La Lettura, 9 marzo 2025
L’amore, sostantivo plurale
Un uomo vaga tra i corridoi di un ospedale, passeggia per la città, si fa trasportare da ignari ciclisti e automobilisti. Nessuno lo vede. Tranne noi spettatori e chi, nel film, è nella sua stessa condizione. Il suo corpo, in coma, giace in un letto. A vagare è l’essenza. Alcuni compagni di reparto si sentono in trappola. A lui quell’esistenza sospesa piace: si sente al riparo, non ha preoccupazioni, responsabilità. Le giornate trascorrono senza intoppi, fino all’arrivo di una nuova paziente che fa saltare ogni equilibrio.
Nel secondo film da regista, Nonostante (nelle sale dal 27 marzo per Bim dopo la presentazione a Venezia nella sezione Orizzonti), Valerio Mastandrea – anche protagonista – ha scelto di raccontare una storia d’amore e di ambientarla in un luogo insolito: «Assurdo e metaforico», dice a «la Lettura» e a Dario Brunori, in arte Brunori Sas, che dopo il terzo posto al festival di Sanremo si prepara a partire in tour (il 14 marzo da Vigevano, Pavia).
Il cantautore non ha lavorato al film ma con il regista c’è una vicinanza di intenti e temi. Film e disco parlano di amore («Perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?», cantava Brunori qualche anno fa). Di amore, in tutte le sue forme, e di morte. Cioè di vita. Che è anche ironia. La connessione è così forte che alcuni brani del nuovo album di Brunori Sas – L’albero delle noci, come la canzone portata in Riviera – si sposano alla perfezione con il film di Valerio Mastandrea.
Avere vent’anni o cento
Non cambia poi mica tanto
Se non riesci a vivere la vita com’è
La fine del mondo
l’hai vista in un secondo
E non riesci a vivere la vita com’è
E adesso come stai?
Ci pensi ancora a lei?
E no, no, no, non è
che non puoi tornare indietro
No, no, no, non è
che l’amore non ritorna più...
Perché sai l’amore com’è
L’amore non è come volevi tu
(La vita com’è, 2023)
VALERIO MASTANDREA – È una canzone bellissima, avrei voluto metterla nel film, ma l’avevate già usata in un altro (Il più bel secolo della mia vita di Alessandro Bardani, ndr).
BRUNORI SAS – Il mio obiettivo è convincerti a fare una nuova edizione del film con le mie canzoni. Lascerei solo Eduardo De Crescenzo per amore spassionato. Comunque hai davvero fatto ottime scelte musicali.
Jaime Roos, T. Rex, «Noi non ci saremo» versione Csi, «Lasciare qualche scia» degli Otto Ohm. Punto di contatto tra voi due è Riccardo Sinigallia, che ha scritto le musiche di «Ride», prima regia di Mastandrea, e con Brunori Sas (il nome viene dall’impresa del padre) ha prodotto il nuovo disco.
BRUNORI SAS – Valerio, la prima volta che mi hai parlato del film ho pensato che fosse un’idea forte, ma rischiosa. Sarebbe stato più semplice a teatro dove forse, in un monologo, hai totale autonomia e controllo. Non come al cinema dove i tempi sono stretti e dipendi da una filiera. Ma magari dirai che è più semplice proprio perché lavori con altri.
VALERIO MASTANDREA – Faccio il regista da poco, però sono attore da tanto e questo è un lavoro in cui il controllo va perso più che tenuto, e anche questa perdita va condivisa. Hai una banda con cui esplori pericoli e rischi, che ti dà suggerimenti che poi magari ignori. Quando ci incontrammo, tu e Riccardo eravate preoccupati, sembravate due sceneggiatori arrivati a un punto morto. E invece...
BRUNORI SAS – La collaborazione con Riccardo è stata una rigenerazione. Mi ha fatto ritornare a una scrittura necessaria. Il processo è durato due anni: abbiamo lavorato sui fianchi per fare uscire quell’attitudine. Quando lavori con altri, puoi delegare, abbandonare il timone ma solo quando sei sicuro che di fondo la scrittura è solida. Mi ha detto: lascia stare gli arrangiamenti, prima di tutto scriviamo canzoni che funzionino anche solo pianoforte e voce o chitarra e voce, perché se non sono credibili, è inutile mettere gli abbellimenti. La fase fondamentale è la scrittura. Anche nel tuo film si nota questa solidità: credo che renda più facile accettare che la resa finale, con il contributo degli altri, si sposti dal tuo disegno iniziale.
