Corriere della Sera, 12 aprile 2025
Jake Gyllenhaal: senza tecnica non vai da nessuna parte. La star ora è ambassador di Ginori 1735
Papà poeta discepolo di Hugh Ogden e regista, mamma scrittrice e sceneggiatrice: «Mi hanno insegnato che senza la tecnica, il saper fare, non vai da nessuna parte. Tutto il talento del mondo non basta». Jake Gyllenhaal è al suo terzo anno da ambasciatore di Ginori 1735 proprio perché una casa con 290 anni di tradizione non può collaborare con una celebrity qualunque: 45 anni, studi in filosofia alla Columbia University, una carriera attoriale passata a recitare in film speciali dall’apocalittico Donnie Darko che lo lanciò a Animali notturni thriller di Tom Ford, passando per Brokeback Mountain. E in questi giorni trionfa a Broadway nell’Otello shakespeariano a fianco di Denzel Washington (biglietti a prezzi stratosferici: 900 dollari).
Frequente visitatore del nostro Paese anche al di là delle città d’arte («le Dolomiti: una delle meraviglie del mondo»), Gyllenhaal non appare fuori luogo nella più recente campagna scattata nella quattrocentesca Villa Ginori, tra la grande biblioteca e i giardini (circondata dalle colline toscane, la villa era la casa del fondatore, il marchese Carlo Andrea Ginori): «Mio padre è un grande appassionato di interior design e architettura e mi ha trasmesso questo interesse. Spesso, da bambino, mi portava a vedere bellissimi edifici, un’emozione che mi è rimasta nel cuore. Da ragazzo ammiravo, a Los Angeles, il cantiere dal quale nasceva la Disney Hall di Frank Gehry, e ogni quindici giorni tornavo per vedere a che punto fosse. Mio padre è anche un bravo falegname: la vecchia casa in cui sono cresciuto l’aveva ristrutturata personalmente. Altra passione ereditata dai miei: i mercatini d’antiquariato, anche se purtroppo non ho l’occhio meraviglioso di mia madre per i mobili antichi. Trovava dei gioielli: sono cresciuto su un bellissimo divano in velluto marrone che lei aveva comprato a un mercatino. Quanti ricordi... Vorrei averlo ancora oggi, sa?».
Con Firenze ha il classico rapporto da americano cosmopolita: «Adoro passeggiare per le strade del centro, è una delle migliori città al mondo in cui camminare (e, anche, mangiare…). Ho avuto l’onore di lavorare in molte location fantastiche nel vostro Paese, e nei grandi studi di Cinecittà ho toccato con mano la storia. Un luogo sacro per noi che il cinema lo facciamo, e per tutti quelli che lo amano. L’Italia per me è il Paese delle meraviglie. Girare la campagna Ginori presso la fabbrica di Firenze, camminare tra i calchi, vedere da vicino alcuni dei primi pezzi realizzati tre secoli fa è stata un’esperienza difficile da raccontare. Trasformano la porcellana in bellezza. E da appassionato di design ho potuto curiosare negli archivi: quanti lavori straordinari di Gio Ponti, Alessandro Michele, Ettore Sottsass».
Gyllenhaal sa che per archeologi e storici dell’arte le ceramiche hanno valore documentale inestimabile: «La tavola è dall’inizio della civiltà il luogo della condivisione. Un’altra fortuna che ho avuto, in famiglia, è che con mamma e papà e mia sorella la tavola era il luogo dello scambio di idee, e dei racconti di giornata. E a tavola ho conosciuto molte delle persone più importanti della mia vita. Il modo in cui è presentato il cibo è metà dell’esperienza, importante come il sapore. Una cosa innata in voi italiani è la capacità di vedere il connubio tra arte e vita, cibo e vita».
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Cinema e design non sono parenti così lontani, secondo l’attore: «Sono entrambi fatti di dettagli. Da Ginori sono ossessionati dai dettagli; ogni pezzo è stato creato a mano, pensato. È un’ispirazione per tutte le persone creative. A seconda delle nostre abilità individuali, il nostro mestiere è il luogo in cui impariamo qualcosa ogni giorno, affinando le nostre capacità. È lo spazio nel quale siamo costantemente costretti a confrontarci con i nostri limiti».
Il momento più curioso della sua permanenza fiorentina? «Il momento in cui ho incontrato Leica, il cane del fotografo. Mia sorella e mio cognato hanno un cane della stessa razza di Leica, così gentile e calma». Gli attori generalmente temono di essere messi in ombra dagli animali, in una scena: «Io sono stato felicissimo – direi emozionato! – di condividere con lei la foto più importante della campagna».