ilfattoquotidiano.it, 4 aprile 2025
I giovani morti nella fabbrica abusiva esplosa a Ercolano erano “sfruttati”: “C’era bisogno di soldi per mangiare”
I titolari della fabbrica abusiva di fuochi d’artificio di Ercolano, dove il 18 novembre persero la vita Aurora e Sara Esposito e Samuel Tafciu, approfittarono “del loro stato di bisogno, a loro noto, dato dall’estrema indigenza vissuta”. Erano poveri e ridotti allo stremo, e furono sottoposti a “condizioni di sfruttamento”. È scritto in uno dei capi di imputazione dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari di Napoli a carico di Pasquale Punzo – già detenuto per questa inchiesta da fine novembre – e Vincenzo D’Angelo, accusati di omicidio volontario con dolo eventuale per aver calpestato ogni norma contrattuale, previdenziale e di sicurezza sul lavoro, fino a causare la morte dei tre ragazzi deceduti nello scoppio di materiale pericoloso e mal custodito.
Aurora, Sara e Samuel furono mandati allo sbaraglio, a lavorare “senza alcuna esperienza specifica” per maneggiare le sostanze esplodenti, in condizioni precarie, con paghe irrisorie, in nero, in assenza di tutele previdenziali, senza ferie, senza riposo. I verbali raccolti nel corso delle indagini condotte dai carabinieri della Tenenza di Ercolano e coordinate dalla procura di Napoli guidata da Nicola Gratteri raccontano storie di schiavitù, di gente povera, costretta in tutto e per tutto a dipendere da datori di lavoro senza scrupoli. Punzo andava a prendere i dipendenti a casa, li accompagnava sul posto di lavoro, poi li riportava indietro. Prima a Marigliano, e da circa tre settimane nella casa-deposito di Ercolano. Le due ragazze e la madre erano alle sue dipendenze a Marigliano già da qualche mese, era lì che confezionavano i fuochi. Samuel solo da poco tempo, e solo ad Ercolano.
“Le mie figlie Sara e Aurora si trovavano presso quel deposito per lavorare. Avevamo bisogno di soldi, il padre le aveva abbandonate”, dice agli inquirenti la mamma delle ragazze, Lucia Barile. “Fino a 23 anni le mie figlie non lavoravano, ero io che lavoravo nei ristoranti per guadagnarci da vivere. Poi piano piano ho cominciato ad avere i primi acciacchi e loro hanno iniziato ad aiutarmi, lavorando vicino a persone anziane o per imprese di pulizia. Chiaramente si guadagnava poco, e non riuscivamo più a pagare l’affitto della casa di Marigliano”.
Con lo sfratto la donna chiese aiuto ad un’amica e questi le presentò Punzo, che trovò loro una casa a Ponticelli senza porte e pavimenti e fece un minimo di lavori di ristrutturazione per renderla abitabile. Era una delle sue case: “Avevamo raggiunto un accordo per pagargli 300 euro al mese”. Con una abitazione e una residenza, Sara e Aurora avrebbero potuto iscrivere i figli piccoli a scuola e alla mensa scolastica, si legge nel verbale.
“Dal momento del trasferimento in questa casa, il lavoro delle mie figlie è cambiato, infatti da 3 settimane le mie figlie si recavano presso un deposito a fare sempre la stessa attività”. Ad Ercolano, dove troveranno la morte. “Pasquale pagava 300 euro a settimana, diviso per le mie figlie. Lavoravano tutta la giornata al deposito. La paga era la stessa anche quando lavoravano a Marigliano; io non venivo pagata perché in realtà cercavo solo di velocizzare il lavoro delle mie figlie”. Parole confermate da una sorella delle vittime, Emanuela Esposito: “Purtroppo erano in uno stato di bisogno, avevano bisogno di soldi per mangiare, e Pasquale non poteva non saperlo perché era evidente”.