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 2025  aprile 25 Venerdì calendario

Intervista a Sara Curtis

Capelli raccolti e tuta dell’Esercito. È appena iniziata la battaglia del caporale Sara Curtis: per abbattere record e pregiudizi. “Da prima nuotatrice italiana mulatta dico ai genitori: portate i bambini a nuotare, si divertono e salvano la vita”. Ha 18 anni, è nata a Savigliano (Cuneo) da mamma nigeriana, Helen, e papà Vincenzo, figlio di emigrati da Frosinone alla Fiat di Torino. Agli Assoluti di Riccione ha stabilito i primati nazionali nei 50 e 100 stile libero, superando nelle due vasche il crono del 2016 di Federica Pellegrini. È allenata da Thomas Maggiora, dopo la maturità all’Istituto tecnico economico turistico e i Mondiali di Singapore a luglio, andrà a studiare e nuotare all’Università della Virginia con la squadra di Todd DeSorbo, nominato coach dell’anno negli Stati Uniti.
Un esame dopo l’altro. Da quale iniziamo?
“Battere il record di Fede era il mio obiettivo, lei continua a essere un riferimento, mi è piaciuto il suo libro, Oro. Ci lavoro da tre anni sui 100, mai venuti decentemente, passavo forte con naturalezza ma scoppiavo al ritorno. Sono orgogliosissima di avercela fatta, è il frutto di sacrifici e fatica. Fino ai 12 anni ho fatto solo i 50, il che mi ha dato le fibre giuste da velocista ma forse mi ha un po’ rallentato dal punto di vista aerobico”.
Dorso, delfino e più distanze, il femminile di Ceccon?
“Thomas è di altissimo calibro, il paragone mi fa onore. Chissà, non escludo nulla. Mi ispiro alla svedese Sarah Sjöström, atleta longeva, ha 31 anni ed è incinta, bellissima la vittoria sui 100 a Parigi da una corsia laterale. Se hai un sogno, puoi farcela. Al Settecolli 2024 ero a podio con lei e Michelle Coleman, si è complimentata per le treccine, mi ha reso troppo fiera”.
Come ha iniziato?
“A due anni, piscina di Fossano, a sei già agonista. Mi è piaciuta subito tantissimo l’acqua, a parte il freddo. Mi ricordo i meeting all’aperto a Borgaro, pioveva sempre e io ero magrolina, mi appoggiavo sul bordo e piangevo per il gelo, non lo sopportavo. Ora sì, più o meno”.
La giornata tipo?
“Scuola al mattino, allenamento di due ore e mezza il pomeriggio 6 giorni su 7 tra piscina e palestra. Vasca da 25 metri a Savigliano, per quella da 50 vado con mezz’ora di treno a Cuneo mercoledì e venerdì. Lì nuoto anche in quella da 33 a discrezione di Thomas: lo ringrazio perché mi risparmia gli allenamenti alle 5 del mattino”.
Obiettivo ai Mondiali a Singapore?
“Ho il primo crono stagionale mondiale, ma devono ancora nuotare le australiane e le altre. Punto alla finale e, se ci arrivo, per scaramanzia non dico. Crescerò comunque, non solo sportivamente. Voglio anche divertirmi e vivere con leggerezza il primo Mondiale in vasca lunga, alle Olimpiadi ero sulle nuvole, emozionata, per me Parigi è stato uno spettacolo iconico, magari Singapore sarà meno teatrale”.
Prima la maturità, poi l’America.
“Finalmente ma anche purtroppo. Mi dispiace lasciare i compagni: siamo nove in classe, tutte donne tranne uno, Joshua. In Virginia dovrei rimanere quattro anni, forse studierò psicologia. Ho fatto inglese, francese, tedesco, amo il diritto, mi piacciono i gialli, di recente ho letto La Verità sul caso Harry Quebert, di Joël Dicker. Ma anche la poesia: scrivo appunti con carta e penna, mi aiuta a fissare le cose e a fare ordine nella testa. La salute mentale mi interessa”.
Mai sofferto?
“No, ma apprezzo chi ne parla, stimo Simone Biles anche per questo, oltre al fatto che avrei voluto fare ginnastica artistica, ma sono troppo alta. Nello sport se ti nutri di parole belle e sagge, il tuo corpo va verso una direzione positiva, se gli trasmetti vibrazioni negative, ne risente. Il nuotatore, poi, deve resistere alla solitudine della piscina. E avere una vita tra virgolette normale: passioni, uscite, studio. Ascolto il podcast di Lorenzo Zazzeri e Matteo Restivo su doppia carriera ed equilibrio tra studio e sport, che aiuta a primeggiare. Il nuoto è molto mentale: silenzio in vasca e concentrazione massima, può diventare deleterio e alienante. Io sono fortunata: ho una famiglia che mi offre una doppia visione sulle cose”.
Cosa intende?
“Sono cresciuta con una cultura mista e una sensibilità in più grazie a mia mamma, migrata per cercare un futuro migliore: le sarò sempre grata per la persona che è e per la persona che mi ha fatto diventare. Ha fatto atletica da ragazza, i miei amici quando vengono a casa vanno prima da lei, che è molto più simpatica di me. Arrivata a Torino a 20 anni, ha conosciuto papà al mercato di Porta Palazzo: colpo di fulmine come nei film. Viviamo a Genola, lei lavora alla Balocco ma non le piacciono i dolci, mio papà è autotrasportatore e ciclista. Mio fratello Andrea, 21 anni, è elettricista. Abbiamo parenti in Irlanda, Germania, Florida, Boston. Mai stata in Nigeria ma vorrei tanto, ho conosciuto mia nonna solo quattro anni fa: con i figli sparsi nel mondo, è una globetrotter”.
Mai subito episodi di razzismo?
“No, a parte le battutine dei bimbi, credo ascoltate dai genitori. Risposi in malo modo a uno, non me ne pento. Da piccola ho patito i capelli ricci, li ho stirati fino a bruciarli per averli lisci, e ho sempre odiato il nero dei miei occhi, li avrei voluti azzurri o verdi come le mie compagne di classe che erano pure bionde. Io neanche mi ero accorta di essere “diversa” in piscina, fino a quando a 15 anni non me lo hanno fatto notare. Sono appena stata in vacanza a Londra, la mia città preferita: multietnica, viva, mobile. In Italia siamo un po’ indietro, c’è tanto da lavorare e sensibilizzare”.
Sente qualche responsabilità?
“Quella di spronare le famiglie con figli di seconda generazione a nuotare. A questo lavora in America Simone Manuel, campionessa olimpica dei 100 a Rio. Per me il nuoto dovrebbe essere un obbligo per tutti. C’è un pregiudizio forte contro gli atleti neri o afrodiscendenti basato su studi che non condivido, secondo cui hanno ossa più pesanti. In Africa si fa atletica perché non c’è acqua né piscine, tutto qui. Anch’io se fossi nata lì non avrei nuotato”.