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 2025  marzo 11 Martedì calendario

La Groenlandia al voto e le ambizioni di Usa, Russia e Cina: chi la spunterà nella grande partita per conquistare l’Artico?

Ghiaccio «bollente», quello dell’Artico. Come mai in passato sullo scacchiere internazionale. Guerra in Ucraina, effetti del riscaldamento globale, ridefinizione delle aree d’influenza geopolitiche e militari, battaglia sulle rotte del commercio internazionale e appropriazione delle terre rare: tutto precipita nella calotta settentrionale del globo.
Il quadro di partenza è chiaro, basta guardare un mappamondo da sopra: con le nuove condizioni climatiche e la fusione dei ghiacci in evoluzione, la regione inaccessibile d’una volta si mostra in ben altro modo. In un tempo in cui i «confini» sono tornati decisivi, uno sguardo ai loro protagonisti è rivelatore. Se fra gli Stati coinvolti ci sono anche Danimarca (con la Groenlandia, dove si vota oggi per l’indipendenza), Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Canada, spiccano gli Usa (con l’Alaska) e la Russia, «azionista di maggioranza» con il 53%.
Questa predominanza ha un punto di debolezza: il Consiglio Artico, che coordina la cooperazione regionale, dopo l’invasione dell’Ucraina ha emarginato Mosca. L’adesione di Stoccolma ed Helsinki alla Nato ha solo aggravato l’isolamento di Putin. Che di certo non sta a guardare. D’altra parte, che questo possa diventare un futuro fronte di torrida guerra «fredda» è evidente dalla presenza di importanti basi militari di Usa (in Groenlandia...) e Russia (su tutta la costa settentrionale).
L’appetibilità della regione, però, molto è dovuta alle vaste riserve non sfruttate di risorse naturali. La Groenlandia, con la voracità di Trump che ha detto a Copenaghen di volerla acquistare (respinto), ne è solo una parziale vetrina: qui i depositi identificati includono oro, platino e metalli di base per l’industria come ferro e rame. Brillano le «terre rare», così preziose per rinnovabili e applicazioni militari da essere al centro della trattativa fra Trump e Zelensky. Gli studi dicono che con il continuo ritiro della calotta glaciale verranno trovati molti nuovi depositi. Vale anche per l’uranio, di cui la Groenlandia potrebbe essere fra i primi produttori se non fosse per il divieto di esplorazione deciso dal Parlamento locale. La Siberia, lato russo, è un tesoro di forniture energetiche. E le profondità oceaniche sono tutte da esplorare.
Ma con la fusione dei ghiacci, che qui va quattro volte più veloce, l’Artico diventerà subito terreno di scontro per le rotte commerciali, riducendo drasticamente i tempi di percorrenza. Così entra in gioco in primis la Cina: un viaggio da Shanghai a Rotterdam per la rotta a Nord-Est diminuisce di 6.400 chilometri rispetto al tradizionale passaggio via Canale di Suez. Da 48 a 35 giorni. Per Pechino, la Polar Silk Road diventa strategica.
Non vuol dire che andrà così. La navigazione resta pericolosa, a causa dei banchi di ghiaccio galleggianti e del buio invernale e la Russia (Paese con la maggior flotta di rompighiaccio, unico ad averne a propulsione nucleare) sa che le sue ambizioni qui cozzano con quelle cinesi. Senza contare il riavvicinamento di Putin a Trump, che guarda con avidità all’altro passaggio, a Nord-Ovest, intorno ad Alaska-Canada, che aggirerebbe Panama.
Condizione perché tutto ciò avvenga resta il drastico calo dei ghiacci polari. Che preoccupa assai gli scienziati: la riduzione della sola massa glaciale della Groenlandia provocherebbe un drammatico innalzamento dei mari (di vari metri) ben prima di fine secolo. E la «grande partita dell’Artico» la perderemmo tutti.