Avvenire, 10 marzo 2025
I 115 giorni di silenzio su Trentini: mai così tanti per un italiano rapito
L’ultima prova di Alberto Trentini in vita risale a più di quaranta giorni fa. Da allora Caracas non ha dato più notizie. Né a Roma né a Lido Venezia, dove Alberto non ha mai chiamato da quanto è stato arrestato lo scorso 15 novembre mentre lavorava per l’ong “Humanity & Inclusion”. È il primo cittadino italiano sottoposto a sparizione forzata all’estero senza comunicazioni per oltre cento giorni (115 oggi). «Non ha potuto comunicare con nessuno», conferma la legale Alessandra Ballerini – che segue anche il caso Regeni –, osservando che la situazione è «gravissima e inedita» chiedendo che «il governo si adoperi senza risparmiarsi per portare a casa Alberto».
Roma non sa neppure dove si trovi con esattezza Alberto. Lo scorso 7 marzo la deputata Pd Rachele Scarpa ha detto che il cooperante rimane «sotto la custodia dalla Direzione generale di controspionaggio militare», e quindi nella prigione di Boleita, nel Distretto capitale, ma nessuno è riuscito a dimostrarlo. Neppure lo stesso ambasciatore italiano a Caracas, Giovanni Umberto De Vito, che si è recato proprio a Boleita senza esito positivo. Di qui la scelta prudente del sottosegretario agli Esteri Giorgio Silli di non dare un nome a «quella struttura» presso la quale i diplomatici «si sono recati fisicamente», mentre riferiva in Parlamento.
La preoccupazione cresce in casa Trentini. La stessa madre di Alberto, Amanda, è intervenuta ieri alla trasmissione Rai Che tempo che fa dicendo di voler «incontrare il presidente del Consiglio» in quanto ha bisogno di sapere «che il nostro governo sta facendo tutto il necessario per riportare a casa Alberto». La richiesta è quindi di agire con «risolutezza di cui in altre occasioni il governo si è mostrato capace». Amanda si riferiva anche al caso Cecilia Sala, che era presente in studio e per la cui libertà Meloni si è personalmente mobilitata incontrando la madre Elisabetta Vernoni e recandosi a sorpresa a Mar-a-Lago a colloquio con Donald Trump.
La signora Amanda ha anche ringraziato «l’Intelligence e tutte le persone (circa 800, ndr) – che hanno aderito al digiuno a staffetta» iniziato Mercoledì delle ceneri per chiedere la libertà di Trentini. Tra questi anche Cecilia Sala, l’ong Mediterranea Human Saves e la moglie di Andrea Bocelli, Veronica Berti. L’iniziativa si aggiunge alla raccolta firme che vanta quasi 80mila adesioni su Change.org.
Da Caracas fanno sapere che la linea della fermezza non sta funzionando: «basterebbe anche solo una chiamata al Palazzo di Miraflores perché Trentini possa essere liberato». La richiesta è diretta: una telefonata, seguita da un colloquio formale per sbloccare il caso. Lo ha fatto Washington un mese fa attraverso l’inviato Richard Grenell, ottenendo la liberazione di sei prigionieri Usa. E anche l’Italia nel 2019, in una stagione altrettanto tesa per il Paese sudamericano, ottenendo un salvacondotto per i deputati italo-venezuelani Americo De Grazia e Mariela Magallanes.
C’è da ammettere che a Caracas le cose non sono mai state facili: consolati e ambasciate non vengono mai messi al corrente sugli arresti dei concittadini, che si su X/Twitter dove l’ong “Foro Penal” l’elenco dei detenuti politici. E i diplomatici sono costretti al costante monitoraggio delle piattaforme per venirne a conoscenza. Dal Paese sudamericano spuntano anche figure di dubbia affidabilità, intente a lucrare sul caso o depistare le trattative in corso. Non manca neppure l’interferenza dei Servizi locali, che cercano di associare la figura di Alberto alle opposizioni al fine di incolparlo per cospirazione. Ma legali e familiari hanno imparato a separare – per dirla come Luigi Pirandello – fra «tante maschere e pochi volti» presenti nella vicenda.