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 2025  aprile 14 Lunedì calendario

Le rivolte arabe, i profughi e il Mediterraneo Storia di una grande occasione mancata

È stato un attimo. O forse, molto semplicemente, noi europei non siamo stati all’altezza, non l’abbiamo meritata quell’occasione che il Tempo ci offriva. Dopo lunghe ma fragili peregrinazioni la Storia era tornata, una quindicina di anni fa, con dramma e dolore (ma quando questo non è stato il suo lievito fatale?) laddove era nata, al Mediterraneo: la grande cerniera di cui l’avventura umana ha fatto il suo nido prediletto, Nord e Sud, Est e Ovest, Oriente e Occidente, Islam e laicità, democrazie e assolutismi. Dopo tanto parlare di oceani, il centro dell’attenzione del mondo era fissato su questa piccola pianura d’acqua dove ogni nome di isola insenatura città evoca luoghi dove si sono combattute grandi battaglie e chiusi storici accordi di pace, rigata dalle migrazioni e dalle fughe davanti al nemico ma anche dagli incontri dei sapienti, dei profeti e degli umili. Evochiamolo, con commozione e rimpianto, quell’attimo. Sì, il popolo dei migranti arrivato davanti a quel mare era attraversato da un eterno brivido leggero; la terra, la terra a cui erano abituati da sempre, per l’emozione, era come se vacillasse sotto i loro piedi. Era l’inizio di una nuova Storia, l’ingresso in un regno di più grandi possibilità e sogni. Sapevano cosa li attendeva ma potevano credere di viaggiare verso la perfezione. Diventavano leggeri e abili; loro uomini dei deserti e delle bidonville infinite, navigavano come ai tempi di Omero.
Ma non era solo quello. Tutta la sponda davanti a noi decapitava dittature, imboccava Primavere che sembravano straordinarie, cadevano in cocci nomi di satrapi che da decenni appestavano la storia, Mubarak Ben Ali Gheddafi finivano nel nulla. Ombre. Quelle onde che mugghiavano sulle spiagge di Tripoli di Tunisi di Alessandria di Laodicea, quegli infiniti abissi di luce delle estati sul mare, erano annunciazione di nuove speranze. Noi europei non avremmo dovuto stupirci. Da Corfù ad Azio, da Djerba a Lepanto, da Malta ad Antiochia tutti i popoli sono passati, di continuo, tra gli stessi regimi come l’uomo attraverso le stesse passioni. Si tornava, nell’inizio incandescente del terzo millennio, alla epica geografia di Braudel, alle sue civiltà e ai suoi imperi. Tutte le sinuosità si ordinavano, formavano correnti di cui la più vasta si delineava, il Mediterraneo e le sue terre. Una sorta di segno fatale: l’attualità non ha molto senso in questo mare dove tutto ha carattere di eternità.
La globalizzazione, quella sì, riguardava gli oceani, in fondo grigia storia di merci, di affari che milioni di uomini non avevano mai neppure assaggiato. Il terrorismo globale nel 2001, le Torri gemelle avevano aperto ampie crepe. Quel mare, il nostro, invece era una storia di uomini, che è l’unica vera storia globale, quei fuggiaschi e quei ribelli di avenue Bourghiba, di piazza Tahrir, di Aleppo, di Bengasi, i naufraghi di Lampedusa forse stavano davvero trasformando il mondo, anche il nostro.
Il mare che unisce Europa, Asia e Africa era dunque il protagonista degli uomini: il passato, accanito fabbricante di particolarismi, aveva accentuato tutto questo seminando i suoi straordinari colori. Perfino la sfida tra l’Occidente guidato da élites sonnambule e il nuovo Stato totalitario con le bandiere del Califfato di Mosul si ricollocava nel mare interno che una storia e una politica miope volevano marginale rispetto al grande spazio degli oceani. Era logico: il califfato non negava la storia del Vicino Oriente mediterraneo, vi si avviluppava, la dilatava. Cosa voleva ricostruire in fondo? Lo spazio degli Abbassidi dominatori di un grande Mediterraneo che andava da Toledo a Samarcanda.
Nel momento in cui si gridava il nome di Dio, e si uccideva purtroppo per Dio, c’era un solo scenario possibile, lo spazio fisico geografico storico dove le fedi hanno contaminato l’anima dell’uomo. L’evidenza del declino dell’America come onnipotenza, estranea, distratta, incerta dopo la bruciante disfatta irachena, non a caso si consumava lontano dalle rive degli oceani che aveva eletto a proscenio della Storia. E della sua Fine. Il Mediterraneo, nel bene e nel male, disfaceva l’ultima illusoria incarnazione tecnologica dello spirito universale hegheliano.
Tra queste coste antiche dunque si migrava: di nuovo. Dalla Sicilia ai litorali dell’Africa corre la catena delle isole che collegano deboli profondità marine: Djerba, Pantelleria, Lampedusa, Gozo, Zembra. L’acqua nei giorni buoni è così chiara che sembra di poter vedere il fondo. La rotta è antica come il mondo. Un mondo si svuotava, l’altro di fronte si riempiva: non era il ritmo di sempre? Il Mediterraneo è molto più grande delle sue coste. Attirava tutto ciò che sta intorno, lo aggregava in questo gigantesco continente unitario che lega Europa, Asia e Africa. In questo spazio la terra è la stessa. Il clima di Cadice è come quello di Beirut, la Provenza assomiglia alla Calcidia, la vegetazione di Gerusalemme è come quella della Sicilia. Provoco: la Crimea non è forse spazio del Mediterraneo? Certo diversi sono i gesti. Ma forse neppure questo è interamente vero. Un pianeta di per sé, dove tutto ha circolato precocemente e in questa saldatura gli uomini trovavano per un attimo lo scenario della loro storia unitaria anche guerreggiando. Qui si sono compiuti gli scambi decisivi.
E ora? Le strade degli ingenui ribelli di Tunisi, del Cairo, di Tripoli, di Istanbul sono tornate, con il nostro compiaciuto consenso, sotto il controllo brutale dei dittatori di sempre, più accorti ma egualmente feroci, di quelli di ieri. I migranti, drenati, respinti, nascosti nei gulag libici sono un problema amministrativo che serve a polemiche di politica interna. I mercanti di uomini continuano il loro lavoro, ma più silenziosamente. Il massacri di Gaza hanno sostituito, nella indifferenza colpevole, quelli di Racca e Mossul. Gli oceani che ora solcano le portaerei cinesi alla ricerca di approdi strategici sono di nuovo bellicosi protagonisti. Noi mediterranei ed europei torniamo comparse. L’imperialista Mahan ha purtroppo cancellato il saggio Braudel.