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 2025  aprile 06 Domenica calendario

Il nostro pianeta ha gli anni (10 o 20) contati

«Ora. Adesso». Scrittore, professore, fondatore e direttore di un’organizzazione di consulenze ambientali, Small World Consulting, che tra i suoi clienti vanta Apple, Microsoft e la Bbc, un cognome famoso (suo fratello Tim è il creatore del world wide web), Mike Berners-Lee ha un messaggio chiaro: se vogliamo salvare il mondo bisogna fare qualcosa – non domani, oggi. Quanto tempo abbiamo? Tra 10 e 20 anni. Il suo nuovo libro, A Climate of Truth («Un clima di verità»), uscito poche settimane fa, sta attirando l’attenzione di cittadini, politici, imprenditori, pensatori. Un volume che, affidandosi ai numeri e ai dati, dimostra la precarietà degli equilibri sociali, politici e ambientali, collegandoli in un’unica policrisi. La soluzione c’è. Richiede la riscoperta di un valore che a freddo tutti considereremmo essenziale e che invece violiamo di continuo: l’onestà.

Il libro è un invito ad aprire gli occhi e agire. Cosa possiamo fare?
«Stiamo scivolando a grande velocità verso una policrisi, una crisi di dimensioni enormi, che interessa vari settori.
Siamo di fronte a uno sconvolgimento sociale, a grandi ineguaglianze, a un graduale smantellamento dell’ordine globale, a gravi problemi ambientali, povertà, carestie. Se non facciamo qualcosa in fretta soffriremo, e tanto. Spesso veniamo presi dall’apatia, perché ci sembra di non poter far nulla. In realtà abbiamo più potere di quanto crediamo. La prima cosa che dobbiamo fare è pretendere livelli molto più alti di onestà dai nostri politici, dagli organi d’informazione, dal mondo del business. La mancanza di onestà è ciò che ci ha impedito di fare passi avanti verso una soluzione. L’idea che possiamo continuare ad appoggiare un personaggio politico che in passato è stato disonesto è assurda. Quando guardiamo un programma televisivo o leggiamo un giornale, dobbiamo chiederci se dietro ci sono organi indipendenti che hanno un approccio rigoroso verso la verità. Queste sono scelte che hanno conseguenze».
Lei scrive che abbiamo i mezzi per risolvere i nostri problemi. In che senso?
«Non è la tecnologia che ci manca. Abbiamo il modo di cambiare
l’energia che usiamo, di modificare le nostre abitudini alimentari, di risolvere tante difficoltà sociali. Ciò che succede, invece, è che usiamo la tecnologia in modo sbagliato e di conseguenza i nostri avanzamenti tecnologici coincidono con un peggioramento sul piano climatico. Come consumatori abbiamo la responsabilità di essere più selettivi. Possiamo comprare meno, fare meno viaggi, mangiare meno carne e meno formaggi: già questo ci permetterebbe di fare grandi passi avanti. A livello di leadership abbiamo bisogno di un cambiamento sistemico. La realtà è che una volta abitavamo un pianeta robusto. Oggi il nostro è un pianeta estremamente fragile. È possibile che tanti fenomeni estremi rappresentino soglie critiche, punti di non ritorno: l’aumento della temperatura, le estati bollenti, l’infertilità, i casi di cancro. Sono tutti dati che indicano che abbiamo bisogno urgente di cambiare il modo in cui viviamo. Potrebbe non restarci tanto tempo».

Un pronostico?
«È un giudizio soggettivo, ma direi tra 10 e 20 anni. Tutti i nostri sistemi sono instabili. Il fatto che abbiamo emergenze nel cibo, nel clima, nella democrazia, nella salute è un sintomo che lo stile di vita che abbiamo conosciuto potrebbe avere i giorni contati. Se non facciamo qualcosa, subito, potremmo trovarci di fronte a una catastrofe difficile da gestire.
Una volta questi erano problemi distanti. Adesso sono molto, molto vicini. Se solo con la prima Cop (la Conferenza sul clima) nel 1995 avessimo fatto qualcosa saremmo oggi in una situazione molto diversa. Invece – nel mio libro ci sono tutti i dati – le Cop si sono susseguite senza il minimo effetto sulle emissioni. Alla base di tutto questo, lo ripeto, c’è una mancanza di onestà. Per esempio: l’industria dei combustibili fossili opera in modo sofisticato. Ha a disposizione fondi ingenti che utilizza per diffondere disinformazione sui cambiamenti climatici e appoggiare qualsiasi iniziativa che frustri il tentativo di limitare l’estrazione e l’utilizzo di questi materiali. L’industria della carne opera in modo simile. Insieme hanno deragliato le Cop e ogni tentativo di affrontare il problema ambientale. Accettiamo cose che una volta avremmo trovato sconcertanti. Dovremmo gridare, ma stiamo zitti».
Lei parla di una crisi di valori. Crede che sia un fenomeno recente o si è aggravato negli ultimi tempi?
«Entrambe le cose. Il fatto è che oggi avvertiamo le ripercussioni di questa svalutazione morale perché avremmo bisogno di una leadership molto più convinta. La disonestà intralcia il processo decisionale. Con i social abbiamo visto la facilità con cui è possibile disseminare informazioni fasulle. È come se avessimo deciso di realizzare un esperimento con la post- verità, credendo a interpretazioni e narrazioni in cui il rispetto della verità è secondario. Ora ne paghiamo il prezzo. Nel Regno Unito il conto è già arrivato. Negli Usa arriverà: le condizioni di vita dei singoli cittadini americani peggioreranno velocemente».
Un esempio di post-verità?
«L’esempio più chiaro è la Brexit, un cambiamento venduto erroneamente alla popolazione britannica con promesse infondate, come quella sulla sanità scritta sulla fiancata di un autobus: 350 milioni di sterline ogni settimana al servizio sanitario nazionale invece che all’Europa. Una bugia. Solo ora, dopo qualche anno, diventano chiare le conseguenze. La gente avverte i costi, comincia a realizzare di essere stata ingannata e si accorge che la vita costa di più, che il proprio lavoro è incerto, che tanti problemi non sono stati risolti ma si sono aggravati. Il mio non è un libro politico, ma il governo conservatore di Londra è stato disonesto con l’elettorato. I laburisti di Keir Starmer rappresentano un cambiamento netto. Vedremo».
Lei sottolinea tre concetti: il rispetto per tutti gli esseri umani, per la verità, per l’ambiente. Sembrerebbero scontati...
«Purtroppo non lo sono. Siamo usciti dalla Seconda guerra mondiale con un obiettivo chiaro sul mondo che volevamo costruire, sull’importanza dell’uguaglianza, sull’universalità dei diritti. Tanti documenti fondanti della nostra società sono emersi allora. Adesso viviamo un momento in cui il concetto di uguaglianza è in pericolo. Negli Stati Uniti, ad esempio, stanno prendendo piede narrative razziste. È come se ci stessimo lasciando sfuggire i concetti sui quali è fondata la nostra civiltà. Il problema è che la policrisi che abbiamo di fronte avrebbe bisogno di livelli di cooperazione internazionale senza precedenti. Invece stiamo andando esattamente nella direzione opposta».
Nonostante tutto sembra ottimista...
«Sì. Sono grato di essere vivo, sono grato di ciò che ho. Se vogliamo essere psicologicamente sani, è essenziale fare le scelte giuste piuttosto che convivere con la consapevolezza che c’è un problema e lo stiamo evitando. I casi di depressione, di autolesionismo e di difficoltà mentali sono a livello globale in grande aumento. Una ragione è che abitiamo una società che sa di non vivere come dovrebbe».