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 2025  aprile 25 Venerdì calendario

Claudio Amendola: "Sono un godurioso, il cibo è una gioia. L’AI non vincerà sull’emozione degli attori"

Il suo curriculum recita: attore, Cesarone e «cintura nera di forchetta». Tre qualità che promuovono Claudio Amendola a Gladiatore della Garbatella («meglio centurione: i gladiatori mica so’ romani, erano schiavi») autorizzandolo a scatenare l’inferno tra le cucine lombarde. Qui, nel cuore di Milano, il celebre attore ha appena aperto Cascina Romana: un locale su due piani – e con due volti e menù, uno «de coccio», l’altro più ricercato – che propone piatti rigorosamente capitolini. Con un bel bancone dove si può mangiare accanto a perfetti sconosciuti, per fraternizzare.
In una società dove i piatti si fotografano, bisogna tornare ad avere un rapporto di pancia con il cibo?
«Lungi da me educare qualcuno, però la peculiarità della cucina romana è sicuramente l’accoglienza: da noi si mettono le zampe sotto il tavolo e si sta là, a mangiare. Mi piacciono i pranzi lunghi, godermi i piatti, la compagnia. A casa mia, Francesca Neri, mio figlio ed io pranzavamo e cenavamo sempre insieme. Era un momento fondamentale per noi».
Anche la bottiglieria dei Cesaroni diventerà un ristorante. Andrà meglio a lei o al suo alter ego Giulio?
«Diciamo che lui ce prova. Quanto a me, è presto per fare bilanci ma dai sorrisi vedo che la clientela è soddisfatta. So che non sto inventando nulla: non sono il primo, né l’ultimo, a portare qui la cucina romana. Ci sono pure tanti colleghi e amici, come Luca Argentero ed Edoardo Leo. Non è una gara a chi fa la carbonara più buona, anche se poi sono felice se mi dicono, come è successo, che la mia è la migliore pasta».
Dunque, senza rancore?
«Milano è grande, ’a voglia de bocche da sfama’. Luca ed Edoardo vengono a mangiare da me, e io da loro».
A Roma spopolano la carbonara veg e l’amatriciana light. Troveranno mai cittadinanza da lei?
«No. Ognuno è libero di sperimentare, però… magnatevele voi».
Il suo rapporto con il cibo?
«Meraviglioso e conflittuale. Sono un godurioso, e se c’è un senso che a 62 anni mi funziona ancora bene è il palato. Non mangio più come a trent’anni – sennò muoio – ma sedersi a tavola resta una gioia».
Mai sofferto di disordini alimentari?
«Sono equilibrato, anche se a modo mio. Quando non giro, mangio e metto su quei 5 kg in più. Poi a ridosso del ciak mi metto a dieta ma non mi pesa: non sto male, non mi alzo la notte con la fame perché sono motivato. Il fatto che non lo patisca mi fa capire che non ho un disturbo alimentare. Dietro al cibo possono esserci problemi gravi, a volte gravissimi, o il semplice piacere di godersi una parte bellissima di vita».
Mangia solo o cucina anche?
«Ho la fortuna di avere un figlio che adora spadellare e che abita ancora con me. È lui lo chef: bravissimo, segue molti ristoranti di nicchia, ama provare nuovi sapori».
Il profumo di casa?
«La pasta con i broccoli siciliani. Mia mamma viene da una famiglia palermitana e quando la cucinava tutta la casa si impregnava di quel meraviglioso odore, mezzo arabo».
Il piatto della sua infanzia?
«Il menù di nonna Amelia: spaghetti al sugo di salsiccia, salsicce al sugo, patate fritte e fettine panate. Tutto in una volta. Ero il bambino (col fegato ingrossato) più felice della terra».

A Cascina Romana fate l’introvabile Cappuccino di baccalà: un’altra sua passione?
«L’ho scoperto, e amato, da adulto grazie al mio socio Andrea La Caita e allo chef Adriano Baldassarre.
È uno dei piatti forti della nostra proposta più sofisticata, insieme alla Fettuccina del cornuto e alla cipolla cremosa».
Il tutto a prezzi ragionevoli. Come ci riesce con questi venti di crisi?
«Basta non essere dei gargarozzoni. Preferisco incassare un po’ meno subito, ma durare nel tempo. Prenda il mio ristorante a Valmontone: per 15 anni non ho mai alzato un prezzo. Solo dopo il Covid ho maggiorato di 50 centesimi i piatti e i clienti mi hanno detto: “Era ora, oh!"
. La verità è che beauty e food sono delle certezze: puoi solo sbagliare tu».
Non teme nemmeno gli effetti dei dazi di Trump?
«Onestamente non gli riconosco una grande statura politica: secondo me sta sparando nel mucchio per vedere cosa prende, alla pacco, paccotto e contropaccotto. Sono quindi preoccupato il giusto e credo che l’Europa sia meglio non provocarla troppo, perché se si ricorda chi è e da dove viene, non ce n’è per nessuno. Il mondo parte da Atene».
Peccato sia un filino disunita.
«Quando massacri il tuo nemico, finisci che gli fai trovare un punto di unione».
Ha faticato a trovare personale per Cascina Romana?
«Un po’ per la sala. Non come numeri ma come qualità. Oggi il cameriere è quel lavoro che fai in attesa di diventare il nuovo Musk. Ma quanti ce ne sono di Musk? Uno solo (aggiungerei: per fortuna). Questa società distoglie i giovani dai lavori manuali, peccato che alla fine pochi diventano calciatori».
Ha detto: la ristorazione è il mio piano B, perché l’IA cancellerà gli attori. Una battuta?
«Una mezza battuta. Sono preoccupato, anche se nessuna macchina potrà mai dire una battuta con la stessa intensità di un Elio Germano».

Dal 2026 l’Academy premierà anche gli attori che ricorrono all’IA per correggere i difetti di dizione. Che ne pensa?
«È assurdo. Hai l’accento? Studia e levatelo. Punto.
Quando feci Mery per sempre, sono stato tre mesi a Palermo con Tony Sperandeo che mi portava tutti i santi giorni nei locali, dicendomi: “Ascolta la musica” cioè la parlata. Così si fa. Ora è diverso, pure nelle canzoni: con l’auto-tune so’ tutti Giorgia, senza averne la voce. C’è una rincorsa alla perfezione quando invece Dio è nell’imperfezione. È la fallibilità che, da artista, mi interessa».