Il Messaggero, 26 aprile 2025
Il Volo: «Non andare sempre d’accordo è la nostra forza. Abbiamo apologeti e detrattori, anche Claudio Villa era amato e odiato»
Piero Barone: «Quell’estate avevo fatto dieci festival regionali, li avevo vinti tutti, ero stufo. Mio padre mi disse facciamo l’ultimo. Finii per farmi convincere, preparammo le valigie e partimmo per la Calabria. È iniziato tutto così, il resto, quello che è venuto dopo, andrebbe intitolato “le conseguenze del caso”».
Ignazio Boschetto: «Io volevo fare il veterinario e portare avanti la pizzeria di famiglia, diventare un cantante e girare il mondo con la musica era l’ultima delle mie aspirazioni». Gianluca Ginoble: «È successo tutto velocemente, con l’inconsapevolezza e l’incoscienza di quando hai 14 anni, la vita ti regala delle emozioni e cerchi di dar loro un senso, un significato e un nome».
Questa è la storia di tre ragazzi molto diversi che si ritrovano insieme per fatalità e trasformano un’opportunità in destino: il Volo canta da più di quindici anni, ha venduto più di venti milioni di dischi e per trasformare il sogno in realtà, dice Ignazio: «C’è voluta anche fortuna».
Quanta fortuna?
Ignazio: «Tanta. Se siamo qui qualche dote evidentemente c’era, ma trovarci nel posto giusto al momento giusto è stata soprattutto una questione di buona sorte. Tutti e tre abbiamo avuto delle famiglie che hanno creduto in noi e ci hanno sostenuto, ma i nostri genitori non sono stati sicuramente gli unici genitori del mondo a farlo e io non sono di certo il più grande interprete musicale del pianeta. È andata molto bene, come negarlo? Ma non ho mai creduto che il fatto di diventare famoso equivalesse a definire il mio talento».
Gianluca: «Tra noi discutiamo spessissimo e convivere fianco a fianco per tutto questo tempo non è stato sempre semplice perché tra noi non potremmo essere più diversi, ma abbiamo avuto una passione comune e l’abbiamo nutrita con impegno giorno dopo giorno. La nostra vera fortuna è stata condividere un’emozione più che un’ambizione».
Piero: «Puoi chiamarla fortuna o puoi darle un altro nome, ma le coincidenze esistono. Prima le dicevo dei festival, no? Ecco, l’ultimo a cui mio padre mi portò prima che riiniziasse la scuola era a Cosenza. Non avevo nessuna voglia di raggiungerla e lo feci più per inerzia che per convinzione, ma se non ci fossi andato non avrei mai incontrato Ignazio e Gianluca. Il talent scout del programma televisivo in cui cantammo insieme per la prima volta in Rai e che mi segnalò ai responsabili della trasmissione infatti si trovava proprio lì».
Era il 2009. La trasmissione si intitolava Ti lascio una canzone.
Gianluca: «Credo che qual giorno nessuno di noi sapesse nemmeno il nome dell’altro».
Piero: «Il regista Roberto Cenci, però, ebbe un’intuizione felice».
Ignazio: «Roberto decise di metterci insieme sul palco e di farci cantare insieme. Da lì partì un film a colori di cui siamo stati i protagonisti attivi senza che, almeno all’inizio, ne fossimo non dico totalmente, ma neanche minimamente consapevoli».
La prima parte del vostro film si chiama America.
Piero: «Dal 2009 al 2015, praticamente, abbiamo vissuto più in America che in Italia. Da un giorno all’altro, senza preavviso, grazie a Tony Renis e a Michele Torpedine, ci siamo ritrovati dal cantare alle sagre a firmare il contratto con la Geffen, una grande major statunitense, ad attraversare l’Oceano e a dividere il palco con artisti enormi. Quando penso che Barbra Streisand ci ha chiesto di cantare nei suoi concerti ho ancora una vertigine: è difficile spiegare il salto».
Ignazio: «Dì pure che spiegare una cosa del genere è impossibile. Non ci sono i termini, i paragoni possibili, i necessari punti di contatto con la realtà che ogni storia da raccontare pretende. Ci sembrava tutto normale, viaggiavamo in lungo e in largo, ma normale ovviamente quella situazione non era e non poteva essere».
