La Stampa, 14 aprile 2025
Invalida rinchiusa in carcere "Poche le strutture ad hoc E con lunghe liste d’attesa"
Non abbastanza pericolosi da finire in una Rems. Non abbastanza incapaci di intendere e di volere, tanto da evitare il carcere. Non abbastanza liberi di vivere senza vigilanza o restrizioni della libertà. Perché la malattia e le dipendenze spingono a scappare. E a commettere altri reati.
In Italia molti detenuti psichiatrici non hanno un posto dove stare. Un luogo sicuro. Dove non si tolgano la vita. Dove possano essere curati, mentre scontano la pena. Il complicatissimo sistema che dovrebbe garantire sanità e giustizia, non prevede che pochi luoghi per i malati psichiatrici: il carcere stesso, le Rems, poche e con liste d’attesa infinite. E le comunità sanitarie, aperte a tutti i pazienti.
Dovrebbe essere trasferita in una di queste strutture la detenuta dichiarata invalida al 100 per cento che da quattro mesi prova a sopravvivere nel Lorusso e Cutugno di Torino. Lo ha stabilito il tribunale. Eppure, lei continua a stare in cella. «La sua situazione è conosciuta alla direzione sanitaria del carcere», spiega il dottor Roberto Testi, referente per la sanità penitenziaria in Piemonte. «Abbiamo fatto domanda per una struttura esterna, ma ci sono delle liste d’attesa. Così come per ciascun cittadino». Perché non può essere inserita in una comunità terapeutica per detenuti? «Non esistono comunità simili», precisa Testi. «Le strutture per pazienti a doppia diagnosi come lei sono per tutti i pazienti. I posti sono pochi. Non solo in Piemonte. Non esistono strutture di questo tipo che non abbiano liste d’attesa. E le liste sono lunghe per tutti. Anche per i pazienti comuni». Ecco perché i detenuti psichiatrici sono un problema. Dovrebbero essere curati e rieducati. Ma in Italia nessuno sa dove metterli. Come se fossero degli oggetti particolari. Non rientranti nelle categorie attuali previste dalle leggi.
«Il caso della paziente è emblematico – commenta Testi – non ha i requisiti per entrare in una Rems, come l’essere pericolosa socialmente o essere del tutto incapace di intendere e di volere al momento della commissione del reato». L’inciso necessario è che, comunque, anche nelle Rems non ci sarebbe probabilmente posto per la donna, perché anche in questo caso le liste d’attesa sono lunghissime. «Inoltre – precisa Testi – la paziente, come molte persone psichiatriche e con dipendenze, potrebbe scappare dalla comunità, anche se fosse inserita. I pazienti sono liberi. Nessuno può trattenerli con la forza».
Secondo l’avvocato Luca Calabrò, che tutela la detenuta con Elena Novarino: «Ciò che sta accadendo alla nostra assistita è un problema generalizzato. La mancanza di strutture e l’assenza di interventi tempestivi genera ulteriori sofferenze nei soggetti fragili».
Il caso della donna invalida è emblematico. E tragicamente comune. Tutti coloro che lavorano al Lorusso e Cutugno ora ricordano un’altra storia di disperazione. Quella di un uomo, malato psichiatrico. Scappato dalla comunità e rientrato in carcere dopo l’ultimo reato. Scarcerato di nuovo. Uscito dal penitenziario, si è messo a dormire sulla panchina davanti all’ingresso. È stato lì per una settimana. Non aveva un posto dove stare. Perché quel posto non esiste.