: anziché combattere quel blocco psicologico, ci ho interagito, con calma, prendendo tempo, finché è diventato qualcosa che potevo riempire. Ho fatto anche psicoterapia: mi ha aiutato a guardarmi dentro meglio e a leggere il mondo con più chiarezza».
Permalosa?
«No. Semmai fragile. E molto cocciuta».
Come l’arrampicata, anche la recitazione l’ha emancipata da qualche paura?
«Mi ha permesso di accettarmi. Da bambina ero molto vivace, le mie compagne impazzivano per i trucchi, io no: ero quella strana. A teatro mi sono sentita finalmente vista».
Anche se già lavorava, ha voluto studiare recitazione. Perché?
«Non amo chi si improvvisa: credo molto nel mettere un piede dietro l’altro e salire, costruendosi il proprio percorso. Per le grandi cose serve tempo e i migliori insegnanti sono gli insuccessi: i no ti danno la taratura per capire quanto ci tieni davvero. I premi possono invece essere fuorvianti».
La preoccupa l’avvento dell’IA?
«Servono confini chiari: bisogna usare l’IA con... intelligenza. Deve supportare gli attori, non sostituirci. Come dice Keanu Reeves, i grandi momenti di creatività nascono da dolori profondi. E quelli la macchina non può provarli».