Gianluca: «All’epoca eravamo adolescenti, oggi siamo uomini che vivono le esperienze con occhi diversi. In un certo senso salire sul palco rappresenta sempre una prima volta: non ci si abitua mai ed è rischioso così come è stato rischioso per noi incontrare quel successo internazionale a quell’età. Era un azzardo. Una cosa da trapezisti. Si poteva cadere a terra senza protezione e perdere la testa facilmente».
Fotografie di quel periodo?
Piero: «Io vengo da una famiglia molto umile. Padre carrozziere, madre casalinga, due fratelli. A casa i soldi erano pochissimi. Quando si trattò di andare a fare il provino che ci cambiò la vita, alla Rai, mio padre disse: “Non possiamo andare conciati così, dobbiamo comprare dei vestiti nuovi”. Così, complice l’aiuto economico dei nonni, ci recammo in un grande magazzino. Acquistammo tre cambi e la commessa battè spietatamente lo scontrino. Millecentottanta euro. Una cifra enorme per noi. Se oggi domandi a mio padre cosa ricorda di quel giorno, ancora ti ripete la cifra di quello scontrino: Millecentottanta euro».
Ignazio: «Il valore di certi momenti a cui lì per lì non dai peso e che con gli anni si rivelano fondamentali. Quel provino alla Rai non volevo andare a farlo. I miei genitori, con una grazia e una tranquillità inauditi, non insistettero né fecero pressioni. Dissero soltanto: “Ma la musica ti piace o non ti piace? Allora provaci. Male che vada sarà un’esperienza”. Lo sussurrarono in maniera così convincente che non ci fu bisogno di dire altro. Fu una vera e propria sliding door».
Gianluca: «La sensazione straordinaria di un’epifania. Ho visto questi due ragazzi sul palco e ho capito in un attimo che la mia debolezza di allora, la mia timidezza, con loro si sarebbe potuta trasformare in un punto di forza. Sono visioni improvvise che non è che capitino poi tanto spesso nella vita».
Vi siete mai chiesti quale sia stato il segreto di un successo così sorprendente?
Gianluca: «La chiave secondo me è stata superare la barriera del linguaggio. Cantiamo principalmente in italiano, ma ci rivolgiamo a una platea che socialmente e culturalmente è universale, che ama il bel canto e che dopo il grande exploit di Andrea Bocelli era in qualche modo restata senza rappresentanti. La nostra è sempre stata una musica che è stata più apprezzata all’estero che in Italia. Nemo propheta in patria».
Piero: «La mia opinione è che, almeno per me, non è mai stata una questione di genere musicale. In fondo Claudio Villa io l’avevo sempre cantato. Era naturale, mi veniva dalla pancia e per me la musica era quella perché con mio nonno ascoltavo fin da bambino quel tipo di canzoni. Le ragioni di cui parla Gianluca sono concrete: per ciò che cantiamo esiste un pubblico. Più in là di quelle ragioni invece ci siamo noi. Avevamo il desiderio di rendere questo nostro successo non effimero. Abbiamo avuto un riscontro quasi immediato, è vero, ma abbiamo fatto di tutto per rafforzarlo, per restare sulla giostra e non essere costretti a scendere in corsa. E lo abbiamo fatto evolvendoci, impegnandoci, migliorandoci, anche».
Ignazio: «Senza la pretesa di piacere a tutti, però. Abbiamo sempre pensato che il successo dovesse essere la conseguenza del nostro lavoro e non lo scopo iniziale. Ci abbiamo provato e abbiamo avuto e abbiamo ancora, lo sappiamo, apologeti e detrattori. D’altra parte anche Claudio Villa era amato e odiato. La storia si ripete, a noi sta benissimo così».
Cos’è la nostalgia per voi?
Ignazio: «Per me è una parte fondamentale della mia personalità. La parola saudade ce l’ho tatuata sulla pelle. Sono un nostalgico fatto e finito. Lo sono da sempre. Non ho mai considerato la nostalgia un sentimento triste, anzi. Senza mi sentirei perduto».
