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 2025  aprile 25 Venerdì calendario

Il Canada in crisi verso il voto. La rimonta del premier Carney

È iniziato il conto alla rovescia. Tra quattro giorni i canadesi sceglieranno il premier che dovrà tenere testa – e cercare di domare – il capriccioso vicino del Sud. Donald Trump non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro sui dazi: «Non vogliamo che il Canada produca auto per noi. Punto», ha ribadito. E ancora: «Il Canada cesserebbe di esistere se non fosse per gli Stati Uniti».
Nelle strade di Windsor, la Motor City che fronteggia Detroit, dove si producono i motori Ford e si assemblano le Voyager Chrysler, si parla solo di questo. Come nel resto del Paese, d’altronde. «Worry», preoccupazione, è la parola-chiave, l’elefante nella stanza delle elezioni federali che si sono di fatto trasformate in un duello: l’attuale premier liberale Mark Carney e il leader del Partito conservatore Pierre Poilievre stanno girando come trottole impazzite, dalle immense praterie occidentali alle aspre coste della Nuova Scozia – sei fusi orari in una sola nazione – per catturare gli ultimi voti prima di lunedì.
Carney, il tecnocrate prestato alla politica, è riuscito a resuscitare il Partito liberale dopo le dimissioni di Justin Trudeau, e dall’inizio della campagna elettorale è in vetta ai sondaggi. Il vantaggio su Poilievre è andato però assottigliandosi negli ultimi giorni. CTV News ieri li dava 42,9% a 39,9%, e molto dietro la sinistra dei New Democrat (7,2%). Durante l’ultimo dibattito in tv, tra i due sono volate scintille. «Hai passato anni a scontrarti con Justin Trudeau e la carbon tax ma se ne sono entrambi andati», ha detto Carney al leader conservatore, facendo riferimento alla tassa ecologica sul carbonio che ha subito eliminato. «Stai facendo un’ottima imitazione di lui con le stesse politiche stasera», ha ribattuto Poilievre.
Il primo, ex capo della Banca centrale, promette un «Canada Strong» (forte) grazie alla sue conoscenze di economista giramondo. Il secondo, ex enfant prodige della politica, arringa folle di giovani arrabbiati per l’impennata dei prezzi e affamati di un ricambio al potere, dopo un decennio di governo liberale, anche se il suo slogan «Canada First» assomiglia troppo all’«America First» dell’oggi odiatissimo Trump. Entrambi garantiscono tagli alle tasse e sostegno ai settori colpiti dai dazi americani. Ma se Carney preannuncia un forte deficit di bilancio, Poilievre intravede una nuova «età dell’oro», pompando combustibili fossili il più velocemente possibile per sostenere l’economia, senza però mettere in conto la probabile opposizione dei governi locali e delle Prime Nazioni sui cui territori i nuovi oleodotti dovrebbero passare.
«Il fattore Trump è la variabile più importante di queste elezioni. I suoi attacchi alla sovranità canadese e l’imposizione dei dazi hanno avuto un impatto fortissimo sul dibattito politico», conferma Daniel Béland, direttore dell’Institute for the Study of Canada alla McGill University di Montréal, in Quebec. «Carney è l’opposto di Trump, è il Draghi canadese, ma resta da vedere se sul lungo periodo un bravo banchiere può essere anche un bravo politico. Poilievre è ideologicamente lontano da Trump ma usa slogan populisti molto simili e assomigliargli in questo momento non è certo un vantaggio. È un politico d’attacco, molto aggressivo, il che funzionava bene all’opposizione ma come aspirante premier avrebbe dovuto proiettare un’immagine diversa. Solo nelle ultime settimane ha cambiato linea, forse è troppo tardi».
I liberali sono stati invece veloci a indirizzare la loro campagna verso la nuova minaccia. «Il vecchio rapporto fra Canada e Stati Uniti è finito», ha detto Carney già un mese fa. Se vincerà, oltre a Trump, dovrà però probabilmente affrontare anche il malessere delle province «petrolifere» dell’Occidente, Saskatchewan e Alberta, roccaforti anti liberal dove gli «angry conservatives» hanno cominciato a parlare di secessione.