La Stampa, 26 aprile 2025
Italia: fuga dai cervelli
I primi sono stati gli storici e i filosofi. Il professore Jason Stanley – autore del libro Noi contro loro. Come funziona il fascismo – assieme ai colleghi Timothy Snyder – altro celebre storico e autore di L’era dei tiranni – e alla di lui moglie Marci Shore. Lo scorso marzo hanno annunciato di avere tutti e tre lasciato l’università di Yale perché preoccupati per il clima politico. Andranno in Canada, a Toronto, ricevuti con tutti gli onori dalla Munk School of Global Affairs and Public Policy. Ora a fuggire dagli Usa sono gli uomini di scienza. L’amministrazione Trump ha fatto marcia indietro sulla revoca del visto che aveva colpito centinaia di studenti stranieri, costringendo alcuni a lasciare il Paese, ma nella decisione pesano i miliardi di dollari di finanziamenti per la ricerca tagliati, i licenziamenti in massa dei dipendenti federali e il controllo esercitato sulle università e i centri di ricerca.
Tutti motivi che stanno portando gli scienziati che operano negli Stati Uniti a considerare di trasferirsi in Europa o in Canada, accolti a braccia aperte da istituzioni che prima facevano fatica ad attrarli e che ora stanno giustamente sfruttando il momento di debolezza dell’America. Una vera e propria offerta di “asilo accademico”.
L’European Research Council – l’ente pubblico per il finanziamento della ricerca scientifica e tecnologica condotta all’interno dell’Unione europea – ha appena annunciato di aver raddoppiato i finanziamenti offerti a ricercatori che desiderano trasferirsi nel Vecchio Continente, portandoli a 2 milioni di euro per candidato. Una cifra che va a coprire i costi del trasferimento in un’istituzione europea e che può comportare l’allestimento di un laboratorio.
Un blocco di 12 nazioni dell’Ue sta collaborando per accelerare la concessione di visti, sovvenzioni e borse di studio per il trasferimento, nel tentativo di sottrarre cervelli statunitensi in linea con le proprie priorità strategiche. In una lettera indirizzata alla Commissaria europea per la ricerca e l’innovazione, Ekaterina Zaharieva, i funzionari dei 12 Paesi hanno sollecitato un’azione coordinata per attrarre studiosi e ricercatori «che potrebbero subire interferenze nella ricerca e tagli ai finanziamenti ingiustificati e brutali» e hanno chiesto l’integrazione dei ricercatori formati negli Stati Uniti nell’ecosistema dell’innovazione europeo. In questo gruppo composto da Francia, Repubblica Ceca, Austria, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Spagna, Slovenia, Germania, Grecia, Bulgaria e Romania, manca però l’Italia che rischia di rimanere indietro nella corsa ad accaparrarsi cervelli. Anche perché altri Stati si stanno muovendo indipendentemente, oltre alle iniziative europee comuni. In Germania, ad esempio, nell’ambito dei colloqui di coalizione per un nuovo governo, conservatori e socialdemocratici hanno elaborato piani per attrarre fino a 1.000 ricercatori, secondo documenti di negoziazione di marzo visionati da Reuters. «Il governo americano sta usando la forza bruta contro le università e i ricercatori americani stanno contattando l’Europa», ha dichiarato il mese scorso il futuro cancelliere tedesco, Friedrich Merz. «Questa è un’enorme opportunità per noi». A Londra, il Grantham Institute dell’Imperial College, specializzato nella ricerca sul cambiamento climatico, sta creando almeno altri due posti per ricercatori statunitensi all’inizio della loro carriera e ha già registrato un netto aumento delle candidature, ha affermato il suo direttore del progetto, Joeri Rogelj.
La Libera Università di Bruxelles (Vub), ha annunciato la settimana scorsa l’apertura di 12 posizioni per ricercatori internazionali «con un focus specifico sugli studiosi americani». Anche l’Università francese di Aix-Marseille ha lanciato un «programma di spazio sicuro per la scienza», riferendosi a «un contesto in cui alcuni scienziati negli Stati Uniti potrebbero sentirsi minacciati o ostacolati nelle loro ricerche». Finanziato con 15 milioni il programma mira ad attrarre personale statunitense da settori quali sanità, medicina Lgbtq+, epidemiologia e cambiamento climatico – tutti settori colpiti dalla scure dei tagli e invisi all’amministrazione Trump – e ha già destato l’interesse di 120 ricercatori di istituzioni americane, tra cui la Nasa e Stanford. «I nostri colleghi sono spaventati. È nostro dovere essere all’altezza della situazione», ha dichiarato il direttore dell’università Eric Berton, sottolineando che dieci università europee lo hanno contattato per lanciare programmi simili. Nei Paesi Bassi, il governo intende istituire un fondo per attrarre i migliori scienziati stranieri e rafforzare gli obiettivi di «autonomia strategica» dell’Ue, ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione, Eppo Bruins, in una lettera al Parlamento il 20 marzo.
Intanto, un sondaggio lanciato dalla rivista Nature ha chiesto agli scienziati americani se stanno valutando la possibilità di lasciare gli Stati Uniti a seguito dei disordini provocati da Trump. Degli oltre 1200 che hanno risposto, il 75% ha detto che sì, ci sta pensando.