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 2025  aprile 26 Sabato calendario

Canada, il boomerang di Trump Gli attacchi resuscitano i liberal

I cappellini che recitano «il Canada non è in vendita» e «mai 51esimo Stato» sono esposti in una vetrina del centro di Montreal insieme a due palle di cannone della guerra del 1812: l’ultima volta che gli Stati Uniti hanno tentato (invano) di conquistare il Canada.
Sarebbe stata una provocazione impensabile fino a quattro mesi fa, quando l’amicizia tra Canada e Stati Uniti appariva inossidabile. Un rapporto storicamente non sempre facile, ma inevitabile come quello di due elementi di uno stesso ecosistema o, come disse il premier Pierre Trudeau (padre di Justin) a Richard Nixon nel 1969: «Come dormire con un elefante: ogni suo sussulto ti sveglia».
Questa volta l’elefante ha scalciato e il risveglio è stato brusco. «Ci siamo trovati minacciati da Donald Trump: la nostra economia dalla sua assurda guerra commerciale e la nostra sovranità territoriale dai suoi commenti su una possibile annessione – spiega Vanessa Morency, imprenditrice edile di Montreal – le implicazioni sono enormi e destabilizzanti, sia a livello finanziario che emotivo. Molte persone hanno perso contatti con familiari e amici per questo. Non si parlano più». Le conseguenze sono anche politiche: in Canada lunedì si vota per le politiche (e implicitamente per il nuovo governo) e per la prima volta da oltre 200 anni la relazione con gli Stati Uniti è il tema centrale della campagna elettorale.
Il neo-premier Mark Carney sta facendo leva proprio sulle inedite tensioni con il vicino del sud per guadagnarsi la possibilità di continuare a guidare il Paese, del quale ha preso le redini a marzo. Il principale avversario dell’ex banchiere centrale è Pierre Poilievre, leader del partito conservatore, il cui capitale politico è diminuito proprio a causa dei dazi e delle derisioni di Donald Trump.
I canadesi non votano direttamente per il primo ministro ma per i parlamentari che rappresentano il loro distretto. Il partito che ne ottiene il maggior numero forma il governo e il suo leader ne diventa il capo. Poilievre era il favorito quando l’ex primo ministro Justin Trudeau si è dimesso il mese scorso. Ma la decisione di Trump di imporre dazi del 25% su acciaio, alluminio e automobili canadesi e le sue allusioni a schiaffarne altri sui prodotti farmaceutici e sul legname hanno scosso le imprese canadesi. È una realtà che Carney non ha edulcorato, prevedendo «giorni difficili in arrivo» che ha promesso di combattere. Proprio dopo aver assunto una chiara posizione di resistenza alle bordate di Trump, il suo partito liberal ha registrato un’inversione di tendenza sbalorditiva nei sondaggi e ora guida la corsa per il controllo del governo di Ottawa. Intanto altre rilevazioni d’opinione evidenziano che, checché dica Trump, il 90% dei canadesi non vuole scambiare la propria cittadinanza con un passaporto statunitense. Al contrario, il Canada sta vivendo un’insolita ondata di nazionalismo. Il movimento “Boycott America” è forte, e l’ondata di patriottismo sta già lasciando un segno considerevole sulle imprese Usa. I tour operator statunitensi segnalano un calo delle prenotazioni fino all’85%, mentre le distillerie americane stanno perdendo importanti contratti. Nel frattempo, i commercianti di generi alimentari canadesi registrano un aumento delle vendite di prodotti nazionali fino al 12%.
I dati di Statistics Canada mostrano anche che i viaggi in auto dai canadesi verso gli Stati Uniti stanno crollando: di un quarto solo a febbraio. Lo stesso mese la U.S. Travel Association ha avvertito che un calo del 10% dei visitatori canadesi comporterà perdite di oltre 2,1 miliardi di dollari e 14.000 posti di lavoro negli Stati Uniti.
Intanto la Business Development Bank del Canada dichiarava che se ogni famiglia canadese dirottasse 25 dollari a settimana da prodotti esteri a quelli canadesi, il Pil nazionale aumenterebbe dello 0,7%, creando 60.000 posti di lavoro.
Nonostante ciò Trump non ha fatto marcia indietro. Al contrario, a marzo ha dichiarato dallo Studio Ovale che il Canada «ha senso» solo come Stato Usa. «Diventeremmo il Paese più incredibile, visivamente – ha spiegato –. Se guardate una mappa, hanno tracciato una linea artificiale che ci attraversa, tra Canada e Stati Uniti». Tutte frecciatine che dimostrano ai canadesi che il presidente americano non capisce che gran parte della loro identità si basa proprio sul fatto di non essere americani: «E non lo saremo mai. Ho molti amici statunitensi e mi fa infuriare quando scherzano sul fatto che diventerò americana – conclude Morency –. Ci vorrà molto tempo e un nuovo presidente prima che ritorni negli Usa».


