La Lettura, 9 marzo 2025
I gemelli diversi del sistema nervoso
Il cervello che regna sul corpo umano con tutti i suoi organi e apparati è emblema di quest’epoca creativa ed emotiva. La rappresentazione di questa struttura di labirintica complessità che racchiude il sancta sanctorum delle scienze della vita, la coscienza umana, è al centro della straordinaria mostra Mind/Matter: The Neuroscience of Perception, Attention, and Memory che si tiene allo Yale Peabody Museum in collaborazione con il Wu Tsai Institute dell’Università di Yale.
Il curatore Daniel Colón-Ramos, titolare nell’ateneo della cattedra Dorys McConnell Duberg di Neuroscienze e biologia cellulare, ha presentato così la mostra: «Il cervello umano ha cento miliardi di neuroni, un numero simile a quello delle stelle nella Via Lattea. Come in una notte limpida si può guardare il cielo e percepire un’infinità di possibilità, abbiamo organizzato questa mostra per portare i visitatori in un viaggio attraverso la costellazione di possibilità che ogni cervello umano rappresenta».
Al cuore dell’esposizione ci sono documenti e disegni di Camillo Golgi e Santiago Ramón y Cajal provenienti dal Museo Golgi e dal Museo per la Storia dell’Università di Pavia per l’Italia e dal Museo Nacional de Ciencias Naturales, con il contributo del Legado Cajal, per la Spagna. La mostra pone al centro della storia delle moderne neuroscienze le figure di questi due studiosi di cultura latina che nel dicembre del 1906 ricevettero insieme a Stoccolma, dalle mani del re di Svezia Oscar II, il premio Nobel per le loro scoperte sul sistema nervoso. La cerimonia scandinava, fra gli applausi del pubblico, pose un sigillo unitario a due traiettorie di vita e di scienza che raggiunsero, proprio allora, l’apice del loro prestigio. E tuttavia quel momento di gloria, invece che saldare amichevolmente i due premiati in un destino comune consegnato alla storia, esasperò un contrasto intellettuale sviluppatosi nei quindici anni precedenti. L’italiano tenne infatti una provocatoria relazione in cui tentò di confutare le teorie del collega. Per ironia del destino, scrisse Cajal, il suggello del Nobel li legò per sempre «come gemelli siamesi uniti per la schiena».
La sorte che li fece incontrare nella fredda ma accogliente Stoccolma prese le mosse nel 1873 ad Abbiategrasso, in un laboratorio domestico annesso a un ricovero per malati cronici dove il trentenne primario ospedaliero Golgi – che si era laureato in Medicina a Pavia nel 1865 – mise a punto un metodo rivoluzionario per studiare l’anatomia microscopica del sistema nervoso. Facendo agire il nitrato d’argento su pezzi di cervello induriti in bicromato di potassio, Golgi era riuscito a realizzare il sogno di tutti gli studiosi che si erano posti il problema di chiarire la struttura fine dell’encefalo. L’interazione fra i due reagenti produceva infatti la precipitazione di un sale bruno-nerastro (il cromato d’argento) che, in maniera del tutto inaspettata, andava a occupare il corpo della cellula con tutti i suoi prolungamenti. La miracolosa e misteriosa singolarità del fenomeno, definito «reazione nera», era data dal fatto che solo una minoranza degli elementi nel campo microscopico si colorava, rendendoli quindi nettamente visibili rispetto al tessuto circostante.
Proprio in questa parzialità stava lo straordinario potere rivelatore del metodo. Con tale strumento Golgi fece subito diverse scoperte, quali la costante presenza nella cellula di un prolungamento ramificato, in seguito definito «assone». Sulla base dei raggruppamenti citologici individuati descrisse, come mai era stato possibile in precedenza, diverse parti del sistema nervoso creando dal niente un atlante della sua anatomia microscopica. Contributi che stanno alle fondamenta delle moderne neuroscienze.
Influenzato da una concezione olistica che considerava il cervello un organo funzionalmente unitario, lo scienziato italiano – diventato nel frattempo professore di Patologia generale e istologia a Pavia – sviluppò una teoria neurofisiologica che prevedeva la fusione degli assoni in una rete diffusa a tutto il complesso encefalo-midollare. Secondo Golgi un impulso nervoso poteva così disperdersi lungo questo labirintico reticolo chiuso in sé stesso, come in una sorta di gigantesco sistema circolatorio senza limiti e confini.
Nel 1887 il trentacinquenne Cajal, professore di Anatomia all’Università di Valencia, osservò a casa di un collega una fettina di tessuto cerebrale colorata con la reazione di Golgi. La visione al microscopio di quelle architetture meravigliose gli scatenò un’emozione grandissima. Lo scienziato capì rapidamente qual era la sua vocazione: studiare l’intero sistema nervoso con la reazione nera. Buttatosi a decifrarne la trama con questo metodo, giunse ben presto a conclusioni fisiologiche diverse da quelle di Golgi.
L’encefalo e il midollo spinale erano composti da cellule separate tra loro che vennero denominate «neuroni» nel 1891 dall’anatomista tedesco Wilhelm Waldeyer. Lo spazio frapposto a queste unità elementari, definito «sinapsi», assunse un ruolo fondamentale perché permise di concepire connessioni specifiche e non diffuse, come invece aveva ipotizzato Golgi. Era nata la «teoria del neurone», il paradigma fondamentale delle neuroscienze.
Proprio da queste concezioni presero ispirazione gli sviluppi matematici e tecnologici che porteranno alle reti neurali artificiali e, in definitiva, alla moderna intelligenza artificiale a cui la mostra del Yale Peabody Museum dedica particolare attenzione.
A distanza di tanti anni possiamo guardare a Golgi e Cajal come a due collaboratori che realizzarono una grande impresa collettiva, declinata fra avanzamenti tecnico-scientifici e ipotesi generali, da cui sono scaturiti i moderni studi sul cervello. Come ha spiegato Colón-Ramos a proposito della mostra: «Vogliamo esporre tutti i visitatori a questo eccitante processo di scoperta camminando lungo la via percorsa da questi due giganti, inclusa l’esperienza di osservare i loro disegni originali, che hanno un grande valore storico, scientifico e artistico».