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 2025  aprile 25 Venerdì calendario

Giovanni Muciaccia: «Ho rischiato di morire contro un’onda di 4 metri. Anna Falchi? Avrei dovuto fare il suo amante ma non ero credibile»


Giovanni Muciaccia per diverse generazioni d’italiani è il volto amico di Art Attack. Il simpatico maestro di arte che dalla televisione guidava i bambini a creare delle vere e proprie opere. Sempre con forbice arrotondata e tanta creatività. Oggi, che ha 55 anni, il conduttore di Foggia gira l’Italia a teatro. Ospite di Daniele Tinti e Stefano Rapone a Tintoria ha ripercorso la sua carriera e raccontato alcune curiosità sulla sua vita. Vediamo cosa ha detto.
Contro i raccomandati
«Mi deludono raccomandati a qualsiasi livello nella vita. Li trovo deludenti e questo succede anche negli artisti. Ogni tanto vedi qualcuno che è palesemente raccomandato, appoggiato magari dal sistema dell’arte o dal sistema politico perché non è possibile che esponga in quel luogo. È un luogo troppo importante, un artista troppo giovane, non non è possibile. Di solito non è bravo, quindi un raccomandato è uno che ruba, è un ladro a tutti gli effetti. Porta via il lavoro a un’altra persona e lo trovo un fatto gravissimo».
A teatro
«Ogni anno e mezzo o ogni due anni, scrivo uno spettacolo nuovo e di solito li faccio alle fiere di fumetti. Lo spettacolo “Ieri, oggi e domani” nasce per il teatro. Parla di quello che è stato ieri attraverso un effetto nostalgico e arriva all’oggi per capire quello che siamo diventati, portandoci verso il futuro che immaginiamo. Lo faccio sempre nel mio stile, prendendovi per mano, parlandovi di arte. Non è uno spettacolo per bambini, nasce per le generazioni che sono cresciute con me ma anche per i genitori che mi seguivano in Art Attack. L’esordio sarà il 2 maggio a Milano al Teatro Manzoni, poi sono qui a Roma il 3 maggio e poi sarò il 15 maggio a Torino e poi vediamo».
Gli inizi
«Sono partito da una città piccola della Puglia, che è Foggia ed è una città che aveva all’epoca 180mila abitanti. Non offriva tantissimo, un po’ come tutte le città del Sud. Io volevo fare l’attore perché venivo dai villaggi turistici, avevo deciso che volevo fare sul serio, volevo volevo imparare il mestiere. Arrivo a Roma avendo fatto una piccola scuola di teatro a Foggia, frequento un corso di di recitazione privato e poi riesco a vincere la prima borsa di studio. Poi da lì arriva il teatro classico con un’altra borsa di studio che vinco e finisco una tournée, a settembre faccio un provino in Rai e e mi prendono a fare Disney Club».
Disney Club
«All’inizio non è stato semplice, è proprio perché ero abituato a lavorare a battuta. Io sono entrato al posto di un di Riccardo Salerno. Lo presero a fare un cortometraggio, una specie di serial killer dove ammazzava le vecchiette e alla Disney non stava bene. Chiamano alla scuola di recitazione, eravamo in 25 dalla mia scuola e facevamo questo provino. In Italia esprimevano delle preferenze, ma poi la la scelta definitiva avveniva a Los Angeles, dove gli americani decidevano perché tutti i programmi Disney sono capilarizzati nel mondo, cioè ha ragione di esistere se viene distribuito a livello mondiale. Mi prendono gli americani, mi scelgono e inizia questa avventura con con la Disney. Poi ho continuato con Rai, un paio di anni Banda dello Zecchino».
Topo Gigio
«Gigio è stato raccontato poco, ho avuto la grande fortuna di lavorarci a “La banda dello Zecchino”. C’era Gigio Tarzan, Gigio Cacciatore, c’erano tutti i Gigio. Nelle scene più complesse c’erano anche 5-6 persone dietro che lo muovevano. In una scena mi avvicinavo e c’avevo un pappagallo di quelli sai col piumaggio lungo. Noto con la coda dell’occhio che il pappagallo mi punta dove ho un neo. Gigio comincia a salirmi sul braccio, a parlare e mi sale sul braccio. Il pappagallo, non so perché, mi dà una beccata sul neo. Io faccio un zompo e il pappagallo parte e va in mezzo alle luci. Chiusero lo studio per due ore per recuperarlo. C’era l’addestratore disperato»
Limiti Disney
«Non potevi fumare in presenza di bambini piccoli. Qualsiasi cosa fai devi stare sempre un po’ in campana. I contratti erano ferrei. I tatuaggi non potevano essere a vista perché sarebbe stata poi possibile emulazione da parte dei bambini»
Gli anni bui
«Art Attack arriva nel ’98, dopo due anni e mezzo fermo drammatici.