Gianluca: «La nostalgia è un bel sentimento. Se non guardi al futuro e non pensi al progresso puoi rischiare di fare una brutta fine, ma se ti dimentichi del passato e del valore delle radici una brutta fine la fai sicuramente. La nostalgia mi piace se però non somiglia a una gabbia: la nostra musica ha in parte le sue radici nella nostalgia, è vero, e a me non dispiace. Alcune canzoni del passato hanno rappresentato la nostra fortuna: lo sappiamo e di sicuro non lo rinneghiamo. Però abbiamo scelto di fare un disco di inediti anche per questo: per chiederci chi siamo oggi, chi siamo diventati e cosa vogliamo trasmettere al nostro pubblico».
Piero: «Quando ero ragazzo non andavo in discoteca d’estate, ma non ci andavo perché stavo su un palco a cantare: ciò che mi rende veramente felice o per dirla con Beniamino Gigli, la massima espressione della mia gioia più profonda, che se vogliamo è un po’ la stessa cosa. Quindi pur essendo molto nostalgico non provo nostalgia per ciò che non ho vissuto e non ho rimpianti pelosi: da ragazzo, in discoteca, non sarei andato comunque. Anagraficamente sono adulto, forse fin troppo adulto. A volte mi sento un signore di settant’anni. Quando vado in vacanza in Sicilia, in agosto, mi sveglio alle cinque per andare a pescare, mi godo l’alba e il mare e quando cala il sole per me la giornata è finita. Mi sento a casa e fin dagli odori, in quel posto, per me è tutta una nostalgia. Una beata solitudine».
Lavorando a stretto contatto da quindici anni siete considerati come un’unica entità. Non desiderate mai allontanarvi l’uno dall’altro?
Piero: «La verità? Spessissimo. Ci sono mattine in cui dopo un’esibizione, al risveglio, mi approccio furtivo al banco delle colazioni assaporando la solitudine per leggere i giornali in pace e vedo arrivare Ignazio e Gianluca a farmi compagnia. Sono felice? No che non lo sono. Non gliel’ho mai detto: lo faccio ora. Ci sono volte in cui non li sopporto». (Ride)
Ignazio: «C’è stato un periodo in cui in tournée stavo spesso da solo. Piero e Gianluca andavano a cena insieme e io restavo per conto mio. Era la spia di un disagio e all’ennesima battuta, all’ennesimo “non sei mai con noi” ho detto ciò che pensavo: “non ci sono mai perché non sto bene. Non ci sono mai perché alla fine diciamo che ci conosciamo, ma forse non ci conosciamo abbastanza e io non riesco a far finta di niente e a stare come se nulla fosse in un posto dove mi sento giudicato e non capito”. Da quel giorno il nostro rapporto è cambiato e abbiamo iniziato a dirci le cose in faccia. È stato un momento importante: oggi ci diciamo tutto ciò che pensiamo e la nostra relazione ha fatto grandi progressi».
Gianluca: «Il nostro è stato un matrimonio combinato e poi, soltanto dopo, ci siamo innamorati veramente. Stare insieme per così tanto tempo ci ha formato caratterialmente ed emotivamente: abbiamo vissuto le stesse esperienze sul palco, abbiamo vissuto le stesse emozioni e potremo raccontare ai nostri figli le stesse cose. Ognuno di noi si è arricchito e al tempo stesso ha dovuto rinunciare a qualcosa. Ci hanno legato le esperienze. E se queste esperienze a tratti hanno rappresentato un compromesso, posso dire che quel compromesso, alla fine, ha lasciato un sapore dolcissimo».
Metà della vostra vita l’avete passato in viaggio tra un Continente e l’altro. Cos’è che avete perso per strada?
Gianluca: «Abbiamo perso piano piano le vecchie versioni di noi stessi. Quando rivedo i video di un tempo lontano e le vecchie foto fatico a riconoscermi e a riconoscerci. Si cambia, è un bene, ma è chiaro che andando avanti qualcosa per strada la lasci».
