La Stampa, 26 aprile 2025
La carica dei 401
Sebastian Otoa e Sergiu Perciun hanno storie, percorsi e lingue differenti, oltre ad una carriera ancora tutta da vivere, ma nello stesso momento si sono ritrovati a scrivere una storica pagina della Serie A. Debuttando con Genoa e Toro, nel turno di Pasquetta recuperato mercoledì scorso dopo la morte del Papa, il difensore danese e il centrocampista moldavo hanno abbattuto la soglia dei 400 stranieri impegnati in questa stagione nel massimo campionato. Per la precisione 401, con Perciun ultimo in ordine di tempo a esordire entrando dalla panchina (Otoa era già sotto la doccia dopo aver rimediato un’espulsione al 22’), e così il precedente record di 377 è già stato ampiamente superato. Una tendenza esterofila che può ancora crescere, visto che mancano cinque giornate e spesso fioccano gli esordi di giovani della Primavera in quelle squadre che non hanno più nulla da dire, ma la carica dei 401 è più di un campanello d’allarme per il nostro calcio e soprattutto per il ct Luciano Spalletti. Perché il numero di italiani si assottiglia sempre di più e in questo campionato il 68% di chi è sceso in campo non può indossare la maglia azzurra: una percentuale che non si era mai vista prima, anche perché finora i 20 club hanno utilizzato 187 giocatori “tricolori” e si è sotto persino sotto il 33% (ovvero uno su tre) che veniva già considerata la linea rossa.
L’invasione da anni non conosce sosta, grazie anche al Decreto Crescita che agevola fiscalmente l’utilizzo di calciatori provenienti da fuori, e in questo campionato sono già state rappresentate 77 nazioni diverse. La Francia batte tutti con 45 giocatori e il podio si completa con Argentina (28) e Spagna (24), mentre 30 calciatori sono gli unici rappresentati del loro Paese: dal neozelandese Cacace (Empoli), quello più agli antipodi, al cipriota Kastanos (Verona) fino alla novità del primo saudita in assoluto in Serie A (il romanista Abdulhamid). La ricerca di nuovi mercati, il costo inferiore dei giovani stranieri e le tante proprietà d’oltre confine hanno accelerato la trasformazione, ma ormai ci sono club che sembrano delle piccole Onu. L’Udinese è la squadra che ha meno italiani (solo Lucca, Pafundi e Padelli sono stati finora impiegati) e più stranieri schierati, ben 27, con sette partite in cui l’undici titolare era composto da soli “forestieri”. Il Toro ha già utilizzato 23 stranieri, ma a gennaio ha triplicato la quota azzurra aggiungendo Casadei e Biraghi a Ricci (Paleari e Ciammaglichella hanno collezionato una sola presenza), mentre la Juve in Serie A ha usato 9 italiani e 20 stranieri. La squadra meno esterofila è il Cagliari, a quota 12, e non a caso i sardi nell’ultimo turno di campionato – come Empoli e Monza – hanno iniziato la partita con una maggioranza di italiani tra i titolari.
Tre squadre su venti, però, sono davvero poche e forse anche così si spiegano i guai di un sistema e di una Nazionale che fatica a trovare giocatori formati in A. Tornare indietro non è semplice, salvo leggi draconiane che però andrebbero in conflitto con le regole del libero mercato sancito dall’Unione Europea dopo la sentenza Bosman, ma abbattuto per la prima volta il muro dei 400 stranieri servirebbe più di una riflessione per salvare il Made in Italy.