Pensavo proprio di mollare, a un certo punto non sapevo più che fare. Quando ti capita soffri come un cane. Hai fatto 3 anni di televisione, hai 25-26 anni e improvvisamente non c’è più niente. Sono tornato un po’ al teatro, ho fatto qualche pubblicità, però non riuscivi a vivere del del del tuo lavoro. Mi sono serviti perché mi hanno insegnato a gestirmi meglio crescendo. Ho capito che noi dobbiamo fare un po’ come le formiche. Quando lavori metti nel granaio e non fai spendi e spandi».
Pubblicità Pantene
«Feci un paio di pubblicità importanti. Feci un Pantene anti forfora. Mi chiesero di non lavarmi i capelli per 15 giorni per farmi venire la forfora, ma non mi veniva. E quindi me la facevano finta sul set, sono stato seduto tipo 2 ore e mezzo. Dovevano fare un rallenty del ciuffo, poi a un certo punto nella pubblicità mi lavavo i capelli. Si doveva vedere questo ciuffo che tornava. Mi puntano questa cosa sulla testa e con un pettine tirano il ciuffo e poi il ciuffo tornava. M’hanno cotto i capelli, tutto».
Anna Falchi
«Andai vicino a fare due film. Uno era con Dino Risi, il remake di Poveri ma belli. Dovevo essere l’amante di Anna Falchi ma non ero credibile, non mi presero perché dicevano che a fianco a lei sembravo il fratello quello più piccolo. Non so se è una leggenda, però dicevano che al posto mio hanno preso un attore che chi si occupava del casting ha incontrato sulla metro. Poi andai molto vicino a fare un altro film che era Marciando nel buio, che era un film di Spano. Un film di una storia di omosessualità, io ero un militare in caserma».
Il provino per Art Attack
«Il provino è arrivato perché stavo con un’agenzia che mi gestiva che stava a Roma. Ne feci tre di provini. Non sapevano se prendere un uomo, una donna. Mi trovai anche a fare dei provini in coppia. Volevano uno con grande manualità e quindi gli portai un cagnolino con degli stuzzicadenti e dell’uva passa che mi si smontava mentre lo facevo. Io li raccoglievo mentre parlavo, a loro piacque questo modo simpatico di raccontare».
Le registrazioni
«Si registrava a Londra, andando poi in onda in 32 paesi nel mondo. C’era un unico studio e i conduttori arrivavano lì da ogni parte del mondo. Arrivavo e facevo una settimana di prove per vedere quali erano gli artwork. Quindi arrivavano tutti gli assistenti con gli scatoloni, mi facevano vedere tutta una serie di fasi intermedie. Mentre io provavo in studio c’era il francese che stava girando con un regista X e in un’altra saletta c’era il portoghese che stava doppiando le famose mani. Avevano ottimizzato i i costi di produzione, quindi utilizzavano un manista, poi smontavano tutti quei primi piani e noi facevamo le parti studio. Poi che cosa succedeva? Che il portoghese finiva il doppiaggio, io passavo in studio, il francese passava al doppiaggio e arrivava lo spagnolo. All’inizio lo facevamo in Francia, Italia, Spagna e Germania. Poi dopo qualche anno fu distribuito in tutto il mondo perché il programma andava bene. Non avrei mai potuto immaginare che nel 2000 sarebbe arrivato in Rai e poi sarebbe stato in Rai fino al 2018. Cioè, ArtAttack è andato in onda nel 1998 sui canali Disney ed è stato sulla Rai sui canali Rai fino al 2018».
La seconda vita di Art Attack
«L’ho girato dal 1998 al 2005. Poi nel 2005 è stato chiuso. È arrivato un americano, un capo americano che ha deciso di chiudere il programma non si sa perché. Voci di corridoio dicevano che lui abbia detto qualcosa del tipo “Ma io non capisco come un programma del genere possa piacere ai bambini europei”. Sto a di’ una cosa tosta, eh. Lo chiudono nel 2005 e quindi per me era finito. Nel 2010 mi chiamano e mi dicono “Stiamo riaprendo Art Attack”, però lo giriamo da Buenos Aires. E io dico “Guarda, io sto già sull’aereo”. Arrivo a Buenos Aires ed erano cambiati tutti i conduttori. Io ero l’unico che era rimasto più o meno uguale, quindi potevano mischiare le puntate. Io ero il nonno, diciamo, perché io avevo portavo con me il know-how inglese di 7 anni. Non c’era più “Il Capo”, ma c’era un nuovo personaggio che si chiamava “La Palma” che voi non conoscete. Poi non c’era più Neil, ma c’era un altro grande artista che si chiamava Alex»
Neil
«Neil aveva venduto il format alla Disney, che era ne era diventata proprietaria in assoluto. Se qualcuno mi dicesse che sta alle Bahamas con due che lo sventolano, io non mi meraviglierei. Era Neil in 32 paesi del mondo. Era come un attore americano. Una volta mi raccontò che arrivò in Italia in un paesino della Toscana e gli hanno dato da mangiare di notte in una locanda. Lui era una superstar in tutto il mondo».
