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 2025  marzo 22 Sabato calendario

Olé, la Spagna è Yamal

La nazionale di calcio maschile spagnola, la Roja, che gioca stasera la partita di ritorno della League of Nations contro l’Olanda (2-2 all’andata), affronta una situazione inedita. È la prima volta infatti che un giocatore di religione musulmana gioca una partita con la maglietta della nazionale durante il ramadan, mese sacro per l’Islam.
Che poi è forse il giocatore più emblematico: non ancora diciottenne, Lamine Yamal Nasraoui Ebana – questo il suo doppio nome e doppio cognome completo – è già una stella. E un poderoso simbolo di una Spagna che, nonostante Vox e l’estrema destra, è proiettata verso il futuro.
DAL GIORNO IN CUI viene dichiarato l’inizio del ramadan, quest’anno il 28 febbraio, Lamine Yamal, come raccontava in un’intervista pochi giorni fa, si alza alle 4 – come tutti i circa 2 milioni e mezzo di musulmani che vivono in Spagna -, fa colazione e si idrata per poter resistere tutto il giorno. Nel suo caso, viene esentato da una autorità religiosa dall’obbligo di digiuno durante tutte le ore diurne solo i giorni in cui ha una partita, ma per il resto se la deve cavare come tutti.
Qualche giorno fa, durante una partita del Barcelona (la squadra di club in cui milita) e il Benfica, alle 19 l’arbitro aveva sospeso la partita: secondo le norme della Uefa, nel momento in cui cala il sole e si può rompere il digiuno, i giocatori di origine musulmana possono idratarsi per qualche minuto. In quel caso il giovane giocatore non era stato esentato dal digiuno, e, assieme a un compagno del Barça e tre della squadra portoghese, aveva approfittato per poter riprendere le forze. Qualche sguardo perplesso, ma la cosa non ha sollevato particolari polemiche: in fondo in estate l’arbitro ha già l’opzione di fermare la partita per far rinfrescare i giocatori nei giorni più caldi.
Si dà il caso che questo sia il primo ramadan che celebra il giocatore: passata la pubertà, diventa obbligatorio per chi professa la religione musulmana. «È la prima volta anche per noi. Ma lo stiamo vivendo con totale normalità», ha detto il coach della Roja, Luis de La Fuente, evidenziando che alla fine, per lui come per i tifosi, contano i risultati di questo straordinario catalano. «Segue i suoi precetti e le sue norme, così come fa nel suo club, il Barça. E noi abbiamo sempre il massimo rispetto per tutti».
Ma Lamine Yamal rappresenta molto più che un simbolo per tutti i giovani musulmani spagnoli. Suo padre Mounir è arrivato dal Marocco, sua madre Sheila dalla Guinea equatoriale: lui è nato poco fuori da Barcellona e vissuto la sua infanzia nel quartiere operaio di Rocafonda, a Matarò. Quello il cui codice postale finisce con le cifre 304, che il giocatore rivendica orgogliosamente con il celebre gesto delle mani che lo ha reso famoso e imitato in tutti gli angoli del mondo.
LAMINE YAMAL – il cui doppio nome significa «degno di fiducia» e «bello», proprio come il suo calcio, e che gli venne dato in onore a due persone che aiutarono i genitori quando non potevano pagare l’affitto – rappresenta il modello di un paese diametralmente opposto a quello difeso dalla destra.
Col suo catalano impeccabile, e il suo orgoglio di quartiere umile, è frutto della mescolanza di culture. Che l’ha reso differente dagli altri, e allo stesso tempo un role model a cui le persone giovani, di tutti i colori, ma soprattutto quelle che vivono nei quartieri più umili, possono guardare: forse c’è posto anche per loro nella società spagnola.
Nonostante i contratti milionari, nel mondo del calcio le figure come la sua sono ancora ostiche da digerire per una certa fetta dalla tifoseria. Come quando a ottobre assieme al suo collega del Barça Raphinha dovette ascoltare cose come «torna a vendere fazzoletti al semaforo», o «puto moro» (cioè “maledetto arabo”) dai tifosi del Real Madrid (i responsabili sono stati poi condannati). La forza di Lamine Yamal però non è solo quella di rispondere senza neppure scomporsi, continuando a vincere.
DA BEN GIOVANE il Barça l’aveva adocchiato, e a soli 9 anni era entrato nella famosa Masia della squadra barcellonese: il tempio e la fucina dei nuovi talenti della squadra. Gli era subito stato offerto di viverci dentro per garantirgli stabilità, riposo e una dieta adeguata, nonostante la famiglia vivesse nelle vicinanze.
Ma lui mantiene ancora oggi l’abitudine di andare a mangiare il cous cous della nonna Fatima, che vive ancora a Rocafonda (anche se in un appartamento più bello pagato dal nipote). O, dopo la quinta preghiera, di andare a casa di suo zio Abdul, sempre a Matarò, a mangiare, assieme al resto della famiglia, le tradizionali zuppe e i datteri, per rompere il digiuno. Fra la sua gente, nel suo quartiere: questa è la sua forza. Ricordando a ogni occasione con orgoglio proletario come, nonostante sua madre lavorasse a tutte le ore dal McDonald, forse la sua infanzia non è stata delle più facili ma «mia mamma riusciva a farmi vedere solo le cose belle».
ACCANTO A LAMINE YAMAL, nella “Rossa”, gioca anche un altro simbolo della Spagna del 2025: Nico Williams, i genitori del quale, dopo un enorme periplo per l’Africa di migliaia di chilometri, riuscirono ad arrivare dal Ghana a Bilbao attraverso la frontiera di Melilla. Quella che il governo fa di tutto per bloccare. Nico gioca, assieme al fratello Iñaki, nell’Athletic della città basca. E ora anche lui brilla in nazionale.
Nico e Lamine Yamal sono amici, e la complicità dei due si nota anche in campo. L’immagine dei due attaccanti idoli della tifoseria che si abbracciano dopo un gol è forse l’immagine più realista della Spagna di oggi, più bella e ricca grazie ai figli dell’immigrazione e dell’integrazione.