VALERIO MASTANDREA – Equivale a: vuoi raccontare una cosa veramente o perché piaccia agli altri? È parlare della spinta iniziale. Per questo film abbastanza assurdo e imperfetto – aggettivo che spero di applicare a tutti i miei film, se ne farò altri – la spinta è stata la volontà di raccontare una storia d’amore, che è la cosa più complicata al mondo: ciascuno ha le sue, le vive come gli pare. E poi al cinema ne abbiamo viste 50 mila... Con il co-sceneggiatore Enrico Audenino siamo partiti dalle feste a 13 anni, il sabato pomeriggio a casa di sconosciuti dove all’improvviso ti innamoravi di una più grande, ma poi ti venivano a prendere e lei non la rivedrai più. Volevamo usare il principio attivo della storia d’amore classica, anche scontata, prevedibile, in un contesto allegorico. Volevo parlare di me, di quanto nella mia vita i grandi amori, le botte irrazionali, non corrisposte, mi hanno sempre fatto fare passi avanti. Cosa facevo quando sono arrivati questi incontri? Dormivo, stavo tranquillo, senza che mi importasse di nulla; e mi piaceva. Abbiamo provato a mettere insieme queste cose: in scrittura sono poi emersi gli elementi che qualcuno ora individua nel film: la spiritualità, il senso del ricordo...
I personaggi non sono mai chiamati per nome. L’uomo e la nuova arrivata (l’attrice argentina Dolores Fonzi) si innamorano ma il loro amore esiste solo in quel limbo sospeso: «Quando ti svegli, torni su, non ricordi nulla. Se non ricordi è come morire».
VALERIO MASTANDREA – In fase di scrittura c’era una battuta che diceva: «Se tu stai meglio, io sono disperato». Un ossimoro. In quel contesto se la persona di cui sei innamorato sta meglio, la perdi... Ne soffri, ma dovresti esserne felice. Elementi nati in scrittura ma anche girando. La regia è un po’ come l’arrangiamento di una canzone: se pensi prima a quello i film sono solo estetici, non ti toccano.
BRUNORI SAS – Anch’io in questo disco voglio parlare di me, della mia relazione, delle cose fondamentali della vita, di amore e di morte. Cercando, a fatica, di non cadere nell’autocompiacimento, nella ricerca di quella cosa che sai che funziona. Ma neppure nel tranello del cinismo. Siamo tentati di non trattare temi usurati, ma il punto è proprio quello. Nel disco abbiamo scartato canzoni che riguardavano più l’impegno sociale per tornare all’idea di un ritratto di stati d’animo, di relazioni. Qualcosa che inevitabilmente ha a che vedere con la nostra età (Brunori ha 47 anni, Mastandrea 53; ndr). La sfida sta nel tono. Mi è piaciuto molto il modo in cui nel film hai ritratto il momento dell’innamoramento, con garbo, in modo asciutto, dry. Ho riconosciuto la nostra paura di cadere nella retorica. Ho cantato anche rischiando di lasciare le stonature, l’imperfezione di cui parlavi. Anche se io, diciamolo, imperfezioni non ne ho. Mi piacerebbe essere imperfetto come te, ma non mi riesce... (Ride).
VALERIO MASTANDREA – Se vuoi tengono dei corsi serali. (Ridono).
BRUNORI SAS – Comunque, l’enfasi era sull’asciugare fino al punto di lasciare l’essenziale, per non catturare e concupire l’ascoltatore. Cosa che ho riscontrato anche nel film.
VALERIO MASTANDREA – Io al pubblico penso sempre. Il film che ho portato a Venezia aveva una parte che non ho mai considerato giusta per il racconto (legata al volo del protagonista, ndr) ma mi dicevo che serviva per dare un po’ di respiro al pubblico. Poi ho riflettuto e l’ho levata. Parli di impegno: io pure ho quella tendenza; ma mi sento più utile come cittadino all’interno di una manifestazione che come artista. Ho iniziato a scrivere il film in pandemia, poi è successo tutto il resto e in questi tempi terribili di ingiustizie e disgrazie mi dico: perché raccontare una storia d’amore? Non è che mi assolvo, ma poi penso che non sia male per quell’ora e venti provocare un’emozione, prima di rituffarsi nella realtà. Sento la responsabilità di quello che facciamo.
La società di produzione che ha fondato con Zerocalcare, Francesco Tatò e Oscar Glioti (e che produce «Nonostante» con Ht Film di Viola Prestieri e Valeria Golino, Tenderstories e Rai Cinema) si chiama Damocle, con riferimento alla spada.
BRUNORI SAS – Credo che la risposta alla domanda «chi me lo fa fare di parlare adesso di amore» sia una sola: perché senti che per te o per altri possa essere una necessità, un’urgenza.
VALERIO MASTANDREA – Nel disco si sente il viaggio fatto nel contatto con l’emotività; si sente che hai toccato il fondo della piscina e che sei risalito.
