La Stampa, 25 aprile 2025
Intervista a Francesco Baccini
Il signor Baccini? Sono un collaboratore de La Stampa. Le volevo chiedere un’intervista. Mi scusi, la richiamo perché ho sette cani che stanno inseguendo una faina.
Dieci minuti dopo, il cantante famoso (anche) per somigliare fisicamente e musicalmente all’immenso Luigi Tenco mi manda un video con i suoi, di cani, e le sue oche. Qui comincia l’avventura di una chiacchierata durata settimane e anche un’amicizia, da allora, alimentata da cantate in videochiamata, scambi di pareri sulla qualsiasi, foto di rispettivi animali e via così. Una cosa è certa. Baccini dorme due ore al giorno (forse). Fa centomila cose, non sta fermo un secondo tanto che se lo fotografi viene mosso (cit. Gabriele Romagnoli). Cantautore, cantante, musicista, scrittore, attore, regista e chi più ne ha, di fianco a lui è meglio che non ne metta. Perderebbe facile.
Quindi fa il Cincinnato in campagna. Dove?
«Vicino a Lecco, da 25 anni, pur essendo nato e cresciuto in città. A Milano l’unica cosa verde sono gli autobus. Un giorno ho fatto un passeggiata qui in collina e mi sono commosso. Per noi genovesi l’unica pianura è quella del terreno dello stadio Marassi. Vivo qui con il bassotto Salsiccia, il labrador Cioko, una bastardina presa da un canile lager che si chiama Lola e quattro oche che ho trovato vicino a un fiume. Una mi seguiva come un cagnolino e le ho portate a casa tutte perché soffrono a stare da sole».
Il suo amico Sergio Caputo mi ha detto che lei non ha voglia di fare niente. Non mi pare…
(ride) «Ha ragione, invece. La pigrizia è uno dei miei cento difetti. Ogni tanto la vinco e divento una macchina da guerra. Sono un diesel, non vado a propormi, non mi metto in mostra… Faccio in modo che vengano a citofonare. Ho questo potere, mi concentro, penso una cosa e mi viene a cercare».
Lei è stato popolarissimo per anni. Poi è quasi sparito. La pigrizia?
«No, ho continuato a fare album, 14 per la precisione, ma a un certo punto ho litigato con una major e ho fatto due dischi con un’etichetta indipendente. Però non li mandano in radio e in tivù, quindi mi sono rotto le balle. Ho un sacco di canzoni mai sentite perché nessuno le ha trasmesse. All’inizio mi ci incazzavo ma va così, guardano soltanto Sanremo».
Eppure si diceva e scriveva di lei come il nuovo De Andrè.
«Mi hanno definito il nuovo Conte, il nuovo Faber, il nuovo Tenco… poi hanno finito i nomi. Mi hanno pure etichettato come un cantautore demenziale. In realtà ho una vocalità mia e ho scritto sempre pezzi con argomenti precisi, spesso sociali. Giusto all’inizio, in Cartoons, parlavo di frivolezze, di fotomodelle, erano gli anni della Milano da bere e prendevo in giro quel mondo finto che è stato l’inizio del baratro culturale. Infatti oggi conta solo l’immagine. Mah. Io sentivo i Police e non ho mai pensato alla marca di camicie di Sting».
Però lei ha suonato con De Andrè. Mica male.
«Eravamo amici, molto. Fabrizio aveva pochi amici nell’ambiente e non frequentava nessuno. Quando avevo 30 anni dicevano che somigliavo fisicamente a Tenco. De Andrè fu uno dei primi e lui adorava Luigi. Lo stesso mi disse Arbore che mi invitò al programma Doc e Lucio Dalla che mi fece mettere sotto contratto dalla sua etichetta, la stessa di Tenco».
Alla faccia. Faber, Tenco, Arbore, Dalla, poi pure Freak Antoni. Con amici così i nemici possono attaccarsi al tram.
«Eh… Freak… Che persona eccezionale. Un grande amico, un genio. Uno dei miei primi concerti di musica leggera, perché io vengo dalla classica, è stato nel ’77. Gli Skiantos tiravano l’acqua addosso al pubblico di merda, come cantavano loro. Nel mio prossimo lavoro ci sarà un omaggio a Freak».
