La Lettura, 9 marzo 2025
L’universo è pieno di vita
Su 101955 Bennu, un asteroide largo circa 500 metri che nella sua orbita intorno al Sole sfreccia ogni sei anni vicino alla Terra (tanto da essere uno dei corpi near Earth tenuti sotto controllo per il rischio di futuri impatti), la missione spaziale OSIRIS-Rex della Nasa ha prelevato nell’ottobre 2020 un campione di materiale subito sigillato in una capsula e riportato sulla Terra. I risultati delle analisi sono stati da poco pubblicati su «Nature» e «Nature Astronomy»: i frammenti contengono varie forme di composti organici fondamentali per la biologia. Tre scienziati – l’astronomo Cesare Barbieri, il fisico Alessandro De Angelis e l’astrofisica Sara Faggi – raccontano a «la Lettura» perché questa scoperta è così importante, e quanto ci avvicina alla comprensione della nascita della vita sulla Terra (e molto probabilmente anche altrove).
SARA FAGGI – Settimane fa, qui a Nasa Goddard, è stato diffuso il comunicato sui risultati della missione OSIRIS-Rex. È stato un momento eccezionale: nel campione riportato a Terra dall’asteroide Bennu sono state trovate molecole organiche essenziali alla vita, in particolare 14 amminoacidi, che servono a costruire le proteine, e tutte e 5 le nucleobasi che fanno parte di molecole come il Dna o l’Rna. La vita è fatta di amminoacidi di chiralità sinistra (una molecola chirale può esistere in due forme speculari, fra loro non sovrapponibili come la mano destra e la sinistra, ndr), quindi L, left, ma si è trovato che negli amminoacidi su Bennu la maggior parte era di chiralità destra, R, right. Quindi: non è detto che nello spazio le molecole complesse su asteroidi o small bodies siano preferenzialmente già selezionate nella chiralità giusta per la vita. Ma può darsi che si siano formate al 50 per cento in entrambe le chiralità, e poi (ma questo è speculativo) può darsi che sulla Terra ci siano stati processi che abbiano favorito l’emergere della vita in un certo modo, e l’abbiano poi preservata in quel certo modo. Comunque, è una grandissima scoperta.
Che ne è delle teorie precedenti, come quella del brodo primordiale (la salamoia di sostanze organiche sulla Terra dei primordi, in cui l’energia del Sole o di altri fenomeni estremi può avere acceso la scintilla della vita)?
CESARE BARBIERI – Il concetto iniziale di brodo primordiale risale agli anni Venti del Novecento con il biochimico russo Alexander Oparin, poi fu ripreso negli anni Cinquanta nell’esperimento di Harold Urey e Stanley Miller, proprio nello stesso anno in cui furono scoperti Dna e Rna, 1953. E anche i ricercatori del Goddard, oggi, parlano di una specie di salamoia in cui dovevano essere immersi i minerali su Bennu, perché ci sono gessi e argille, cioè tracce di alterazione acquosa: in un certo senso, l’ipotesi del brodo primordiale ritorna. Ciò che manca, però, è la scintilla, quella che da una serie di costituenti fa nascere la vita. E questo non credo sia solo un problema di Bennu e altri asteroidi, ma sia molto generale, cioè: i mattoncini della vita li abbiamo trovati anche sulle comete, ad esempio, non solo su asteroidi, ma da lì al passo successivo, cioè la vita, almeno a mia conoscenza, c’è ancora molto, molto da fare. Chiaramente l’idea che la vita, l’acqua in particolare e gli amminoacidi, possano venire dallo spazio è effettivamente rafforzata.
