La Stampa, 11 marzo 2025
Mara Cagol, la vera capa delle Br amata da tutti i brigatisti e quell’assalto armato al carcere
E così, messo alle strette, Lauro Azzolini, che fu uno dei fondatori delle Brigate Rosse, ha riconosciuto che lui c’era allo scontro a fuoco tra brigatisti e carabinieri nel giugno 1975, quando tenevano in ostaggio l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia e le forze di polizia battevano le campagne dell’Alessandrino. Ha raccontato di avere sparato, di avere lanciato due bombe a mano (un carabiniere morto, un altro con lesioni gravissime) e poi di essere scappato per i campi. Dice infine che al suo ultimo sguardo, la compagna Margherita Cagol era ancora viva. Siccome poco dopo era morta, in pratica sta accusando i carabinieri superstiti di averla uccisa a sangue freddo. E questa sarà materia del processo penale. Ma qui colpisce come, a distanza di cinquanta anni, Azzolini nella sua confessione si mostri così turbato nel raccontare la morte della Cagol. Già, perché era lei la leader. La vera fondatrice delle Br. L’ispiratrice. L’ideologa. La Ulrike Meinhof italiana.
I primi brigatisti, quelli del nucleo storico che operarono tra 1972 e 1975 la adoravano. Ne erano innamorati. La consideravano un palmo superiore a tutti quanti. Intanto per caratura intellettuale (non per niente si era laureata in sociologia con 110 e lode a Trento). E poi per ardimento. Ha raccontato Renato Curcio, suo marito: «Che lei abbia voluto l’organizzazione armata quanto me, se non più di me, è un fatto».
Fu naturale sceglierla come «capocolonna» a Torino. E c’era lei dietro le strategie degli inizi. Fu la compagna Mara a ideare e poi gestire il sequestro del giudice Mario Sossi. Il primo exploit terroristico in Italia. Era il 1974 e le Br ancora non le conosceva nessuno. Dopo tutto cambiò. Ci fu la prima reazione da parte dello Stato e i carabinieri arrestarono Curcio e Alberto Franceschini. Sbandamento generale. Ma ecco che la Cagol guida un rocambolesco attacco al carcere di Casale Monferrato e libera il compagno di lotta armata. Ovviamente l’immagine di lei, bellissima, altera, armi in pugno, che si impadronisce di un carcere crea un mito dentro le Br. Era il febbraio 1975.
Dice ora Lauro Azzolini che a quel punto le Br avevano un disperato bisogno di soldi e decisero di fare alla maniera dei malavitosi calabresi: un rapimento a scopo di estorsione. Individuarono la vittima in Gancia, imprenditore delle bollicine, l’uomo che portava lo spumante sulle tavole di tutti gli italiani. Il resto è cronaca: rapimento, ostaggio rinchiuso in una cascina, carabinieri all’opera, conflitto a fuoco, liberazione di Gancia. Se davvero Mara Cagol sia stata uccisa a sangue freddo, lo dirà (forse) il processo. Di certo la storia del terrorismo italiano quel giorno ha preso un indirizzo nuovo e imprevisto, perché il gruppo di Curcio Franceschini Moretti e Azzolini si trovarono senza più lei alla guida. E dopo poco restò fuori solo Mario Moretti. Cambiò il corso del terrorismo rosso. Impossibile dire se in meglio o in peggio.