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 2025  aprile 25 Venerdì calendario

Uomini che odiano il matriarcato: a Delhi la piazza anti-donne

Mi sono fermata a Delhi nei giorni in cui c’è stata la visita di J.D. Vance ed è davvero un peccato non averlo incontrato a una manifestazione in cui mi sono imbattuta per caso, fuori dal mio hotel, proprio nella Capitale indiana. Credo che il vicepresidente degli Stati Uniti – uno che suggerisce alle donne di sopportare relazioni violente per il bene dei figli – si sarebbe trovato perfettamente a suo agio. Anzi, probabilmente avrebbe indossato un turbante sikh e si sarebbe unito ai maschi indiani radunati in un ampio spiazzo di Delhi per protestare contro le donne bugiarde, arcigne e avide, nonché su quelle che definivano “leggi di genere”.
Ebbene sì, in uno dei paesi col più alto numero di molestie e violenze sessuali sulle donne, mi è toccato il supplizio di inciampare in un raduno di maschi convinti che le donne indiane siano il Male, che la legge le protegga sfavorendo gli uomini e che i poveri maschi siano sfruttati e accusati falsamente di violenze sessuali. Soprattutto, questi maschi variopinti e a tratti inquietanti, non avendo la più pallida idea di chi fossi e del fatto che in Italia mi avrebbero forse linciata, erano convinti che mi trovassi lì per solidarizzare. Per sostenere il Save indian family movement – Satyagraha for men. E dunque, approfittando dell’equivoco, da donna-strega quale sono, li ho fatti sfogare. Mi sono spacciata per ancella del patriarcato indiano e annuivo a dichiarazioni misogine per cui in Italia mi sarei fatta brillare. Vado a descrivervi i partecipanti alla manifestazione: alcuni mostravano lunghi striscioni su cui campeggiavano immagini simboliche del tipo “una scarpa rossa con tacco a spillo che calpesta un mocassino da uomo”. Le scritte erano: “Gli uomini sono un bancomat”, “Basta atrocità contro gli uomini”, “Più del 73% dei suicidi sono di uomini”, “Stop all’alienazione parentale”, “Men Lives matter”. E anche un clamoroso “Il matrimonio è il nuovo racket”. Ma c’erano anche cartelli più naïf: per esempio l’immagine di un uomo con un lucchetto sulle mutande e la scritta “Protesta contro la legge sullo stupro coniugale – sciopero del pene”. Poi la foto di una donna indiana che mangiava banconote. Un signore con il turbante rosso porpora aveva un cartello con su scritto “Stop al mantenimento” accanto all’immagine di una moglie indiana obesa che arraffava banconote. Su quel cartello c’era anche il numero d’emergenza da chiamare per i maschi in difficoltà. Il movimento, insomma, ha aperto pure un centralino per risolvere la tragica piaga dei maschi abusati in India, un piaga ben più grave della povertà, della mancanza di ospedali, dell’acqua corrente. E ovviamente della violenza sulle donne (in India ci sono state 446 mila denunce per violenza di genere solo nel 2022).
Cerco di rimanere fredda e distaccata, vorrei chiedere al signore come mai la donna sul cartello sia raffigurata come un’avida cicciona e se lui si sente Brad Pitt, ma mi piomba davanti l’ennesimo tizio sciroccato con un altro cartello: la donna disegnata, in questo caso, è magra ma ha una faccia da coccodrillo piangente e poi una seconda testa, quella di una strega. Con una falce in mano. In pratica è come essere a una puntata de La Zanzara in salsa indiana. Un tizio con la faccia insolitamente normale mi osserva mentre parlo con una galleria di casi umani che mi fanno venire il desiderio di chiamare io quel numero d’emergenza per chiedere aiuto, e mi si avvicina. È quello presentabile nel gruppo di impresentabili, il “Crosetto” della situazione. Si offre di rilasciarmi un’intervista. Gli chiedo se non pensi che il femminismo, soprattutto in un paese come l’India, sia necessario. “Le richieste del femminismo di ottenere una parità sono state superate a discapito degli uomini. Qui abbiamo una commissione per l’ambiente, per le strade, per le donne, per gli animali ma non per la tutela degli interessi maschili!”, mi risponde. Replico che se qualche passo verso l’emancipazione magari è avvenuto nelle grandi città indiane, nell’India più rurale le donne sono ancora fortemente svantaggiate. Il tizio ha un aneddoto buono pure per questo:
“Non è vero. In un villaggio una donna ha tradito il marito e per coprire il suo tradimento ha ucciso il marito in accordo con l’amante. Hanno finto che l’avesse ucciso un cobra!”. Ah be’, un dato empirico inconfutabile.
Mi si avvicina un altro uomo piuttosto agitato e mi racconta che lui è un caso famoso in India. Dal 2010 al 2018, in seguito alle accuse di violenza della moglie, è stato processato e poi assolto. Mi mostra alcuni articoli di giornale su Google. Gli chiedo cosa abbia fatto dopo l’assoluzione e dalla gallery del telefono seleziona la foto di una torta con stampata sopra la sentenza di assoluzione del tribunale indiano. “Il femminismo è contro le donne, non bisognerebbe parlare di femminismo, ma di uguaglianza tra i generi”, esclama.
Ovviamente i maschi presenti sono tutti complottisti e pensano che le femministe siano finanziate dai poteri forti, che controllino le stanze dei bottoni, la magistratura, la politica, la polizia. C’è anche una sfilza di cartelloni con le immagini di uomini che si sarebbero suicidati per colpa di imprecisati abusi da parte di mogli e/o suocere.
A un certo punto noto una donna sulla cinquantina che si muove scortata da un piccolo esercito di maschi. Anche lei sostiene le istanze maschiliste, la fascetta sulla fronte con il nome del movimento stampato sopra non lascia spazio a dubbi. Chiedo se posso intervistarla, ma è praticamente l’unica persona lì a non parlare inglese (strano, visto che ormai queste benedette donne indiane hanno raggiunto la parità!). Un tizio si offre di fare da interprete. La signora mi spiega che è lì per suo figlio, perché la moglie di lui, dopo che si erano lasciati, gli negava la possibilità di vedere il loro bambino. La faccio parlare un po’, lei si sfoga contro le donne brutte e cattive, poi – quando stiamo per salutarci – le pongo una domanda semplice: “Ma lei suo marito se l’è scelto o qualcuno l’ha scelto per lei?”. “L’ha scelto mio padre”, mi risponde.
Ecco, appunto.