Libero, 27 aprile 2025
Intervista a Alessandro Borghese
Lo vediamo da anni in tv. Cammina tra i tavoli, assaggia, commenta e mette voti che “confermano o ribaltano” il risultato parziale della sfida tra ristoratori. Ma Alessandro Borghese, quarantottenne romano dalla iconica criniera corvina, non è solo “quello di Quattro Ristoranti”. È uno chef vero.
Si è imbarcato sulle navi da crociera, ha fatto parte di brigate in tutto il mondo. E poi ha scelto Milano come base professionale e familiare. Qui ha aperto il ristorante chiamato “Il lusso della semplicità” in via Belisario 3: offre una cucina che lo rispecchia, di grande sostanza e giustamente raffinata, moderna ma che ama attingere dalle molteplici tradizioni del Belpaese. Qui lo abbiamo incontrato, in una lunga chiacchierata, travolti dalla sua frizzante romanità e colpiti dal suo amore per la nostra città.
Il suo personaggio tv è diventato iconico. Quanto si sente ancora cuoco?
«Molto. Il mio mestiere nasce in cucina. Ho iniziato a 16 anni, lontano dalle telecamere. La tv è arrivata dopo, quasi per caso, e si è affiancata alla mia attività principale, che resta quella del cuoco. Mi piace divertirmi in tv, ma è ai fornelli che esprimo me stesso fino in fondo».
Come si tengono insieme le due cose?
«Con equilibrio. Cucina e tv viaggiano sullo stesso binario. La televisione mi permette di raccontare il cibo a modo mio: Quattro ristoranti ha cambiato il linguaggio della gastronomia. In trasmissione io non recito, sono me stesso. E se quella figura lì è diventata un fumetto, un meme… va bene così. Sono sempre io. Ma il ristorante è dove si concretizza tutto. Lì c’è il rigore, la tecnica, il lavoro quotidiano».
Il lusso della semplicità, appunto.
«Sì, perché cucinare bene non vuol dire fare piatti complicati. Significa usare ottime materie prime, trattarle con rispetto, offrire sapori di sostanza in un contesto curato. È quello che facciamo qui ogni giorno».
Lei è uno dei precursori della cucina romana a Milano.
«I milanesi amano la cucina romana, amatriciana, abbacchio, cicoria ripassata. Apprezzano i suoi sapori forti e goderecci. Il milanese in cucina è aperto, affamato di autenticità».
Un ingrediente da Roma a Milano e viceversa?
«Da Roma a Milano porto il cielo. Quel respiro che ti dà Roma non ce l’ha nessun’altra città. Milano è più chiusa, più verticale. Nella capitale porterei ordine e puntualità meneghina. Io sono romano dentro, ma molto milanese nell’organizzazione della vita e del lavoro».
E in cucina?
«A Roma donerei l’approvvigionamento della materia prima, che qui è eccezionale. Il pesce milanese è davvero il più fresco d’Italia. A Milano invece porterei il vivere fuori, il clima della piazza romana. Qui è tutto nascosto: cortili segreti, location dietro facciate anonime. A Roma mangi davanti a una colonna dorica.»
Milano è casa sua ormai.
«Sì, da più di quindici anni. Sono nato e cresciuto a Roma, madre ceca, padre napoletano. Ho studiato in scuole internazionali, viaggiato in tutto il mondo. Però Milano è davvero casa mia ormai. Qui ho costruito lavoro e famiglia. È una città che ti adotta, che ti stimola. Ma non è per tutti. È faticosa. Milano è “se la va la g’ha i gamb”, se cammina funziona, altrimenti chiude. Ma se ti metti in gioco ti dà tutto.»
Un giudizio sulla ristorazione milanese?
«Milano è quasi un quartiere di Roma per dimensioni, ma concentra un’altissima qualità. Ci sono ristoranti di tutti i tipi, quelli che funzionano hanno sostanza. Il milanese è curioso, prova tutto, ama la cucina etnica, fusion, ma frequenta meno i locali di cucina del suo territorio».
Come cambierà la ristorazione nei prossimi anni?
«Non vedo la fine dell’alta cucina. Ci sarà razionalizzazione, attenzione ai costi, meno sprechi, filiere più corte. Vedo molti giovani aprire ristoranti piccoli, con carte corte ma precise, attenzione alla materia prima, sostenibilità. Basta carte infinite e sushi vicino alla carbonara. Serve identità.»
E sui sapori?
«Stiamo consumando sempre gli stessi ingredienti: salmone, orata, branzino. Bisogna riscoprire specie dimenticate, tagli poveri, piante spontanee. E anche proteggere la cucina delle nonne, che sta sparendo. Chi farà la cassoeula domani? Se nessuno tramanda, tutto si perde.»
Milano oltre la cucina. Che cosa ama e cosa no?
«Amo la sua energia artistica, è una capitale vera. Meritocratica. Se sei capace, ti fa salire. Ma butto la sua aria. Ho due figlie, l’inquinamento è un problema. E i ritmi: frenetici, a volte troppo. Se non li accetti, Milano non è per te.»
Alcuni suoi colleghi dicono che Milano è diventata invivibile, cara, insicura.
«Capisco le loro preoccupazioni, anche io vedo che qualcosa è cambiato. Ma non me ne vado. Milano mi ha dato troppo. Ho una squadra giovane, motivata. Tutti tornano tranquillamente a casa la sera, anche le molte ragazze. Serve attenzione, certo, ma si può vivere bene anche qui».