il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2025
Procreazione assistita per le single: ecco su cosa deciderà la Consulta
“Ho sempre desiderato avere una famiglia e, se vogliamo dirla nei termini in voga al momento, possiamo dire che ho sempre desiderato una famiglia tradizionale. Ma non sono arrivate le condizioni e non perché io non le abbia cercate”. Evita, 40 anni di Torino, ha contribuito a portare il caso del divieto di procreazione medicalmente assistita (Pma) per le donne single fino in Corte costituzionale. “Ho avuto diverse relazioni, finite male per colpa dell’uno, dell’altro, di entrambi come sempre accade”. La società ha fatto il resto: sono arrivati i 40 e “mi sono trovata a dover fare i conti con ciò che avevo a disposizione e con il mio corpo”. Oggi, si terrà l’udienza pubblica sul suo ricorso.
La Pma.
In Italia è riservata solo alle coppie di maggiorenni eterosessuali, coniugate o conviventi. La legge 40 del 2004, negli anni è stata però modificata tassello dopo tassello proprio dalla Consulta: è saltato, ad esempio, il divieto di trattare più di tre embrioni così come quello della diagnosi pre-impianto, fino al divieto per la fecondazione eterologa (uno o entrambi i gameti da un donatore esterno). È rimasto l’implicito divieto per donne single e coppie omosessuali. “Ho avuto il primo contratto di lavoro adatto a trent’anni – racconta Evita – Prima non era neanche ipotizzabile mettere su famiglia tra decine di lavoretti instabili per mantenermi. Una condizione che vivono tutte le donne della mia generazione”. Oggi, come molte altre, occupa posizioni di rilievo. E chi può, va all’estero per la Pma. “Io vorrei farlo a casa mia. Non ho nulla di cui vergognarmi: perché devo allontanarmi da famiglia e affetti?”.
La legge.
Il dibattito è complesso. “La legge attuale – spiega Paola Cucciniello, avvocato esperto in diritto di famiglia e curatore speciale del minore del Foro di Avellino – ha finalità terapeutiche ma nel caso della donna single l’infertilità non è patologica o fisiologica. È dovuta a uno stato sociale che potrebbe modificarsi nel tempo. Questo probabilmente sarà il primo nodo da sciogliere”. Come curatore, ogni giorno assiste a genitori che decadono dalla responsabilità genitoriale per incapacità. “La famiglia non sempre nel concreto è il meglio per i minori” spiega. Ma lo è in astratto. “Consentire l’accesso alla Pma alle single, significa decidere aprioristicamente che il bambino non goda del diritto alla bigenitorialità, tutelando maggiormente il desiderio della donna di diventare mamma”. La parola chiave è “bilanciare”: la libertà di diventare genitori con altri diritti protetti dalla Costituzione. Spiega l’avvocato Paola de Vito, collaborativo solutore di conflitti, familiarista e minorile: “Nel caso specifico, il diritto della donna deve contemperarsi con il diritto alla dignità umana, con quello dei figli ad avere un passato che serva per una sana costruzione dell’identità, con quello di accesso delle coppie alla Pma, con il diritto alla salute di chi vi accede, con il diritto delle donne che donano i gameti”. La sentenza, poi, arriverà in un contesto poco progressista. È di novembre la legge che considera “reato universale” la maternità surrogata. “È stata paragonata a genocidi, tortura e schiavitù” spiega De Vito. E prevede che chi accede alla pratica all’estero sarà sanzionato in Italia. “La sentenza arriverà in un momento in cui si tende a non valorizzare i diritti delle minoranze, inasprendo le sanzioni”.
La battaglia.
La lotta di Evita comunque va avanti. È nata a Firenze “dove il Tribunale – dice l’avv. Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni e coordinatrice del team legale di difesa – ha rilevato che il divieto è discriminatorio e non in linea con le tutele del diritto all’autodeterminazione e all’uguaglianza”. La difesa si baserà su questo. “Chi può va all’estero. Poi torna, partorisce quel bambino che sarà il proprio figlio. Ma perché si deve rinunciare alle tutele del proprio Paese? Cosa dovrebbe fare una donna?” Oggi le donne single che vogliono diventare madri fanno enormi sacrifici, le tecniche hanno costi importanti, devono trasferirsi in altri Paesi. “Ma lo fanno per un obiettivo più grande: diventare madri. I giudici della Consulta lo hanno ricordato al Parlamento nel 2014, nella loro sentenza contro il divieto dell’eterologa: sono tecniche che servono a ‘favorire la vita’”.