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 2025  aprile 18 Venerdì calendario

“Non sono più quel clown di casa che tentava di diventare comico”

Successi a raffica.
È un buon momento sia per me che per la stand-up in Italia: lo aspettavamo da quindici anni.
Il punto di svolta.
La pandemia: mancavano dei programmi tv, specialmente quelli comici, eppure era evidente la necessità di ridere.
Quindi?
Alla ricerca di qualcosa molti si sono spostati su Internet; quel “qualcosa” poi ha aiutato a riempire i teatri.
(E di teatri ne riempie Francesco De Carlo, uno dei grandi della stand-up comedy italiana. Scherza su tutto, con tutto, di tutti; tempi comici calibrati, sa improvvisare, sguardo di chi prende per il culo con gioia e non cattiveria. Così, battuta su battuta, ha costruito un “ponte” che lo ha portato ovunque, compreso il tempio della comicità newyorkese)
Lei prima del palco.
Mi distrugge l’attesa. Voglio iniziare.
Improvvisa?
C’è molto di scritto, ma la stand-up si sviluppa sul palco.
A New York rideranno di situazioni differenti rispetto all’Italia.
Cambiano i tabù da Paese a Paese.
Esempio.
Negli Stati Uniti la libertà d’espressione viene prima di tutto, quindi si può scherzare pure sulla religione, mentre l’Italia è un Paese conservatore.
Altro esempio.
In Italia ridono sui bambini, perché li proteggiamo, sono sacri, sono parte della vita quotidiana. A New York no, non ci sono bambini in giro.
Il limite, qual è?
La stand-up prevede un linguaggio libero, può affrontare tutto quello che normalmente, e magari giustamente, viene evitato in televisione o alla radio.
Niente tabù.
Più una situazione non mi fa ridere e più insisto.
Spieghiamo.
Se mi lascio con la ragazza, se mi rubano il motorino, ci scrivo sopra uno spettacolo e passa il dolore.
Secondo Lillo Petrolo la fasi felici della vita sono deleterie per il lavoro: manca ispirazione.
È vero; trovo comici Fabrizio De André o Luigi Tenco: la tragicità delle loro canzoni mi strappa una risata perché c’è ironia nei confronti della vita. Uguale con i film…
Tipo?
Penso a Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola; o a sceneggiatori come Age e Scarpelli; I mostri è stand-up.
Le rubano le battute.
Sì.
E… ?
Se la rubano vuol dire che non è buona: se sta bene sulla bocca di un altro significa che non è personale.
Quando il pubblico non ride a una battuta?
Passo alla successiva.
Senza rosicare.
Il comico deve rischiare, altrimenti non cresce; poi uno capisce quando qualcosa funziona o meno: se una battuta non funziona, ma ci credo, insisto perché sul palco riesco a capire cosa correggere.
È cambiato l’approccio delle persone con lei?
I miei genitori, sì: prima ripetevano “che cazzo sta a fa’ questo”, adesso sono orgogliosi.
Insomma, non sono più il pagliaccio della famiglia che tentava di diventare comico.
A tavola tiene sempre banco?
Spesso mi chiudo; se si aspettano da me qualcosa, allora deludo.
Cosa legge?
La saggistica, l’antropologia, la filosofia.
Ha lavorato quattro anni al Parlamento europeo.
Con Giulietto Chiesa.
Allora è filorusso.
Dal 2009 ho abbandonato la politica, mi ha stancato lo schierarsi in maniera superficiale.
Da giovane era un leader?
No, uno che usciva poco de casa.
Nerd?
Uno a cui basta una bottiglia di vino e della musica per stare bene.
Perfetto.
Questo mestiere è “perfetto”: sto solo a casa, esco, entro a teatro, salgo sul palco, parlo e gli altri stanno zitti.
Egocentrico.
Per forza.
Narcisista.
La terapeuta mi ha spiegato che non lo sono.
Un vantaggio della fama.
(Quasi balbetta) Ieri mi hanno pagato il caffè al bar “per tutte le risate che m’hai fatto fa’”. Ma questa è Roma, dove c’è una comicità diffusa.
Lo sostiene pure Verdone.

Anni fa ero sul motorino, becco una buca, poi mi fermo al semaforo. Mi affiancano due fascisti: “Viva il duce!”. “Anche no…”. “Pia n’artra buca e poi me lo dici…”.

La morale?
Come puoi fare il comico in una città dove pure i fascisti sono simpatici?
È complicato.
Per questo anche quando parlo in inglese mantengo un’impronta dove senti l’accento, il guanciale, la carbonara, la Sora Lella, Aldo Fabrizi.
A Tommaso Rodano ha dichiarato: “Ci ho messo a trovare la mia voce”
Esistono dei comici fortunati come Jim Carrey o Robin Williams che a 18 anni già erano formati; altri ci impiegano quindici anni a capire cosa vogliono dire e come. E il mio lavoro è tutto qui.
Tutto qui?
C’è la scoperta di se stessi e il coraggio di condividerla con il pubblico: tutte le cose di cui provi vergogna, fanno ridere.
Si può scherzare sui difetti fisici?
È passato di moda, mentre funziona scherzare sui propri.
Quali sono?
Non conto più le battute sulle mie orecchie e sulla pancia.
Sulle orecchie è stata una costante?
C’è una mia battuta storica: “A scuola mi chiamavano Dumbo, l’elefantino volante, ci restavo male e ogni volta volavo via
”.
Lei chi è?
Un pagliaccio insicuro.