Avvenire, 17 aprile 2025
E la Colombia (esclusa dall’Italia) rientra nell’elenco europeo
«La Colombia sta affrontando uno sfollamento di proporzioni mai viste da decenni», riferiva appena un mese fa un gruppo di esperti delle Nazioni Unite, allarmati da quella che l’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr) definisce una «drammatica escalation del conflitto nella regione di Catatumbo nel dipartimento del Nord Santander dall’inizio del 2025». Non esattamente quello che ci si aspetta di sentire a proposito di un Paese considerato “sicuro”. Eppure la Colombia fa parte della lista proposta ieri dalla Commissione europea che ricomprende i Paesi i cui cittadini vedranno le loro domande di asilo elaborate con procedura accelerata o di frontiera perché ad alta probabilità di rigetto. Cioè verosimilmente non meritevoli di protezione. Ora, la Colombia compare nell’elenco di Bruxelles ma non è nella lista adottata in Italia. Anzi non ne fa più parte. E infatti l’ultimo decreto- legge approvato dal governo sei mesi fa “coinvolge 19 Paesi sugli originari 22” perché – come ha spiegato alla stampa il 21 ottobre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – «abbiamo escluso il Camerun, la Colombia e la Nigeria», «essendo che teniamo in considerazione il principio che ha introdotto la Corte di Giustizia Europea, cioè quello della cosiddetta integrità territoriale nella valutazione delle condizioni di sicurezza». Il riferimento è a una sentenza del 4 ottobre del 2024 in cui viene chiarito che, per la designazione di Paese sicuro, è necessario che la situazione di sicurezza sia diffusa ovunque entro i confini nazionali, senza eccezioni di porzioni di territorio o di specifiche categorie di persone.
La Commissione sembra andare esplicitamente contro questa sentenza, perché nella dichiarazione di ieri specifica che «i Paesi terzi sicuri e i Paesi di origine sicuri possono essere designati con eccezioni, offrendo agli Stati membri maggiore flessibilità escludendo regioni specifiche o categorie di persone chiaramente identificabili». Eccezioni che potrebbero non essere di poco conto nel caso della Colombia, visto che Ohchr così descrive la situazione: «La presenza limitata dello Stato ha inizialmente permesso ai gruppi armati non statali di prosperare e durante la recente ondata di violenza questi gruppi hanno preso di mira contadini, popolazioni indigene, migranti e rifugiati, nonché difensori dei diritti umani, insegnanti, leader sociali ed ex combattenti delle Farc-Ep che avevano firmato l’accordo di pace» (quello del 2016, quando il governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia posero formalmente fine a 52 anni di conflitto). Nel corso del 2024 sono stati 89 i difensori dei diritti umani colpiti a morte. Le violenze denunciate dagli esperti delle Nazioni Unite sono gravissime: «Oltre agli sfollamenti forzati e al confinamento, gruppi armati non statali avrebbero sottoposto i civili nel Nord di Santander a esecuzioni extragiudiziali, atti equivalenti a sparizioni forzate, violenza sessuale e di genere, in particolare contro donne e ragazze, tratta di esseri umani e reclutamento di bambini». Nell’area ciò ha causato lo sfollamento di oltre 56.000 persone. Altre 27.000 sono impossibilitate a spostarsi per cercare protezione a causa della persistente insicurezza. Complessivamente, fa invece sapere Unhcr, a metà del 2024 la Colombia registrava quasi 7 milioni di sfollati interni, di cui oltre 1,4 registrati dopo la firma dell’Accordo di pace di nove anni fa.