SARA FAGGI – Tra l’altro, se posso aggiungere: le teorie di formazione del nostro sistema solare prevedevano che ci fosse stato un movimento di questi protoplanetesimali che stavano formando i pianeti. Quando poi i pianeti si sono formati, i resti di formazione si sono rimescolati insieme. In quella fase, chiamata Late Heavy Bombardament, tutti i pianeti rocciosi interni – Marte, la Terra, Mercurio, eccetera, tutti – sono stati bombardati da questi corpi minori, i quali si erano formati nella nube di gas e polveri che poteva già contenere molecole complesse, o dove le molecole complesse hanno trovato un terreno favorevole per diventare gli elementi misurati sugli asteroidi. Ma sono state misurate molecole complesse anche nel mezzo interstellare: per dire che, magari, durante la fase di bombardamento quelle molecole sono state portate su tutti i pianeti interni del sistema solare. Che poi sulla Terra abbiano trovato una nicchia biologica speciale, un’atmosfera, una temperatura, un’inclinazione che dava le stagioni giuste, un campo magnetico che proteggeva il pianeta e l’atmosfera, e così via, ha favorito non solo l’emergenza ma anche la conservazione della vita. Si può pensare che le molecole siano state portate anche su altri pianeti, come Marte, o su pianeti ghiacciati, Enceladus, Europa, i mondi oceanici, dove c’è acqua liquida sotto la superficie ghiacciata e ci possono essere energie dal sottosuolo che provvedono le temperature giuste: però devi avere non solo gli ingredienti, non solo la creazione del fenomeno, ma la preservazione della vita (chiaramente in forma primordiale, batterica; non si parla di vita evoluta). Ecco, magari la nostra Terra è stata un po’ speciale.
ALESSANDRO DE ANGELIS – Vorrei dire una parola a favore dell’ipotesi del brodo primordiale. Tutte le osservazioni fatte finora non escludono che il brodo primordiale abbia agito da incubatore, anche se sono arrivate dallo spazio delle forme prebiotiche. Una forma di brodo primordiale, proprio come nell’esperimento di cui parlava Cesare Barbieri, l’esperimento di Miller e Urey, che dimostrò che le molecole organiche essenziali alla vita possono formarsi spontaneamente in condizioni simili a quelle della Terra primitiva. Non ammazziamo l’eventuale funzione di un brodo primordiale unito alle caratteristiche ottimali della Terra.
Il nostro pianeta è nella zona «goldilocks» del sistema solare, in sostanza la zona «abitabile», ma la Terra mostra anche speciali equilibri di altro tipo. Com’è possibile che un asteroide «portatore della vita», se c’è stato, abbia centrato proprio noi, nei tempi e nelle condizioni giuste per l’evoluzione?
ALESSANDRO DE ANGELIS – L’argomento delle coincidenze è uno dei più interessanti anche per i miei studenti. A loro racconto sempre un episodio. Il mio papà era un medico militare, prese la tubercolosi e andò a curarsi in un paesino vicino a Belluno. La mia mamma era figlia di emigrati in Argentina e la sua famiglia era ritornata nel luogo di origine, proprio quel paesino. Uno dice: ma quante sono le probabilità che sia nato tu, cioè che il medico militare si prende la tubercolosi, va lì, incontra la figlia di emigrati... Le probabilità sembrerebbero basse, ma a posteriori, dato che io esisto, sono del 100 per cento! E se non ci fossi io, ci sarebbe qualcun altro, anche lui magari con una probabilità di esistere che a priori sembra bassissima ma a posteriori è del 100 per cento. La coincidenza cosmica è un po’ più complessa: le costanti universali hanno valori che sono in una finestra molto stretta per consentire lo sviluppo della vita.
E sono coincidenze davvero incredibili...
ALESSANDRO DE ANGELIS – Ad esempio, la massa del protone, la massa del neutrone e le costanti che regolano una certa forza chiamata interazione debole (teorizzata da Enrico Fermi), sono regolate in modo talmente fine che sono quelle giuste per consentire l’evoluzione della vita, diciamo per dare alle stelle un tempo di vita sufficiente a sostenere l’evoluzione delle specie. Questa sembra una coincidenza veramente incredibile. Allora, ovviamente non so la risposta, però (senza voler invocare un creatore trascendente perfettissimo) ci sono due ipotesi da tenere presenti: una è che le costanti potrebbero essere anche mutevoli, cioè potrebbero cambiare nel tempo. Quindi noi potremmo esistere qui, ora (tra l’altro fra un po’ anche le stelle moriranno), e di fatto ci siamo, ma magari le costanti poi cambiano, anche se l’universo dura così tanto da consentire questa finestra per noi. L’altra ipotesi (di formazione, io sono un fisico delle particelle) si basa sull’osservazione che la teoria attualmente in auge per la fisica fondamentale, il «modello standard», che tra l’altro non spiega la gravità, ha 26 parametri liberi, cioè fissabili a piacere. Ecco, l’idea che la teoria fondamentale abbia almeno 26 parametri liberi, cioè arbitrari, ci fa pensare che magari questa regolazione così fine sia legata in parte al fatto che noi non abbiamo capito qualche verità, qualche teoria del tutto, o almeno qualche «teoria di un po’ di più», che riduce il numero di parametri liberi. O potrebbero esistere molti universi, alcuni con vite come la nostra, molti senza vita, molti con vite diverse... Mi rendo conto che non ho dato una risposta. Noi esseri umani abbiamo un punto di vista particolare, proprio per il fatto di esistere qui adesso. Non siamo tipici.
