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 2025  aprile 27 Domenica calendario

La «Pax americana» cala sul Congo: firmato a Washington il primo passo

Sarà la volta buona per frenare gli spargimenti di sangue nell’est congolese? Nelle ultime ore, chi ha a cuore le popolazioni martoriate del Kivu e delle aree vicine, se lo chiede con qualche nuova briciola di speranza, dopo la «dichiarazione di principi» siglata venerdì a Washington fra i capi delle diplomazie della Repubblica democratica del Congo e del Ruanda. Una firma a sorpresa giunta sotto l’egida degli Stati Uniti, che non nascondono il proprio appetito verso le risorse minerarie congolesi. Ma resta tanta la prudenza fra chi ha subito l’avanzata sanguinaria delle milizie filoruandesi, a cominciare da quelle che portano oggi il nome di M23 che in Kivu controllano Goma e Bukavu.
Nel corso di una cerimonia solenne a Washington in presenza del segretario di Stato americano Marco Rubio, la congolese Thérèse Kayikwamba Wagner e il ruandese Olivier Nduhungirehe, ministri degli Esteri, hanno firmato una dichiarazione per impegnarsi a «riconoscere reciprocamente la sovranità e l’integrità territoriale, ad affrontare i problemi di sicurezza, a promuovere l’integrazione economica regionale, a facilitare il ritorno degli sfollati, a sostenere la Monusco (Missione Onu in Congo) e a redigere un accordo di pace».
La dichiarazione d’intenti prevede pure la creazione di un meccanismo bilaterale di sicurezza per contrastare i gruppi armati e le organizzazioni criminali che imperversano nella regione, anche facendo affari per proprio conto, con lo sfruttamento illegale di giacimenti minerari. A proposito delle scorribande dei miliziani M23, l’Onu e tanti osservatori accusano le manovre nell’ombra di Kigali, che invece smentisce, giustificando il proprio attivismo alla frontiera come dovere di precauzione nella scia del genocidio del 1994. Una bozza dettagliata dell’accordo è prevista entro il 2 maggio, come primo sbocco effettivo del round di discussioni che ha visto nel ruolo di pacieri, oltre a Washington, i vertici del Qatar deove la trattativa è decollata.
Nell’ottica americana, la tregua dovrà portare a un assetto nuovo nella spartizione delle risorse della regione, con l’arrivo di nuovi investitori statunitensi, pubblici e privati: soprattutto, rispetto alla penetrazione di Pechino, che oggi controlla un’ampia porzione dei giacimenti di “terre rare”, cruciali nella new economy digitale.
In modo ostentato, venerdì, anche Rubio ha apposto la propria firma, vantando una nuova «prova» dell’impegno per la pace dell’Amministrazione Trump. Per Washington, insomma, si tratta a pieno titolo di un nuovo capitolo della «pax americana». Ma per la ministra congolese, la dichiarazione d’intenti «non segna una fine, ma un inizio, un passo necessario e determinato verso la pace». Il suo omologo ruandese ha invece sottolinea-to la necessità di «concludere un accordo di pace globale il prima possibile».
Lo schema perseguito da Washington ricorda quello sullo scacchiere in Ucraina. Anche se nell’Est congolese, tante forze operano in piena opacità, in mezzo a un rimpallo continuo di accuse incrociate che in passato ha presto vanificato tante altre dichiarazioni d’intenti. Deriva da qui, anche nelle ultime ore, un certo scetticismo nell’analisi di tanti osservatori.
Il bilancio di morte della successione di conflitti a ridosso del bacino del Congo non ha eguali al mondo, per gravità, fin dai tempi della Seconda Guerra mondiale.
Dunque, tanto più dopo i nuovi spiragli, fra la popolazione civile allo stremo, si alza la voce collettiva della preghiera perché la luce possa apparire, in fondo al tunnel, proprio lungo quest’Anno giubilare.