Avvenire, 27 aprile 2025
Le deportazioni di Trump senza pietà: bimbi espulsi, una ha appena due anni
on si fanno sconti a nessuno. Neppure a bambini e donne in gravidanza. È l’imperativo adottato dall’Amministrazione di Donald Trump sulle deportazioni di migranti irregolari. Lo ha smascherato l’Unione americana per le libertà civili (Aclu) che ha denunciato l’allontanamento forzato da New Orleans, in Louisiana, di tre minori – di due, quattro e sette anni – cittadini americani ma figli di madri senza regolare permesso di soggiorno. Uno dei piccoli che si è visto allontanare dal Paese in cui era nato sarebbe stato affetto da una rara forma di cancro. Nessuno, così lamenta l’associazione, si sarebbe preoccupato, prima di imbarcarlo per un viaggio senza ritorno, di procurargli i farmaci necessari ad affrontare il volo. Tra il 22 e il 24 aprile, questa è la ricostruzione dei fatti, gli agenti dell’Ice, l’agenzia federale a cui spetta il controllo dei confini e la gestione operativa dei rimpatri, avrebbe, letteralmente, arrestato due mamme con i figlioletti al seguito senza dargli la possibilità di raggiungere, a telefono, parenti, amici e avvocati. Una di queste era incinta. Il regime di semi-isolamento a cui sono state costrette avrebbe reso impossibile l’accesso alla consultazione legale garantita dalla stessa legge americana quando, in casi come questi, le deportazioni riguardano anche i bambini. In teoria, i piccoli, in quanto cittadini americani, potrebbero, con il consenso di entrambi i genitori, rimanere negli Usa insieme ai loro tutori legali. A una delle due mamme, le autorità governative avrebbero promesso l’autorizzazione a una chiamata all’avvocato entro le 48 ore dal fermo. La donna, tuttavia, sarebbe stata deportata insieme al figlio alle 6.00 del mattino successivo quando il tribunale era ancora chiuso. All’altra madre sarebbe stato concesso solo un minuto a telefono con il suo consulente già allertato dal marito che, tornato a casa dal lavoro, non aveva trovato più nessuno. L’uomo era riuscito a presentare un’istanza per chiedere, almeno, l’immediato rilascio della figlia di due anni ma i funzionari del dipartimento di Giustizia gli avrebbero risposto che «era nel miglior interesse della bambina rimanere con la madre» e che, in ogni caso, la piccola «non era esposta al rischio di problemi irrisolvibili perché cittadina americana”». Il caso è finito al tribunale del distretto occidentale della Louisiana ma era ormai troppo tardi: madre e bambina erano stare messe su un aereo e spedite in Honduras. Il giudice titolare della controversia, Terry Doughty, non si è però arresto, anzi, ha fissato un’udienza per il 16 maggio al fine di «dissipare il forte sospetto che il governo abbia appena deportato una cittadina statunitense senza un adeguato processo». Le Ong statunitensi gridano ad abuso di potere, violazione dei diritti umani. Più semplicemente, alla crudeltà fine a sé stessa. «Le famiglie sono state fatte sparire, in fretta, privandole della possibilità di proteggere i loro figli», ha tuonato Teresa Reyes-Flores, della coalizione Southeast Dignity not Detention. «Questi tipi di sparizioni – gli ha fatto eco Homero López, dell’Immigration Services and Legal Advocacy – ricordano le epoche più oscure della nostra storia». E siamo solo agli inizi (poco più di tre mesi) del secondo mandato di Trump alla Casa Bianca. A dare la cifra del clima creato dalla linea dura del tycoon sull’immigrazione è l’arresto, per mezzo del Fbi, della giudice Hannah Dugan, di Milwaukee, accusata di aver, intenzionalmente, ostacolato il fermo di un migrante irregolare, Eduardo Flores Ruiz, consentendogli di fuggire.
Cronaca giudiziaria mai vista né sentita prima.