Avete introdotto il tema della vita su altri mondi. Che cosa ne pensate?
CESARE BARBIERI – Può ben darsi che noi non siamo l’unica specie intelligente dell’Universo e anzi, sarebbe abbastanza singolare se lo fossimo. Come diceva Sara Faggi, questi planetesimi hanno bombardato non solo tutto il nostro sistema solare, ma tutti gli altri sistemi solari che adesso conosciamo, migliaia nella nostra galassia, e nei miliardi di galassie. Sarebbe ben strano che da qualche parte non si fosse sviluppata una vita intelligente. Questo ovviamente può porre dei problemi anche di tipo teologico. Ricordo due persone che mi sono particolarmente care: una è padre Angelo Secchi, che fu direttore della Specola Vaticana nella seconda metà dell’Ottocento, uno dei fondatori dell’astrofisica moderna, il quale ha questa bellissima frase in cui il creatore contempla, con sguardo sereno, le sue creature, come per dirci che non vedeva nessun problema religioso. E l’altro è Guy Consolmagno, l’attuale direttore della Specola, che ha intitolato il suo libro Battezzeresti un extraterrestre? (Rizzoli). La sua risposta è: sì, ma solo se lui me lo chiede. Per dire che non c’è niente, nel pensiero dei gesuiti e della Specola vaticana, che osti all’ipotesi di altri esseri.
Ipotesi che dà luogo a molte ricerche...
CESARE BARBIERI – Anche se le ricerche, in corso anche in Italia, con i radiotelescopi Inaf a Medicina, nei pressi di Bologna, ad esempio, non hanno avuto successo. Ma insomma, gli studi sono cominciati adesso. A proposito di coincidenze, mi riallaccio a quel che diceva De Angelis, anche se su un piano più modesto. Cioè, noi siamo in grado di captare questi segnali, se ci sono, da non più di 50-60 anni, perché prima non ne avevamo i mezzi. Quindi abbiamo una finestra temporale estremamente ristretta, che si aprirà nel futuro. E probabilmente anche altri esseri intelligenti hanno le stesse limitazioni nel tempo. Questo è un bel problema. Che però compete forse più ai filosofi che a noi astronomi: a noi tocca ascoltare, cercare meglio che possiamo.
Uno studio matematico recente ha calcolato la possibilità che una scimmia possa comporre un’opera di William Shakespeare digitando a caso su un computer. Il risultato è che non riuscirebbe a farlo, né in 4,5 miliardi di anni, l’età della Terra, né nell’età dell’universo. Lasciando perdere le scimmie: può una molecola, in 4,5 miliardi di anni, «comporre» noi, la vita intelligente, l’umanità?
SARA FAGGI – Sì, nel senso che stiamo parlando di due fenomeni diversi, uno è la probabilità non nulla di un fenomeno che possa accadere, ad esempio che una molecola possa, in una probabilità diversa da zero, incontrarne un’altra e con un certo percorso chimico produrre due molecole o dividersi e reagire con altre molecole e fare una successiva molecola. Questa è una probabilità diversa da zero che qualcosa accada, e nella natura esiste, e per me è ciò che in realtà governa tutto: il fatto che le cose siano stabili in un certo modo, il protone, il nucleo, è perché sono cadute in quella probabilità di essere in quella maniera lì. Per cui direi: un conto è il discorso della molecola, un altro è quello della scimmia. Qui si tratta di evoluzione della biologia. È come provare a fare una cosa che non sappiamo ancora fare: qual è la probabilità di riuscirci? Be’, se non la sappiamo ancora fare, forse ci vorrà un tempo ben più lungo di quel che possiamo sperimentare.
ALESSANDRO DE ANGELIS – L’analogia della scimmia senza coscienza né memoria che digita a caso sulla tastiera di un computer per produrre una tragedia di Shakespeare non mi sembra la più adatta a descrivere la formazione della vita, perché ignora il ruolo cruciale dell’evoluzione e della selezione nel modellare la complessità biologica nel tempo. L’evoluzione non è un processo puramente casuale, ma guidato dalla selezione naturale, che favorisce le varianti più adatte all’ambiente, e che attraverso questo meccanismo di fatto accumula conoscenze pregresse e ne fa uso.
