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 2025  marzo 09 Domenica calendario

Ecco tutti i Mucha del mondo

Capita talvolta che i mondi segreti di un artista siano esposti in piena luce, incisi nelle sue opere come antiche scritture che aspettano di essere di nuovo decifrate. Così la loro bellezza ricomincia a parlarci e ci racconta storie nuove. Accade per Alphonse Mucha (1860- 1939), il più celebre artista ceco della modernità, ora che a Praga è nato un nuovo museo a lui dedicato, parte di un progetto ancora più vasto che prenderà corpo nei prossimi anni.
Nel centro della città, a Palazzo Savarin, meraviglia barocca caduta in disgrazia negli anni della Guerra fredda, ora ristrutturato dal gruppo immobiliare Crestyl che ha affidato all’architetto inglese Thomas Heatherwick l’ampliamento negli spazi retrostanti l’edificio, il Mucha Museum è nato per ospitare la collezione dell’artista rimasta in possesso dei suoi eredi. L’ambizione è di mostrarne tutto l’arco esistenziale, andando oltre l’immagine da cartolina, suggestiva ma riduttiva, che del lavoro di Mucha ci tramandano i manuali di storia dell’arte. L’allestimento, ideato dall’architetta Eva Jiricná, presenta quindi al pubblico Alphonse Mucha: Art Nouveau & Utopia, un percorso di circa novanta lavori tra cui dipinti, manifesti, disegni, libri e fotografie. L’ha curato la storica dell’arte giapponese Tomoko Sato, per conto della Fondazione Mucha, con lo scopo di dare conto delle diverse influenze (a partire dalla follia collettiva per il japonisme che contagiò l’Europa a cavallo tra ’800 e ’900, ma non solo) che fecero di Alphonse Mucha l’eclettico pittore, illustratore e designer campione dell’Art Nouveau ma anche, negli ultimi decenni della sua vita, di un’arte slava patriottica e nazionale senza bellicismi né desideri suprematisti.
Mucha è così raccontato fin dagli esordi, con un inevitabile invito al visitatore a scoprire Mucha ovunque, non solo nelle tracce artistiche che ha lasciato in altri edifici di Praga – dalle vetrate della cattedrale di San Vito alla decorazione della Sala del Sindaco nell’opulento Obecní dûm – così come nelle linee sinuose, nei motivi floreali, nella predilezioneper l’oro tipici del barocco cittadino, ma anche nella connessione profonda con il folklore e l’arte popolare ceche e morave.Nato in una famiglia di pochi mezzi a Ivancice, in Moravia, ossia in quella che era allora la provincia profonda dell’impero austroungarico, Mucha riesce a studiare a Brno, poi ad emigrare a Vienna e a perfezionare la pittura a Monaco. Da lì, giovane e ambizioso, arriva a Parigi quando tutto il mondo è a Parigi. In quella festa mobile dell’arte divide l’atelier con Paul Gauguin, sperimenta con la fotografia, si mantiene realizzando illustrazioni. Fin quando la più celebre attrice dell’epoca, Sarah Bernhardt, s’innamora del ritratto che Mucha ha ideato per promuovere a teatro la sua Gismonda. È
un manifesto verticale, alto più di due metri e stretto, in un formato inusuale per quel periodo, che però gli ha permesso di trasfigurare Bernhardt in una sorta di divinità bizantina. Il successo è tale che la diva gli chiederà di curare la sua immagine disegnando tutti i poster dei suoi spettacoli, cosicché in quella Parigi fin de siècle la sua firma diventerà una sorta di marchio d’alta gamma dell’arte nuova.
Ancora adesso quelle sue immagini femminili così sensuali e imponenti, sole in scena come regine di un palcoscenico che è la vita intera, ci fanno associare Alphonse Mucha alla Francia, all’alba del secolo ventesimo e alle sue promesse di magnifiche sorti e progressive. Ma Mucha fu altro, Mucha andò oltre, ed è proprio il nuovo spazio di Palazzo Savarin a mostrarcelo. Già negli anni francesi si era avvicinato alla massoneria, di cui arriverà ai più alti ranghi, e aveva sposato la causa nazionalista ceca.
Le tracce della sua filosofia universalista e al tempo stesso devota alla causa slava sono disseminate nei simboli delle sue composizioni fin dall’inizio del secolo (dedicherà al Pater un libro illustrato che è più filosofico che religioso), ma si concretizzano nel suo opus magnus: il ciclo pittorico dell’Epopea slava, realizzato fra il 1910 e il 1928 nel castello Zbiroh e composto di venti enormi tele sugli eventi della storia slava dal III al XX secolo. Attualmente sitrovano a Moravsky Krumlov, e a Palazzo Savarin una sala è dedicata alla loro realizzazione; nel futuro, saranno esposte qui a rotazione.
Per Marcus Mucha, pronipote dell’artista, che oggi guida la Fondazione Mucha, Palazzo Savarin è il luogo dove finalmente molte opere del bisnonno, per decenni nascoste dietro la Cortina di ferro, e negli ultimi anni esposte in giro per il mondo, trovano casa. «Qui possiamo mostrare il suo lato spirituale e filosofico e la sua modernità, il modo in cui fu influenzato da differenti tradizioni e seppe reinterpretare il patrimonio folklorico slavo. Rendendo omaggio alla forza delle donne, a partire dalla moglie Maruška». E racconta una storia poco nota: «Quando le truppe del Reich arrivarono a Praga, Mucha fu arrestato e detenuto dalla Gestapo per 10 giorni, in quanto artista simbolo della nazione. Aveva 78 anni: uscì dalla detenzione molto provato, e qualche mese dopo morì di polmonite. Fu Maruška a preservare la collezione; aveva origini ebraiche, e nell’atelier del marito nascose sua madre e sua zia per tutta la durata della guerra. L’ufficiale della Wehrmacht che era di stanza in casa loro non la denunciò. Dopo la guerra, negli anni Settanta, mio padre organizzò una mostra di Mucha a Francoforte. Fu avvicinato durante l’inaugurazione da un signore molto anziano. Era quell’ufficiale. Mio padre gli fece scegliere un’opera che era appesa al muro, e gliela regalò».