Robinson, 9 marzo 2025
Le mie prigioni erano un gulag
Menachem Begin (1913-1992) è una figura fondamentale nella storia del sionismo e di Israele e uno dei leader più influenti nel Medio Oriente del XX secolo. Uomo di destra, intellettuale profetico, combattente, terrorista, statista, Premio Nobel per la Pace. In Polonia, dove nacque e visse fino al 1939, fu il leader del sionismo conservatore rappresentato dal Betar fondato da Jabotinsky organizzando l’emigrazione anche clandestina in Terra di Israele, mentre poi, con l’Irgun, guidò la resistenza armata nella Palestina del Mandato britannico dove approdò nel 1942 con il corpo polacco del generale Anders inquadrato nelle forze inglesi. Dopo il 1948, nello Stato ebraico, si oppose al governo di impronta socialista guidato da Ben Gurion, per diventare nel 1977 – lui ashkenazita e forte invece del sostegno degli ebrei sefarditi, lui religioso pronto invece a una vita politica tutta secolare – primo ministro. Fece la pace con l’Egitto rinunciando al Sinai da cui eradicò gli insediamenti ebraici, ottenne insieme a Sadat il Nobel per la Pace, bombardò nel 1981 il reattore nucleare dell’Iraq, iniziò la controversa guerra in Libano che lo portò poi alle dimissioni. Per capire il suo rigore morale, ricordiamo che quando si dimise non aveva neppure una casa dove andare a vivere.
Fin qui la storia nota a molti. Meno conosciuta è invece la terribile parentesi che visse dal 1939 al 1942, quando, colto dall’invasione nazista della Polonia, si rifugiò con la moglie e alcuni compagni in Lituania, a Vilnius ormai già nelle mani sovietiche per via del Patto Molotov- Ribbentrop. Esattamente un anno dopo, nel settembre 1949 venne arrestato dalla Nkvd, la polizia segreta dell’Urss, in quanto sionista e, per questo, “elemento controrivoluzionario” e dunque condannato a 8 anni nei gulag del freddo nord. Da lì fu rilasciato un anno e mezzo dopo: Mosca era entrata in guerra con Berlino e per questo liberava i polacchi e li mandava a combattere quello che ora era diventato il comune nemico. Su questa drammatica esperienza Menachem Begin scrisse delle lucide memorie che uscirono in ebraico nel 1953 e che ora Giuntina pubblica col titolo Prigioniero in Russia, per la cura di Massimo Longo Adorno e con l’introduzione del figlio Ze’ev Begin.
La prima parte è largamente dedicata agli interrogatori (in fondo troverete i verbali ufficiali) che si
protrassero nelle carceri di Lukiški, notte dopo notte. Stupiscono varie cose, il tono riflessivo, acuto,a volte ironico e poetico, con cui Begin ci dà conto dell’assurdità di quelle che l’inquisitore insiste a chiamare “conversazioni”. Impressionante è la determinazione, non solo a stringere il prigioniero in un isolamento per spingerlo a confessare “la verità” che si vuole ottenere, ma soprattutto a vincere il confronto politico con il prigioniero Begin: quel che l’Nkvd vuole è definire controrivoluzionari il sionismo e la volontà ebraica all’autoderminazione. Begin tiene il punto: non è una colpa essere sionisti. Ma a niente vale il suo ricordare la persecuzione antiebraica millenaria che rende necessario il ritorno alla terra di origine. Begin conosce questa logica ideologica, e allora le contrappone un ragionamento elementare: l’attività che lui ha svolto era in Polonia, non in Unione Sovietica, perché viene imputato dall’Urss? Ma perché l’accusa si applica a tutte le persone del mondo, risponde l’ufficiale, visto che la rivoluzione avrebbe presto avuto successo nell’intero il pianeta. Come fate a esserne sicuri? Replica Menachem. «Perché così hanno detto Marx, Engels, Lenin e Stalin». Ma è solo un peccato di pensiero, gli dice ancora Begin, «con noi si pagano anche i pensieri se sono controrivoluzionari e noi conosciamo questi pensieri», gli risponde il grande fratello sovietico. Il risultato, come abbiamo detto, è la condanna a 8 anni. E qui inizia il viaggio da incubo verso il nord. Il trasporto in condizioni terrificanti. E il gulag, o quel che c’è da costruire nel gulag, o fuori, mettendo insieme le ferrovie verso i gulag di tutta la regione: fame, fatica, malattie, gelo a meno 25 vestiti di stracci, cimici a milioni, terrore e oscurità. Il libro è uscito otto anni prima che fosse pubblicato Solgenitsin. Sulla “sentenza” comminata senza processo era scritto «data di rilascio 20 settembre 1948», ma Begin il 15 maggio 1948 è già da cinque anni a Tel Aviv: «Alla radio stavo dicendo al mio popolo “lo Stato di Israele è risorto”». «Felice – conclude – è colui che crede nella verità e rifiuta la tirannia... verrà il giorno in cui si crogiolerà nel sole della risata di un bambino».