Ma «natura non facit saltus», la natura non fa salti, oppure sì?
CESARE BARBIERI – A dire la verità, può anche darsi che li faccia. Su un altro piano, tra le tante cose peculiari della vita sul nostro pianeta c’è la Luna che, a mio avviso, è un fattore importante non solo per la nascita ma anche per la conservazione della vita terrestre: abbiamo la fortuna di avere questo corpo massiccio, qua vicino, che ci stabilizza l’asse di rotazione. Una cosa che ad esempio Marte non ha, e quindi il suo asse di rotazione ha oscillazioni non piccole nel giro di 50-100 mila anni. Abbiamo anche questa coincidenza, questa fortuna.
SARA FAGGI – Secondo me la cosa più importante è che su Marte il campo magnetico praticamente si è spento; senza un campo magnetico che protegge l’atmosfera, l’atmosfera di Marte pian piano se n’è andata. Bombardata dalle particelle solari, ha avuto una perdita costante, che ha fatto sì che Marte perdesse anche tutta l’acqua liquida che aveva sulla superficie. Anche se la vita si fosse formata, poi non è sopravvissuta. Ecco perché c’è tanto interesse nella ricerca di qualche segno di vita passata, sopra o sotto la superficie. Tuttora non è stata trovata, ma segni di alterazioni acquose e di acqua nel passato, quelli ci sono, sono stati visti. Quindi sì, la Luna sicuramente porta una stabilizzazione, ma direi che la grossa differenza è anche il campo magnetico che su Marte se n’è andato: sulla Terra è stato secondo me il fattore scatenante. Su Venere invece il quadro è completamente diverso: pianeta assai simile al nostro, ma con un effetto serra, temperature e pressioni che non sostengono quella che noi intendiamo come vita.
CESARE BARBIERI – Vorrei sollevare un altro tema. Anche la missione europea Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ha fatto qualcosa di interessante. Uno dei punti rimasti oscuri, era che l’acqua vista da Rosina, lo strumento di analisi su Rosetta, aveva un rapporto deuterio su idrogeno più alto di quello di altri corpi similari. Soprattutto molto più alto della percentuale nell’acqua degli oceani. Qualcuno potrebbe dire: «Be’, allora non tutta l’acqua terrestre viene dalle comete». In realtà, riesaminando i dati molto di recente, si è visto che il vero rapporto deuterio su idrogeno dell’acqua di Rosetta è molto simile a quello terrestre. E questo ci suggerisce che esaminare i dati dello spazio non avendoli in mano, ma avendo solo un po’ di vapori succhiati da uno strumento e analizzati in situ, non sempre dà risposte attendibili. L’ambiente dei corpi celesti è molto difficile da esaminare. E certe conclusioni, ad esempio la chiralità, può darsi siano un effetto molto locale. Non vedo nulla, né nel caso di Rosetta né in quello di Bennu, che invalidi l’idea che buona parte dell’acqua sia di origine extraterrestre, come pure delle molecole organiche. Anche perché, si diceva, c’è stato un bombardamento intensissimo all’inizio della formazione dei corpi del sistema solare, con un rimescolamento di materiale già presente nelle nubi interstellari, molecole complesse comprese. Oggi sappiamo che composti organici e amminoacidi sono dappertutto nel cosmo, e grazie a comete e asteroidi possono essere stati portati sulla Terra e forse sui pianeti di tutte le stelle dell’universo.
ALESSANDRO DE ANGELIS – Chi ci dice poi che il rapporto deuterio/idrogeno in 4 miliardi di anni non sia cambiato? Non so quanto sia stata capita l’evoluzione delle specie isotopiche sulla Terra.
CESARE BARBIERI – Be’, ad esempio se tu guardi quello che è uscito dal Big Bang e lo confronti con quello che trovi sul Sole, su Giove, sugli altri pianeti giganti gassosi, il rapporto deuterio/idrogeno è rimasto stabilissimo: è una parte su 10 alla 9, più o meno, mentre sulla Terra e sugli altri corpi del sistema solare è qualche ordine di grandezza più grande.
