corriere.it, 24 aprile 2025
Dussin, lo chef dei 3 Papi: «Ratzinger amava la Sacher, Wojtyła le zuppe. Francesco? Di lui porto nel cuore i sorrisi e la millefoglie
Sergio Dussin è stato lo chef di tre Papi. Prima Karol Wojtyla, poi Benedetto XVI, quindi Francesco. «Un primato – ammette lui —. Si deve andare indietro fino al Medio Evo per trovare due chef che hanno servito tre Papi. Se avessi il grande onore di essere riconfermato nel mio ruolo, sarei l’unico ad aver seguito quattro Pontefici». Veneto, per l’esattezza trevigiano, Dussin ha 67 anni e guida i ristoranti «Al Pioppeto» di Romano d’Ezzelino e «Villa Razzolini Loredan» di Asolo.
Partiamo dall’inizio. Come è diventato chef di Giovanni Paolo II?
«Il 6 maggio del 2002 venni convocato in Vaticano, dove avevo stabilito qualche contatto in occasione del Giubileo del 2000, per preparare un pranzo per il giuramento annuale delle nuove reclute del corpo della Guardie svizzere Pontificie. Un evento solenne che si svolge in occasione dell’anniversario del Sacco di Roma, quando papa Clemente VII venne portato in salvo a Castel Sant’Angelo da 42 guardie, delle 189, che sopravvissero al massacro dei lanzichenecchi. Di lì è incominciato tutto, grazie all’asparago bianco di Bassano, un prodotto della mia terra che fu molto apprezzato. Mi richiamarono per cucinare per l’Accademia Pontificia e non mi sono più fermato seguendo appuntamenti di grande importanza».
Il «suo» primo papa è stato Giovanni Paolo II.
«L’ho seguito negli ultimi tre anni del suo Pontificato, in una fase delicata per la sua salute. Per lui preparavo zuppe e frullati».
Benedetto XVI cosa apprezzava a tavola?
«Amava la cucina e apprezzava molto i piatti del mio Veneto. Riso, anche lui asparagi bianchi di Bassano, broccoli di Bassano, la carne Basaninaa, carni bianche e durante la Quaresima trote del Brenta o Seppie in umido. Ma niente funghi e niente vino. Pasteggiava con acqua naturale e spremuta d’arancia e sul dessert gli servivo vino moscato fiori d’arancio dei Colli Euganei che ha solo 6 gradi».
Che dolci amava?
«Su tutti la Sacher, ma gli preparavo anche monoporzioni millefoglie, gelato con le fragole in estate e, per i pranzi ufficiali nei palazzi apostolici, crostate di frutta. Ho continuato a servirlo anche quando è andato in pensione».
Veniamo allora a Francesco. Cosa preferiva?
«Amava la cucina e gradiva i nostri piatti, fra cui i ravioli agli asparagi bianchi di Bassano. La carne argentina è famosa nel mondo e la vera sfida è stata sostenere il confronto con le tradizioni gastronomiche del suo Paese d’origine, che ha grande autorevolezza sulle carni rosse. Io gli ho portato la Basaninaa: tagliata, costata e brasato che ha gradito molto volentieri. Poi apprezzava tutte le verdure: dalle patate ai broccoli, dai carciofi agli asparagi e il nostro radicchio di Treviso. Beveva poco vino e acqua gasata naturale: aveva un approccio sobrio alla tavola, semplice. Come dessert gli ho proposto la millefoglie con crema Chantilly e scaglie di cioccolato, la meringata, crostate. Ma a lui piaceva avere un vassoio a centrotavola con la frutta di stagione da assaggiare durante il pasto, in assoluta semplicità».
Lei ha gestito anche i pranzi ufficiali. Chi decide il menu in questi casi?
«Ho servito capi di Stato, ambasciatori, reali, con Papa Francesco i presidenti di Argentina e Brasile. Io preparo il menu che ritengo opportuno, considerando chi sono gli ospiti: ad esempio per commensali ebrei andrà previsto cibo kosher, ai musulmani non vanno serviti maiale e vino e, dunque, vanno escluse tutte le preparazioni che prevedono come ingredienti alimenti proibiti. La bozza del menu viene esaminata ed eventualmente modificata in base alle esigenze del caso».
Un ricordo speciale di Papa Francesco?
«Quelli legati ai pranzi dei poveri, con millecinquecento commensali. Nel 2022 gli ho messo davanti la torta millefoglie con scaglie di cioccolato e lui l’ha tagliata fra gli applausi e la commozione generale, come in un pranzo di famiglia. In queste occasioni voleva essere sempre seduto fra la gente e per ciascuno aveva una parola, un sorriso. Un sorriso che mi porterò dentro».