la Repubblica, 25 aprile 2025
Orgogliosamente falsi: su TikTok i produttori cinesi rispondono ai dazi vendendo copie a basso costo
I grandi brand del lusso sono pigri, si limitano a comprare la nostra merce, realizzata con i migliori materiali, e ad aggiungerci il loro logo. Sono io a realizzare da vent’anni, qui in Cina, le borse italiane e francesi che tanto sognate. Ammettetelo: volere una borsa di marca è solo un atto di vanità». Chi parla su TikTok è l’utente Luxebags68, un giovane uomo cinese dall’inglese perfetto e la voce accorata. A sorpresa di tutti è lui l’incarnazione della risposta da parte della Cina, almeno nella moda, all’aggressiva politica dei dazi di Trump.
La strategia di Luxebags68 è semplice: le nuove tariffe non gli permettono più di vendere ai marchi come ha sempre fatto, perché le tasse sono diventate troppo alte. Quindi, le vende direttamente al pubblico, che così può aggiudicarsi a un decimo del prezzo borse che, garantisce lui, normalmente costerebbero dieci, quindicimila euro; l’ordine lo si fa via Whatsapp, si pagano 50 dollari per la spedizione in tutto il mondo, si aspettano tra le 4 e le 6 settimane, e il gioco è fatto. Parla circondato da decine di Gucci, Vuitton, Chanel: tutte originali, giura. Tutte fatte da lui. «Ci mettiamo 6 giorni per realizzare una Kelly di Hermès. In negozio la paghereste 30 mila euro, da me 1500. Perché tanto costa farla».
Luxebags68 non è certo l’unico. Basta che l’algoritmo social colga un interesse per la materia, che ci si ritrova i profili invasi di vendite in diretta e sedicenti produttori di pezzi made in Italy o made in France fatti in Cina, e venduti a una frazione del loro teorico valore. C’è il veterano Wangsen, secondo cui l’ottanta per cento del lusso è prodotto nel Paese asiatico. L’artigiano Wukong, che fa tutto a mano. Luna, che promuove le aziende che producono per i brand americani di sportswear come Under Armour e Lululemon. Ma è impossibile tenere il conto, ogni istante ne arrivano di nuovi. Tutti ripetono la stessa solfa: le borse di lusso che vi piacciono tanto le facciamo noi, non credete a chi dice il contrario. Vero o falso che sia, a giudicare dalla quantità di utenti che esibiscono i loro acquisti, molti gli credono.
Una simile risonanza globale non si spiega solo con la minaccia dei dazi: è una combinazione di più elementi, con la politica di Trump a fare da ciliegina sulla torta. Prima di tutto, va rilevato che il lusso versa in una crisi profonda dovuta anche al vertiginoso aumento dei prezzi. Gran parte dei consumatori considerano quelle cifre sproporzionate e, frustrati, hanno iniziato a cercare alternative. Contemporaneamente, tra i più giovani ha preso piede la cultura dei dupe, cioè le repliche a basso costo di prodotti beauty e moda, che ha “moralmente” sdoganato l’acquistare una copia. Perché qui di falsi si tratta, non ci sono dubbi.
Infine, c’è da tenere conto anche della confusione su cosa possa essere definito come made in Italy, che fa sì che molti credano a quello che sentono sui social. «I criteri per applicare il termine sono due: quello della merce interamente lavorata e prodotta in Italia, e quello dell’ultima lavorazione sostanziale», spiega l’avvocata Federica Santonocito, partner dello studio Morri Rossetti & Franzosi. «Nel primo caso non ci sono dubbi sulla veridicità della dicitura, nel secondo questa si applica solo qualora il risultato ha composizione e proprietà che non possedeva prima». L’elenco dei processi attraverso cui si diventa made in Italy è sempre più specifico, per garantire la massima trasparenza. «Di recente la Cassazione ha stabilito che costituisce falsa indicazione la dicitura su merci non originarie dall’Italia, anche quando viene indicata la loro origine estera, punendo inoltre l’uso di segni che possano anche solo indurre il consumatore a pensare che il prodotto sia di origine italiana».
Quindi no: non basta cucire un’etichetta per essere made in Italy. Quella in corso su TikTok non è una rivoluzione dei consumi, ma solo un’operazione commerciale portata avanti dal fiorente mercato dei falsi cinesi, che sta sfruttando il momento. E infatti, alla luce dell’attenzione mediatica che certi account stanno ricevendo, TikTok ne ha sospesi diversi: vendere come originali pezzi che non lo sono non è permesso, neanche nel caos dei social media.
E così, si sta assistendo a un repentino cambio di rotta: nelle ultime ore c’è chi è passato dallo spiegare come produce per i grandi brand, a dire che «Se pensate che una borsa falsa sia cheap è solo perché non ne avete mai vista una ben fatta come le mie». Un bel cambio rispetto alla garanzia di originalità di pochi giorni fa. Altri hanno iniziato a specificare che le loro repliche non hanno loghi, quind non sono copie illegali (via Whatsapp si può chiedere di aggiungerlo). Ma il migliore è Wangsen, che si lamenta degli imitatori che gli rubano i post e li spacciano per propri, invitando il pubblico a diffidare dei falsi. L’ironia della cosa pare sfuggirgli.