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 2025  aprile 24 Giovedì calendario

Ciarlatani, invidiosi e “giudei”: una folla di medici per i papi

Clemente VI fu il quarto papa della cosiddetta cattività avignonese, quando la sede del pontefice fu esiliata nella Francia monarchica per quasi un secolo, dal 1309 al 1377. Clemente VI era francese, il suo nome era Pierre Roger, e aveva una folla di medici alla sua corte. Eppure, nonostante l’intenso impegno dei sanitari, il papa non si riprese più da una malattia e si spense a poco a poco. Morì il 6 dicembre 1352. Nove mesi prima, il 13 marzo, ecco cosa gli aveva scritto Francesco Petrarca, che ad Avignone viveva facendo il canonico: “So che il tuo letto è assediato dai medici ed è questa la causa prima dei miei timori. Essi sono discordi a bella posta, stimando ognuno essere cosa vergognosa non dire nulla di nuovo e seguire le orme degli altri. (…). La turba di costoro, clementissimo Padre, considerala come una schiera di nemici. A istruirti sia la memoria di quell’infausto epigramma di colui che volle che sul suo sepolcro ci fosse scritto solo questo: ‘Sono morto per troppi medici’”. E così fu, purtroppo.
Nella storia della Chiesa, il medico del papa è riconosciuto, ancora oggi, come l’archiatra. Che è anche il titolo del saggio – denso, colto e divertente, zeppo di aneddoti – dello storico Lucio Coco: L’archiatra. Breve storia dei medici dei papi. “L’archiatra è il sanitario preposto alla cura del pontefice secondo una relazione esclusiva e personale”. L’opera di Coco si basa sulle fonti primarie di tre autori vissuti in secoli diversi: Prospero Mandosio, letterato (1643-1724?); lo storico e archivista vaticano Gaetano Marini (1742-1815); il bibliografo Gaetano Moroni (1802-1883). La prima notizia di un dottore del papa risale al nono secolo: “un certo Orso” che era “medico” e anche “domestico” di Niccolò I (858-867).
Il saggio di Coco è una carrellata sanitario-vaticana che parte dal Duecento e termina ovviamente nei primi decenni di questo secolo. Francesco è sì morto per un ictus nello scorso Lunedì dell’Angelo, ma il suo quadro clinico era debolissimo a causa della polmonite bilaterale che lo aveva costretto al ricovero al Gemelli di Roma a metà febbraio. Ecco, la polmonite. Una serial killer fatale che uccise, nel Novecento, sia Benedetto XV nel ’22, sia sei anni dopo il suo antico medico personale Andrea Amici, primario dell’ospedale Santo Spirito in Sassia e confermato archiatra da Pio XI. Il successore di Amici fu Aminta Milani cui papa Ratti chiese un estremo favore nel 1939. In quell’anno Pio XI si stava consumando tra febbri, problemi alla prostata e sofferenze cardiache e il suo ultimo obiettivo era quello di rimanere vivo fino all’11 febbraio, per il decennale dei Patti Lateranensi. Morì un giorno prima, il 10, nonostante gli sforzi di Milani.
Nel quindicesimo secolo, regnante in Vaticano Martino V – il pontefice che mise fine allo scisma d’Occidente tra papi romani e antipapi avignonesi – il giureconsulto Giovanni d’Anagni pose una fatidica questione. Cioè: “Se un giudeo potesse essere medico del papa o dell’imperatore”. E concluse: “Posse dici quod non”, “Si può dire che non lo è”. Epperò Martino V smentì il giurista e con un atto del 1422 “permise ai medici ebrei di curare liberamente i cristiani (‘quod mederi possint christianis impune’), cancellando le pene che erano previste per questo delitto (‘contra huiusmodi iudaeos medendi arte utentes’)”.
Lo storico Coco, esperto di religioni e spiritualità, ricostruisce progressi ed evoluzione della medicina in generale ma anche gli errori e i vizi degli archiatri. Talvolta saccenti, oppure invidiosi oppure ancora letalmente adulatori. In ogni caso, ben pagati. Ci fu persino chi venne cacciato per “amoroso intrigo donnesco”, colpevole “d’un fallo in cui di leggieri possono incorrere medici curanti belle e amabili donzelle”. È il caso di Florido Salvatori che fu sospeso da Innocenzo XI (1676-1689).
Ci sono stati, infine, medici di dubbia fama. Al punto che Sisto IV (1471-1484) vergò una bolla che rendeva obbligatoria la laurea (licenza) per gli archiatri: “‘Preso atto dei tanti errori commessi da molti che usurpano il nome di medico’, si stabilisce che ‘a nessuno, maschio o femmina, cristiano o giudeo, era concesso di esercitare la medicina e la chirurgia se non fosse professore (magister) o dottore (licentiatus) in quest’arte’”.