Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  aprile 26 Sabato calendario

Iran e Pakistan, la cacciata degli afghani

«Vi mandiamo fuori dalla porta ma voi rientrate in Iran dalla finestra. Il vostro Paese è sicuro, tornatevene a casa», si è sentita dire Sena, afghana di trent’anni, dagli agenti della polizia iraniana che hanno arrestato lei e suo marito mentre si recavano in un villaggio vicino alla città di Qom per un funerale. «Ci hanno fermati, ci hanno chiesto i documenti d’identità. Non li avevamo. Ci hanno fatto scendere dal taxi e portato in un centro di detenzione. Non importava quanto piangessi, è stato inutile, non ci hanno lasciato andare», racconta ad Avvenire la donna che da quattro anni viveva in Iran con i due figli e il marito. Lui faceva l’operaio edile, lei confezionava sciarpe. Sono stati arrestati tre settimane fa e in due giorni deportati in Afghanistan. Come lei, sono 211mila gli afghani irregolari rimandati forzatamente in patria dall’Iran dal primo gennaio di quest’anno: 55.400 solo dal 20 marzo scorso, secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Se a questi rientri recenti si aggiunge chi è tornato in patria “volontariamente”, per paura di venire arrestato, si arriva a quota 97.300 solo nelle ultime settimane. A questo grande flusso di persone voluto da Teheran si aggiunge quello dei rientri dal Pakistan, dove il governo ha annunciato pubblicamente il 7 marzo scorso la ripresa del “Piano di rimpatrio degli stranieri illegali” avviato nell’ottobre del 2023. Così nei primi quindici giorni di aprile si è assistito a un picco di rientri, 84.800 di cui circa 19.600 a seguito di deportazioni di Islamabad. Nell’ultimo anno e mezzo sono già tornate dal territorio pachistano in Afghanistan quasi 940.000 persone (fra volontari ed espulsi).
L’Iran e il Pakistan ospitano oggi un’ampia comunità afghana che si è rifugiata lì nel corso di decenni, a partire dal 1979. Almeno 1,6 milioni sono arrivati nei due Paesi appena dopo il 2021, cioè dal ritorno al potere dei taleban. Sia Teheran che Islamabad però ne hanno abbastanza, e hanno accelerato rimpatri. «Il massiccio afflusso ha sovraccaricato le strutture di accoglienza di frontiera, lasciando i rimpatriati – in particolare i gruppi vulnerabili come donne, bambini e anziani – in disperato bisogno di cibo, alloggio e cure mediche», riferisce un report del Jesuit Refugee Service (Jrs) che a Kabul e Herat fornisce mezzi di sussistenza, servizi di protezione dell’infanzia ma anche formazione professionale negli insediamenti di sfollati interni e rimpatriati.
«L’economia già instabile dell’Afghanistan, gli alti tassi di disoccupazione e la mancanza di infrastrutture rendono difficile il reinserimento. I servizi forniti dal Jrs, seppur limitati per l’aumento dei rimpatriati, rimangono essenziali in questo periodo traumatico della loro vita. Molti arrivano con pochissimi effetti personali, senza riparo e con un bisogno urgente di supporto». È stato così anche per Sena e la sua famiglia. «Dopo l’arresto siamo rimasti in un campo per due giorni perché doveva essere raggiunto un certo numero di deportati per dare il via al trasferimento. C’erano famiglie e persone sole, arrestate in altre città dell’Iran. Ci hanno trasferito con gli autobus, siamo stati deportati senza avere con noi alcun effetto personale. Il giorno in cui siamo tornati in Afghanistan non avevamo niente, né soldi, né una casa dove andare, nessuno ad aiutarci», prosegue la donna, che conclude: «Qui non c’è lavoro, né sicurezza, abbiamo sempre paura. La nostra situazione peggiora di giorno in giorno. Sembra non ci sia più posto per noi in questo mondo».