Avvenire, 25 aprile 2025
Il disturbo borderline di personalità si può curare Remissione nel 70% dei casi tramite la psicoterapia
Sebbene il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) sia un disturbo mentale grave e invalidante si può curare. Lo afferma Roberta Rossi, psicologa e ricercatrice dell’Unità di Psichiatria dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, da anni impegnata su questo fronte: «Oltre il 70% dei pazienti sperimenta una remissione clinica significativa nel giro di 10 anni, se trattato con interventi adeguati e precoci. Possono tuttavia restare fragilità residue sul piano del funzionamento psicosociale, e il rischio di ricadute può essere presente in situazioni di stress intenso: per questo è fondamentale un approccio con piani terapeutici flessibili». Insomma, non ci si deve fermare alla diagnosi ma arrivare a una presa in carico fondata su interventi integrati. All’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, è stato effettuato uno studio clinico randomizzato, finanziato dal ministero della Salute, in collaborazione con gli esperti del Terzocentro di Psicoterapia Cognitiva di Roma, che ha valutato l’efficacia della terapia metacognitiva interpersonale su un campione di 78 pazienti, analizzando anche i correlati neurobiologici della risposta al trattamento. Qui, per capirci, si tratta questo disturbo con psicoterapia individuale intensiva, valutazioni cliniche periodiche e neuroimaging; si esplorano anche i meccanismi cerebrali che accompagnano il miglioramento dei sintomi.
Il disturbo borderline esordisce prevalentemente in adolescenza o nella prima età adulta. Secondo le stime, colpisce tra l’1% e il 3% degli adolescenti e fino al 4% dei giovani adulti. Nella popolazione si va dallo 0,4% al 5,9%, ma la sua incidenza cresce nei contesti clinici: circa un paziente psichiatrico su tre presenta una diagnosi riconducibile a questa patologia, che si accompagna con disturbi depressivi e ansiosi, disturbi del comportamento alimentare, disturbo da uso di sostanze o alcol, sindromi dissociative.
Il disturbo si manifesta attraverso instabilità psichica e comportamentale. I sintomi principali, spesso confusi con il disturbo bipolare, sono: intense fluttuazioni dell’umore, con accessi improvvisi di rabbia, tristezza o ansia, anche in risposta a stimoli minimi; relazioni instabili, vissuti di abbandono, idealizzazione e svalutazione repentina dell’altro; identità fragile, scarsa coerenza nei valori e nei progetti di vita, forte senso di vuoto; comportamenti a rischio come tagli, abbuffate, abuso di sostanze, spese compulsive o guida pericolosa. Questa patologia potrebbe dipendere da un’iperattivazione di alcune aree cerebrali deputate alla regolazione delle emozioni e dell’impulsività, come l’amigdala e la corteccia prefrontale, ma anche da esperienze traumatiche precoci (maltrattamenti, abusi, separazioni); ambienti familiari invalidanti, ossia contesti in cui le emozioni espresse dal bambino non vengono accolte, ma ignorate, sminuite o punite. Secondo le principali linee guida internazionali la psicoterapia strutturata è l’intervento di elezione per il trattamento. La farmacoterapia può essere utile in modo complementare. Tra gli approcci terapeutici di provata efficacia troviamo: Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT); La Terapia basata sul Transfert (TFP); Mentalization Based Treatment (MBT); La schema-focused Therapy Good Psychiatric Management (GPM). A questi, si è recentemente aggiunta la Terapia Metacognitiva Interpersonale (MIT), oggetto di un trial randomizzato che ne ha dimostrato l’efficacia sia dal punto di vista clinico che neurobiologico.