Seconde case negli Usa: al via la grande «svendita»

Li chiamano gli “snow birds”, gli uccelli della neve, che volano al sud non appena le città canadesi si coprono di bianco e ritornano sopra il 49esimo parallelo solo al disgelo. La maggior parte sono pensionati, ma ci sono anche liberi professionisti e dipendenti in smart working a tempo pieno. Sono talmente tanti ad aver comprato un appartamento negli Stati più caldi degli Usa, soprattutto Florida, ma anche Arizona, Louisiana e Texas, che sono meno cari, che i canadesi rappresentano da tempo la quota maggiore di proprietari stranieri di immobili residenziali negli Stati Uniti, in media il 23%. Fino al gennaio scorso. Poi l’Amministrazione Trump ha annunciato nuovi dazi sul vicino del nord, facendo temere che il governo statunitense potesse penalizzare con nuovi balzelli i canadesi che possiedono case negli Stati Uniti. Più tardi ha imposto ai cittadini stranieri che soggiornano in America per più di 30 giorni di registrarsi, rendendo gli snow birds ancora più nervosi. I ripetuti riferimenti del presidente Usa al Canada come 51° Stato hanno fatto traboccare il vaso: da settimane i canadesi hanno messo in vendita le loro seconde negli Stati Uniti in numeri record, secondo gli agenti immobiliari locali, che sostengono che ciò che sta spingendo molti oltre ogni limite è la politica. Dazi del 25% su alcuni beni e riferimenti all’annessione del Canada fanno sentire i vicini sempre più indesiderati. «La parola chiave è incertezza», ha detto al Wall Street Journal Catherine Spino, agente immobiliare di Boca Raton, in Florida. Da gennaio, ha visto il triplo dei clienti canadesi mettere in vendita le proprie case rispetto al solito in questo periodo, e un netto calo di interesse ad acquistare. «Il cambiamento di clima è stato drastico – spiega – molti ora preferiscono restare a casa, anche durante l’inverno».


I due principali sfidanti

Il primo ministro

Il leader dei liberal Mark Carney ha vissuto a New York, Londra e Tokyo, ma è nato in una cittadina dell’estremo Nord canadese, sul 60esimo parallelo. Ha acquisito la cittadinanza irlandese e britannica, ed è stato capo della Banca d’Inghilterra dopo aver guidato la Banca del Canada durante la crisi del 2008. Non ha mai ricoperto cariche politiche, ma il mese scorso ha vinto facilmente le primarie per sostituire Justin Trudeau, diventando premier. Dice che le sue credenziali gli permetteranno di vincere la guerra commerciale di Donald Trump.

Il populista

Pierre Poilievre parla spesso delle sue origini per spiegare il suo populismo: nato da madre 16enne che lo ha dato in adozione, è stato accolto da due insegnanti. Ma a 20 anni, il futuro leader del partito conservatore aveva già ambizioni politiche, tanto da delineare la sua visione di bassa tassazione e governo ridotto in un concorso universitario: «Un dollaro nelle mani di consumatori è più produttivo di un dollaro speso dal governo», scrisse. Ai canadesi promette un ritorno al «buon senso», in alternativa al «socialismo autoritario» dei liberal.