SARA FAGGI – Sì, c’è anche un gradiente cosmologico. Il mezzo interstellare è diverso dai rapporti isotopici che vediamo sul nostro sistema solare: si cerca di capire perché. Comunque, tendenzialmente nel sistema solare i rapporti isotopici di carbonio e ossigeno, ad esempio, sono più o meno in accordo con i valori terrestri, quindi si pensa che vengano dalla nebulosa primordiale da cui il sistema solare si è formato.
ALESSANDRO DE ANGELIS – Dal punto di vista della possibilità che una scintilla abbia innescato la vita sulla Terra e che la vita abbia poi attecchito, c’è anche da tenere conto del fatto che la Terra è un ambiente molto particolare anche dal punto di vista della radioattività dovuta ai raggi cosmici. Un ambiente unico, anche rispetto a Marte: un’atmosfera centinaia di volte più spessa e due fasce elettromagnetiche, le fasce di Van Allen, che intrappolano la maggior parte dei raggi cosmici e ci proteggono. Con buona pace di quelli che vogliono andare su Marte, noi su Marte non potremmo viverci.
Quando e dove verrà trovata la vita oltre la Terra?
ALESSANDRO DE ANGELIS – La mia risposta, con la forza dell’ignoranza, è ottimistica: direi fra 10-20 anni, quindi forse faccio in tempo a vederla! E come? Con la tecnica spettroscopica che consente di vedere la composizione delle atmosfere degli esopianeti in zona abitabile, visto che sappiamo che ce ne sono molti. Analizzando attraverso l’atmosfera di un esopianeta la luce della stella intorno alla quale orbita, possiamo identificare la presenza di biosignature, come ossigeno, metano o vapore acqueo, indicatori di processi biologici attivi.
SARA FAGGI – Con Hwo, l’Habitable World Observatory. Eh, lo speriamo tutti. Dopo il James Webb Space Telescope (Jwst) ora stanno costruendo il Roman Space Telescope qui a Goddard, e il prossimo grande telescopio spaziale che verrà mandato nello spazio, si spera sia l’Hwo. Uno dei fattori che spingono di più per la costruzione del telescopio, è proprio cercare di trovare pianeti rocciosi come la Terra attorno ad altre stelle, con un’atmosfera con ossigeno e altre caratteristiche terrestri. Ci sono range spettrali specifici per capire se ci sono gli alberi e la vegetazione, se ci sono le firme della vita. Penso vogliano usare la spettroscopia di riflessione tramite la coronografia (bloccando la luce della stella a cui il pianeta gira attorno), anche se non mi occupo di esopianeti e faccio spettroscopia di oggetti del nostro sistema solare: ma è certo una sfida del futuro.
CESARE BARBIERI – Anche Ariel, la sonda europea, farà qualcosa, e dovrebbe essere lanciata ben prima.
SARA FAGGI – Sì, me lo auguro, perché la missione Comet Interceptor parte con la Ariel, quindi si spera che lancino tutto come previsto nel 2029.
CESARE BARBIERI – Siccome sono più vecchio di De Angelis e ho un orizzonte temporale più corto, la mia speranza non è tanto cercare la vita attraverso mezzi spettroscopici... Spero tanto di trovare qualcuno che comunica con noi. Chissà che non ci sia qualche segnale in giro che riusciamo a captare (o che mandiamo noi e cui qualcuno risponde). Bene che vada, i vicini saranno a 40-50 anni luce da noi, ma non si sa mai che ci sia qualche segnale che riusciamo a captare prima. Sono quasi sicuro che una vita a livello batterico, o alghe o che so io, debba esserci, perché se c’è sulla Terra... Quanto a esseri intelligenti, certo, è tutto un altro discorso, ma spero che ci siano e ci mandino un segnale.
ALESSANDRO DE ANGELIS – Arriva un segnale alieno, e tu rispondi? Se arriva un segnale vuol dire che loro 40-50 anni luce fa erano al nostro livello di tecnologia, e nel frattempo, se non si sono estinti, sono diventati più evoluti di noi. Tu gli rispondi? Ti fidi?
CESARE BARBIERI – Certo, dài: saranno bravi e buoni come noi. Sono molto ottimista. Un esempio che faccio sempre è quello di un altro grande gesuita, padre Matteo Ricci che va in Cina alla fine del Cinquecento. E quelli, per gli uomini di quell’epoca, erano alieni. Lui invece impara il mandarino, diventa come loro e così via. Credo che sia più o meno la stessa cosa. Quindi, mi fiderei a rispondere, sicuramente.