BRUNORI SAS – Noi facciamo questo, non è che possiamo porci nell’ottica di intellettuali impegnati. Che poi mi viene in mente Pier Paolo Pasolini che diceva che quando la situazione è urgente lo scrittore, l’artista devono abbandonare la penna e andare a ficcarsi nelle barricate... Credo però che oggi sia importante il come, la cura che metti in un’opera. La scrittura in questo disco è stata come un’immersione da sub, andare a cercare con la lanterna parti di te che non riesci a vedere, cose che disturbano, per tirarle fuori e condividerle. Anche questo è un atto politico in un momento in cui l’introversione, la riflessione su tematiche centrali sono totalmente eliminate dal discorso. Il lavoro sull’interiorità è centrale; quello che sta fuori ne è il riflesso. Se hai la guerra dentro la esprimi anche fuori. Certo, ci sono grandissimi film e canzoni di impegno civile, ma oggi il rischio è che vengano bollati come tifoseria.
VALERIO MASTANDREA – A meno che non fai un lavoro completamente integrato nelle lotte sociali e culturali, come Zerocalcare, che riesce a raccontarle con unicità a chi non le conosce.
BRUNORI SAS – Noi proviamo a comunicare una tensione alla ricerca, un certo tipo di riflessione e di recupero di umanità. In questo senso nel film ci sono passaggi fortissimi. Viene detto: nessuno vuole andare via, morire, da solo.
VALERIO MASTANDREA – Mi piacciono questi confronti, come anche parlare del film con gli spettatori: aiutano a capirlo di più. «Nessuno vuole andarsene da solo»... Ecco, vedi, non ci avevo pensato, ma è un grido alla necessità dell’altro. Sempre.
Parliamo del titolo: «Nonostante».
VALERIO MASTANDREA – Leggendo Paolo Nori sono incappato in una citazione di Angelo Maria Ripellino (1923-1978), slavista e poeta siciliano che nel periodo in sanatorio chiamava sé stesso e gli altri ricoverati «i nonostante»: «L’avverbio si fa sostantivo, a indicare noi tutti che, contrassegnati da un numero, sbilenchi e piegati da raffiche, opponevamo la nostra caparbietà all’insolenza del male». Ecco, i nostri personaggi senza nome. In sceneggiatura abbiamo iniziato a chiamarli: «nonostante veterana», «nonostante curiosone»... I nonostante sono le tante persone che quando incontrano l’amore provano a opporsi alla sofferenza; chi se la rischia, non resta fermo. Persone nelle quali mi riconosco e riconosco anche Riccardo Sinigallia e Dario. Il mondo si divide nei nonostante e negli altri...
BRUNORI SAS – Gli ostanti.
VALERIO MASTANDREA – Forse i cinici. Del mio cinismo mi sono vantato fino ai 35 anni, anche se era solo una corazza. Poi quando a 38 è nato il mio primo figlio, ho riconosciuto in quel sentimento qualcosa di pericoloso.
BRUNORI SAS – Mi riconosco nei «nonostante» e anche in quella fase della vita di cui parli, che pure nel mio caso coincide con la nascita di mia figlia. Mantengo una porzione labile, necessaria per metabolizzare alcune situazioni, della mia parte cinica e nichilista, disincantata. Mi piace il disincanto, in alcuni casi è necessario. Ma ne riconosco la pericolosità soprattutto nei ragazzi. Credo che la nascita di Fiammetta abbia creato in me una lotta; e alla fine l’attrito è importante, anche se ho una tendenza a sfuggire lo scontro diretto. Credo che nella categoria dei nonostante ci sia anche il raccontare l’attrito tra le parti di te che non sempre vanno d’accordo.
VALERIO MASTANDREA – Del brano di Sanremo mi ha colpito il modo in cui parli della paternità. Per me la consapevolezza del ruolo è arrivata quando è nato il mio secondo figlio, undici anni dopo il primo. Tu invece ci sei arrivato in diretta, tua figlia è ancora piccola. Nella canzone ho riconosciuto la voglia di non giudicarsi, che è l’unica cosa che fai perché non sai fare altro, hai solo la paura di non essere all’altezza. Una paura che riguarda molto le madri, ma della loro non ne parla nessuno. Dopo il parto, quando tornano a casa, dopo qualche tempo... Nessuno chiede loro come stanno.
Vorrei cantarti l’amore, amore
Il buio che arriva nel giorno che muore
Senza cadere
Nella paura di farti male
(L’albero delle noci, 2025)
BRUNORI SAS – La consapevolezza forse viene dall’età. Quando sono diventato padre svevo 45 anni.
VALERIO MASTANDREA – I genitori perfetti non esistono, il punto è quanto amore dai e quanto quell’amore non è ricattatorio. Questo lo puoi traslare nei rapporti in generale, negli innamoramenti, nelle costruzioni dell’amore, come nel grande brano di Ivano Fossati. Perché alla fine lo capisci: l’amore è costruire, non è solo la sensazione irrazionale di perdere la testa e pensare di poter muovere i palazzi, non sapere perché ti amo e non mangiare per venti giorni senza avere fame.