Poi ha fatto anche dei reality. Tipo Music Farm. Aridaje con sta fattoria.
«Ne ho fatto uno solo e mi basta per le prossime vite. Era una fattoria ma gli animali eravamo noi concorrenti. Non volevo andarci ma avevo subìto una truffa da un manager e avevo bisogno di soldi. Ma lì dentro sono impazzito. Quaranta giorni con Iva Zanicchi… sembravo Alberto Sordi in Detenuto in attesa di giudizio».
"Qua qua qua quando, si innamorò di lei”. La cito, anche se storpiandola, per introdurre il discorso Dolcenera con tanto di bestemmia in diretta che le costò l’eliminazione.
«Tutto vero, dovevo trovare un modo per sopravvivere. Con Dolcenera è stata una storia in cattività, non dico pilotata ma non sarebbe successo nella vita reale. Chiuso con dieci persone ti fidanzi per forza con qualcuno. Sono trasmissioni per psicanalisti, prove di sopravvivenza. Infatti fuori da lì non l’ho più rivista».
E adesso che cosa fa?
«Un sacco di robe. Un disco nuovo dopo 18 anni… sono peggio dei Cure. Nel 2011 è uscito Baccini canta Tenco. Venti canzoni di Luigi che mi hanno fatto vincere la seconda targa Tenco, uno spettacolo che ha girato per tre anni, veramente bello e ne vado fiero. Poi ho fatto l’album con Caputo ed è stato molto divertente. E Archi e frecce, un disco super acustico con inediti e vari generi dalla classica al blues».
Ascolta colleghi italiani?
«Lucio Corsi lo ascoltavo prima di Sanremo. Mi è piaciuto molto Unplugged di Salmo ma purtroppo la contro-cultura non trova spazio, comanda il mainstream. Ascolto musica straniera, a parte Vasco Brondi, bravo e interessante. In un altro periodo storico sarebbe famosissimo».
Poi il calcio. È un grande tifoso del Genoa e su whatsapp si firma con il grifone.
«Da piccolo pensavo di fare il calciatore, ho giocato nella primavera della Sampdoria ma un grave incidente mi ha detto stop. Sono stato operato tre volte. Adesso vado a vedere il “Zena” in tribuna perché sto invecchiando, prima ero un ultras. Il Genoa non è una squadra, è molto di più. L’ha dimostrato bene, anni fa, il grandissimo Serse Cosmi. Lo adoravo e con me tutti i tifosi rossoblu. Quando prendeva a calci qualsiasi cosa era uno spettacolo. A volte neanche vedevo la partita, guardavo lui. Immenso».
La top five di Baccini?
«Urca… aspetta… vediamo… Tosta, eh. Prima: Le donne di Modena, perché è il mio distintivo. Un pezzo ironico che prende in giro il “galletto” maschio italico. Dicevano che era un brano omofobo… non scherziamo. Io sono politically scorrect ma non su questo tema. Certo, sono contrario alle quote rosa e a ste minchiate. Seconda. Ti amo e non lo sai, la mia prima canzone d’amore. Terza, ne metto una del ’96, Film, raccontava le nuove generazioni di trent’anni fa. Il disagio giovanile, quelli che per noia si ammazzavano di tutto e facevano disastri. Quando la canto oggi, pensano sia scritta adesso. Quarta, Il signore della notte, un inedito dell’ultimo album. Racconta me, uno che non dorme mai e quando lo faccio mi sveglia il bassotto. Mai scritto una canzone di mattina. Mai. Quinta… Vabbè, scelgo una canzone mai sentita perché pubblicata da un’etichetta indipendente, Una notte di neve dedicata a mia madre. Avevo un rapporto strano con lei. Mi ha partorito a 40 anni, dopo una sorella morta a due anni e mezzo, figlio di un voto a San Francesco da Paola e sono nato il 4 ottobre, il giorno di San Francesco d’Assisi. Insomma, più Francesco di me non c’è nessuno. Ma per compleanno e onomastico mi chiudo in casa, detesto gli auguri, nel mio caso doppi. Mi eclisso». —