L’imitazione di Fiorello
«Mi ha fatto conoscere ad un pubblico che non mi conosceva prima, che non aveva vissuto il programma e mi viveva attraverso l’imitazione di Fiorello. A Roma, camminavi per strada “Oh!” dal finestrino “Faccia una costruzione!” Era Era un delirio. Fiorello l’ho incontrato, ma ci conoscevamo da prima.
Kitesurf
«Faccio kitesurf perché in una puntata del Disney Club del 2000 2001, avevamo una rubrica con dei ragazzi che stavano in studio a montare dei filmati tendenze del momento con un montatore professionista. Il programma era in diretta, io non sapevo cosa facevano, mi arrivava una velina. “Questa settimana i nostri ragazzi ci parleranno di un nuovo sport che sta imperversando su tutte le spiagge del mondo, si chiama kitesurf, vediamo di che si tratta” e lancio questo servizio. Io come vedo questa cosa in questa clip di 2 minuti e mezzo, rimango folgorato e quando rientro in studio dico alla mia collega Carolina “Io ti prometto che farò il kitesurf. Mi ha cambiato la vita, ti porta nel mare anche in condizioni estreme».
Gli incidenti
«Io ho rischiato la vita tra volte col kite. La prima volta ero a Maui, alle Hawaii, un po’ la la la Mecca dei surfisti. Era una giornata di vento sostenuto, fattibile. Il problema erano le onde, Mi sono trovato praticamente in una una schiumata bianca di non lo so, 60 metri. Io abbasso leggermente il kite, tocco l’acqua, retrocedo un po’ così con la testa e penso dico “Cavoli, che figata sto a Maui. Appena riapro gli occhi, vedo un muro davanti a me di 4 metri più o meno. Non ho fatto in tempo a invertire il kite, che mi ha travolto. Sono andato sotto a quest’onda e pensavo di sbattere sul reef. M’ha strappato il costume e poi l’onda ha preso il kite e mi ha ritrascinato per altri per altri 100 metri. Mi sono venuti a riprendere con la moto d’acqua e m’hanno detto che ero il decimo del giorno. La seconda volta è stata a Capo Verde, dove ero uscito con un altro. Dovevamo fare un giro dell’isola, mi è calato il vento sotto costa e mi è caduta l’ala. C’era un risucchio fortissimo, ero vicino alla riva e ma non riuscivo a tornare. L’onda mi riportava indietro. Dopo una fatica immane, sono riuscito finalmente a ad agganciarmi a uno scoglio. Quando sono tornato poi nella base nautica mi hanno chiesto se era tutto a posto perché la scorsa settimana un tedesco ha spiaggiato nello stesso punto, ma è tornato camminando sull’esterno dei piedi, perché in quegli scogli ci sono dei ricci con le spine lunghe. La terza volta mi sono venuti a riprendere col gommone».
I servizi sugli animali
«Dovevo fare l’esperto di animali. a prima volta andammo in un parco a Bergamo, dove c’erano tipo le bertucce e e c’era questa scimmia che stava ma cioè c’era questa scimmia che stava seduta. Era il dominante del gruppo che controllava tutti gli altri e io piano piano mi sono avvicinato, devo fare il promo della trasmissione e quindi mi avvicino fino a sentire proprio il pelo della scimmia sulla guancia. Come dico “Ragazzi, ci vediamo”, si vede la scimmia che fa un urlo così pazzesco e mi tira forte l’orecchio. Da lì ho fatto di tutto, m’hanno fatto tenere il mostro di Gila, una specie di camaleonte, la lucertola più velenosa al mondo che avevano svelenato. M’hanno messo in mano una tarantola di quelle pelose. Il proprietario mi dice “Se ti pizzica, non la far cadere che è delicata”. Ero diventato l’esperto degli animali. Ua tigre albina mi stava a magna’, m’ha preso lo scarpone nella gabbia e mi tirava dentro. Gli ho lasciato lo scarpone»