Ignazio: «Io la penso in maniera completamente diversa. Non solo non sento di aver perso qualcosa, ma anzi ho conservato tutto gelosamente. Voglio dire una cosa che non c’entra niente con la musica, ma c’entra con questo discorso: sono stato un bambino grassissimo, ai limiti dell’obesità. Oggi non lo sono più, ma so che i 120 chili della mia infanzia, ogni volta che mi guardo allo specchio, me li porterò dietro per sempre. Nella vita non si perde nulla e tutto si conserva, magari in qualche angolo nascosto: è giusto ambire alla migliore versione di noi stessi, ma senza dimenticare il passato perché poi in fondo non dipende neanche da noi: è il passato che non si fa dimenticare».
Piero: «Ciò che non torna è il tempo che non hai trascorso con le persone che ami realmente. Una volta, tornavo da Tokyo e leggevo un libricino di Enzo Bianchi nel quale il monaco consigliava di stare con gli anziani perché a quell’età si ha bisogno soprattutto di una cosa che non ha niente a che vedere con la materialità: la compagnia degli altri. Era Natale. Sono sceso dall’aereo non ho perso tempo: ho organizzato un set con mio nonno che è cieco, ho chiamato il mio maestro di pianoforte, un cameraman e quattro musicisti e gli ho chiesto di donarmi la sua voce per registrare una serie di brani che aveva scritto. Quel disco lì è l’unica cosa che mi rimane di lui e il regalo, lo so benissimo, non l’ho fatto a lui, ma a me stesso. La gentilezza va coltivata, curata, innaffiata: è l’unica cosa che può salvare il mondo».
Non andare sempre d’accordo è una forma di ricchezza?
Ignazio: «È la nostra forza. Non siamo un gruppo, ma tre persone, con la loro individualità, che si trovano a lavorare insieme. Se non siamo sempre d’accordo tra noi va benissimo anche perché il dubbio mi fa sentire vivo. La vita non è bianco o nero: è fatta di sfumature, di colori, di diversità».
Piero: «Potevi dirlo con meno parole: sarebbe stato più onesto se avessi detto semplicemente: “io non sono mai d’accordo con voi”» (sorride)
Gianluca: «Lo è sicuramente. Discutiamo veramente di tutto, ma sono discussioni costruttive che non rinunciano mai all’autocritica. Siamo i più severi giudici di noi stessi».
Chi pensate di essere stati davvero?
Ignazio: «L’esempio plastico che l’impossibile a volte può diventare possibile. Potremmo dire che siamo stati un caso anomalo, ma non renderebbe l’idea. Tre persone estremamente diverse che riescono a stare insieme per 15 anni e uniti riescono a ottenere il successo mantenendo, almeno in parte, l’ingenuità degli inizi. Se non temessi la blasfemia direi che si è trattato di un mezzo miracolo».
Piero: «Tre ragazzi che hanno incontrato la musica fin da piccoli, hanno cantato ciò che sentivano dentro e continuano a farlo perché sono consapevoli che non girano il mondo perché cantano, ma è la musica che cantano che fa girare il loro mondo. Ci siamo sorpresi ogni giorno, speriamo di continuare a farlo ancora molto a lungo».
Gianluca: «Siamo un gruppo che ha provato ad anteporre sempre la creatività alla razionalità e che in un certo senso ha provato a non diventare mai adulto e a mantenere intatto il sogno degli inizi. Lo possiamo toccare quel sogno. Se non fosse così, questa volta parlo a nome di tutti, sono sicuro che non staremmo insieme».
Dopo il grandissimo successo del tour negli Stati Uniti e in Canada concluso ad inizio aprile, Il Volo tornerà in Italia con Tutti Per Uno – Viaggio Nel Tempo, gli unici live in Italia fissati per l’8, il 10 e l’11 maggio, che prossimamente andranno in onda su Canale 5. Dopo le prime due edizioni all’Arena di Verona, la terza si sposterà a Palazzo Te, a Mantova. Tanti gli ospiti (tra gli altri Giorgia, Morandi, Mannoia, Venditti, Brunori Sas, Placido Domingo, Noemi). Dopo le tre date di Tutti Per Uno a Mantova, Il Volo farà tappa a giugno in alcuni importanti festival europei e a partire da ottobre Piero, Gianluca e Ignazio saranno protagonisti di un tour in America Latina e nelle principali capitali europee fino alla fine dell’anno.