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 2025  marzo 09 Domenica calendario

Grimm? No, Grinch

Verrebbe da pensare che Ferdinand Grimm provasse un certo gusto nel rovinare il Natale ai fratelli. Cosa che peraltro gli riusciva benissimo. Lo aveva fatto nel 1810, quando davanti a parenti e amici, dichiarò pubblicamente la propria omosessualità. Ripudiato per questo dai più celebri Jacob e Wilhelm, visse per anni da reietto, additato come la pecora nera della famiglia, girovagando per la Germania e l’Europa del Nord, finché a 24 anni di distanza da quell’episodio il “terzo fratello Grimm”, come agli studiosi moderni piace ora ricordarlo, torna in famiglia. Con ogni probabilità per mancanza di mezzi, dissipati dalla quella sua indole dissoluta e vagabonda, affamata di viaggi per il mondo. Ma forse anche covando nel petto – immaginiamo noi e non saremo smentiti dai fatti – la sua vendetta. Che adesso per la prima volta anchei lettori italiani possono assaporare, pagina dopo pagina, in questo spassoso romanzetto satirico, Zia Henriette, pubblicato da L’orma editore che da qualche anno sta recuperando l’opera del terzo sconosciuto Grimm. L’agile racconto ( non raggiunge le cento pagine) – ritratto al vetriolo della cognata assurta a protagonista sin dal titolo, la zia in questione sarebbe infatti Henriette Dorothea Wild che Wilhelm Grimm sposò nel 1825 – uscì in cinque puntate su una rivista letteraria dal 19 novembre al 24 dicembre del 1835, giusto in tempo per rovinare un’altra volta il Natale a tutta la famiglia Grimm. Perché qui a essere messi alla berlina sono le ipocrisie, le piccole mondanità («la zia non brilla solo per l’amore dell’ordine e per il contegno con cui gestisce il ménage famigliare», si legge a un certo punto, «ma anche per la sua innata passione per la convivialità»), i vizi (tanti) e le virtù ( ben poche) di una rispettabile (ne siamo davvero sicuri?) famiglia borghese di provincia.
Dalla voce narrante di un giovane nipote apprendiamo infatti come quotidianamente si svolge la convivenza (forzata) di un alquanto variegato nucleo familiare. Composto – nel momento in cui nel 1834 Ferdinand con il suo temperamento bohémien fa ritorno a Gottinga in casa dei fratelli – da Wilhelm, sua moglie Henriette Dorothea e i loro tre figli piccoli, oltre a Jacob e i suoi libri. Impossibile non riconoscere in queste pagine i due fratelli Jacob e Wilhelm, benché chiamati qui Johannes e
Wilibald, ma l’assonanza la dice lunga. Mentre Henriette Dorothea – da tutti chiamata “Dortchen” – era un’amica d’infanzia che sin da bambina frequentava casa Grimm ed era stata la narratrice di ben diciannove delle trentanove storie trascritte dai due fratelli per la loro raccolta di fiabe. Pare anzi che lei stessa fosse solita scherzare chiamando Jacob e Wilhelm «i miei due mariti». Cosa che naturalmente non sfugge al fin troppo sveglio nipote-narratore di questo racconto. Non può essere infatti passato sotto silenzio, ci mette a parte sin dalle prime pagine, «un sorprendente fenomeno che pertiene alla storia naturale» e ha riguardato la sua famiglia: oltre allo sposo, anche i suoi quattro fratelli si innamorarono di Henriette, «avvenimento che documenta in modo fin troppo inconfutabile il valore di tale donna». Del resto le zie sono personaggi importanti, chiosa ancora il nipote, «senza di loro drammi e romanzi in cui interpretano ruoli di primo piano avrebbero ben poca vita». E se questo vale in generale, per Henriette che «ha tante facoltà, e infatti è assai facoltosa» vale ancora di più. «Lesta e snella come una cinciallegra, governa la casa di concerto con lo zio Johannes, rimasto scapolo», e qui arriva la bordata anche per lui. «Fervido anglofilo, colmo di stranezze e paradossi, ricco di definizioni, conclusioni e proposizioni, lo zio Johannes amava intervenire nelle conversazioni laddove poteva confutare, correggere e colmare lacune, fossero esse presunte o reali. Nemico giurato della musica, degli scherzi, dei motti di spirito e della convivialità, trovava nel mondo dei libri un surrogato ai piaceri terreni: quell’isolamento dal consorzio umano lo aveva reso estraneo alle persone e alle consuetudini sociali». Quale godibile ritratto, per noi lettori moderni, di Jacob Grimm, impeccabile filologo, rigoroso linguista e solerte fondatore della germanistica. Ma niente paura perché subito dopo ce n’è anche per il più conciliante Wilhelm- Wilibald, «lealista e monarchico fino al midollo, un patriota instancabile e indefesso».
E che dire del quarto «capitoletto», assemblato in buona parte attraverso un lungo susseguirsi di pettegolezzi? Sono le pagine in cui l’autore mostra di aver recepito e fatta sua la lezione dell’ironia romantica e, insieme al finale con il ballo in maschera che finisce nel peggiore modi, restano anche le più belle in assoluto. A questo punto c’è da chiedersi se di questo terzo bistrattato Grimm – bollato come fannullone e perdigiorno dai fratelli maggiori, e invece da subito lettore onnivoro che venerava Goethe e tra i primi a intuire la grandezza di Heinrich von Kleist, di cui curò un’edizione delle opere postume – non siano rimasti altri piccoli tesori nascosti. Che sicuramente varrebbe la pena riscoprire.