Un sentimento capace di annullare le leggi della natura che rimanda alla «Passeggiata» di Marc Chagall, rappresentazione dell’amore che il regista ha chiesto di reinterpretare a cinque artisti – Gipi (qui sopra), Zuzu, Davide Reviati, Marco Cazzato e Antonio Pronostico – dopo la visione del film: riletture che capovolgono i ruoli del dipinto: lei a terra e lui che vola.
Più di quello che hai perso tu
Più di quello che ho perso io
Siamo stati due eroi
A non perdere noi
(Per non perdere noi, 2025)
BRUNORI SAS – Nei miei dischi ho sempre avuto la tendenza a parlare della bellezza e della fatica delle relazioni, la tensione tra la passione e la costruzione dell’amore. Lo faccio anche qui, in Più acqua che fuoco o in Per non perdere noi, che parla proprio di questo.
VALERIO MASTANDREA – È il mio brano preferito.
BRUNORI SAS – In una versione iniziale, il finale era doppio. Al posto di «siamo stati due eroi», la prima volta dicevo: «Più di quello che hai perso tu/ Più di quello che ho preso io/ E che non avrò mai/ Per non perdere noi»; la seconda: «E che non avrai mai». A sottolineare ancora di più la tensione.
Film e disco parlano di momenti che travolgono l’esistenza: l’arrivo di un amore, la nascita di un figlio, la morte.
VALERIO MASTANDREA – La morte viene vista come la fine delle cose, non come trapasso, eternità. Fino a una certa età è la cosa che fa più paura. Poi arriva l’incubo della malattia, della sofferenza...
BRUNORI SAS – Una paura che oggi vale per i singoli e per le nazioni, che si stanno chiudendo per la paura della fine. Sull’amore avevo scritto una canzone che Riccardo ha bocciato: «È così che si diventa grandi, senza patemi e drammi. È così, è così, senza aspettarsi in cambio niente, l’amore veramente». In questo ritornello c’è quello che mi sembra la forma di amore più alto, quello per i figli, che non chiede in cambio niente.
Che modifica «l’architettura e le proporzioni del mio cuore», come canta in «L’albero delle noci».
VALERIO MASTANDREA – Hai parlato anche di come la nascita ti avesse aperto la corazza. Io feci un paragone simile parlando di ascesso: era come se sul cuore avessi un ascesso che l’amore eterno verso un figlio mi ha bucato. Non è poetico, ma rende l’idea dell’infezione a cui si va incontro a forza di chiudersi e non vivere le proprie emozioni.
Valerio Mastandrea dedica il film al padre Alberto (1950-2014). Dario Brunori ha scritto della scomparsa del padre Bruno in diverse canzoni...
Anche quando tuo padre scompare
Senza neanche avvisare
E senza fare rumore
Senza darti un minuto
per potergli dire
Chi gli hai voluto bene
E che ti manca da morire...
(Capita così, 2020)
BRUNORI SAS – Mio padre è mancato di colpo, in un momento in cui io pensavo fosse immortale e in cui era un po’ sfiduciato rispetto alle mie scelte. Non ha visto nulla di quello che è venuto dopo e quindi è come se io avessi questo desiderio costante di rivalsa nei suoi confronti, come a volergli dire: alla fine ce l’ho fatta, spero che tu sia fiero di me. E questo ovviamente è finito nelle canzoni.
VALERIO MASTANDREA – La dedica è un modo per dire a mio padre che ero fiero di lui, per riconoscere in lui la grande dote di essere stato un vero «nonostante». Non siamo cresciuti insieme, quindi non l’ho vissuto in maniera canonica. La sua perdita, oltre al lutto mi ha obbligato a elaborare il legame che non ho avuto. I film mi danno la possibilità di aggiungere tappe a questo percorso.
La sospensione del film ricorda quasi una favola.
BRUNORI SAS – Sul tema mi è piaciuta una cosa detta da Lucio Corsi a proposito del duetto sanremese con Topo Gigio: per me lui è molto più reale di tante persone. Una provocazione poetica. La condizione raccontata da Valerio, lo stato di coma dei personaggi, non è una condizione reale? È realismo magico, come Cent’anni di solitudine. Racconti per tramite di una cosa che dovrebbe essere surreale, una cosa che è molto più reale di un testo realistico che tante volte non riesce a entrare in quella profondità.
VALERIO MASTANDREA – Arrivare a molti con una piccola storia è l’obiettivo di qualsiasi scrittore o cantautore. Sai, invidio molto il vostro mestiere: dev’essere incredibile quando ai concerti migliaia di spettatori – 5 mila oppure 80 mila – cantano quello che hai scritto.