Tuttolibri, 8 marzo 2025
La vendetta del terzo fratello finito nell’oblio
Il nome dei Grimm non gli portò fortuna. Eppure anche lui, Ferdinand, il fratello minore di Jacob e Wilhelm, celebri per aver raccolto ed elaborato le fiabe della tradizione popolare tedesca, aveva talento narrativo e creativa curiosità. Del resto collaborò con ambedue per il materiale delle Fiabe del focolare e delle Leggende tedesche, forse i libri più letti a quel tempo in Germania dopo la Bibbia. E finì per lasciarsi coinvolgere da quell’universo magico e strabiliante popolato di re scontrosi e prodi cavalieri, nani e cavalli volanti come si può leggere nel volume antologico La montagna dei gatti uscito un paio di anni fa presso l’editore L’orma a cura di Marco Federici Soleri. Di raccolte Ferdinand ne pubblicò ben tre, ma mai col proprio nome. Da sempre voleva essere uno scrittore, libero e anticonformista, fuori dagli schemi tradizionali, e non a torto perché il suo linguaggio era in effetti affascinante e originale e, come disse qualcuno, sembrava quasi anticipare il tardo Dickens. Ma i fratelli vedevano in lui soprattutto un perdigiorno e un fannullone. E dire che aveva una passione sfrenata per i libri e la lettura e a Monaco, dove rimase alcuni anni, sognava perfino di fare l’attore.Nato ad Hanau, vicino a Francoforte, nel 1788, Ferdinand era un individuo inquieto, un grande sognatore inadatto a qualsiasi professione anche se per anni a Berlino lavorò come redattore presso la prestigiosa casa editrice di Georg Reimer su raccomandazione dei fratelli maggiori. E proprio nella capitale ebbe occasione di frequentare scrittori significativi come Tieck, Jean Paul e Heine. Ma la realtà sembrava sfuggirgli di mano, e soprattutto, ormai da molto tempo, anche il rapporto con la famiglia dopo l’incontro nel lontano Natale del 1810, in cui egli aveva sconvolto quell’idillico milieu borghese dichiarando – si suppone – di essere omosessuale.Nemmeno la distanza – gli anni di Monaco e Berlino – riuscirono a rinfocolare fiducia e affetto. È sempre lo stesso, cocciuto e strano come un tempo, confessò il fratello Jakob a un amico bibliofilo rivedendolo nel 1834 a Gottinga. E dire che Ferdinand si era dato da fare dando alle stampe una bella raccolta di leggende e fiabe popolari tedesche e straniere. Del resto basta leggere la divertente novella satirica Zia Henriette del 1835, che esce ora per la prima volta in Italia presso L’orma nell’ottima versione di Marco Federici Soleri con splendide illustrazioni di George Cruikshank, per capire che il “fratello sconosciuto” era a tutti gli effetti un brillante scrittore, estroso e ironico. Usava ancora uno pseudonimo, Friedrich Grimm, ma stavolta con il suo vero cognome. Perché forse in famiglia non avessero dubbi. Proprio di loro infatti si parla tra svolazzi ironici e umoristici: di quei due fratelli, qui chiamati Wilibald, assessore e filosofo, e Johannes, consigliere della Camera, e soprattutto della cognata Henriette Dorothea Wild, amica d’infanzia e moglie in realtà di Wilhelm, anch’essa trasfigurata in figura letteraria.Il ritratto della donna riassume gesti e consuetudini borghesi di un’intera generazione che il diabolico Ferdinand proietta da ultimo quasi in una sorta di travolgente evento teatrale. Ce lo racconta un giovane nipote in visita alla zia, donna eccellente nei cui occhi riluceva un’ anima bella di cui tutti sono infatuati: il marito Wilibald e i suoi quattro fratelli. Ma lei era decisa e temeraria: «Li tollerava tutti, ma non ne voleva nessuno». Governa la magnifica casa con alcune domestiche imponendo grandi pulizie con torrenti d’acqua che inondano le stanze mentre la servitù, sconvolta dalla fatica si accascia sul pavimento. Per non parlare della “grande lavatura” della biancheria dove attorno a un enorme calderone si agitano donne smunte che spettegolano e strepitano sorseggiando acquavite in un’infernale baraonda. Eppure basta la sua presenza perché ritorni l’ordine e a tempo debito si spalanchi la cucina e zia Henriette dia prova della sua eccellente arte culinaria. È un invito alla più ampia convivialità con ospiti originali e improbabili che sembrano fantasie teatrali, evocazioni di una mondanità affettata e grottesca. E poi le chiacchiere che non risparmiano nessuno, le malignità e i vizi della zia, che starnutisce come un bruto e dà troppa confidenza a una marea di uomini, ministri, consiglieri e professori. Ma non disdegna le virtù, fedele seguace, com’è, della dottrina luterana.Ferdinand non perde occasione per dare a tutto quel mondo ipocrita e fasullo una scrollata finale durante la festa di matrimonio che zia Henriette ha preparato a casa sua per una coppia di futuri sposini, dove viene allestito un caotico ballo in maschera con eroine delle saghe germaniche, Don Giovanni e Faust, arlecchini e pulcinella italiani, che svolazzano qua e là con gran fragore, in una confusione dove una folla sempre più incattivita fa man bassa di tutto ciò che trova. È la Grande Rissa finale dove l’autore sembra affossare con sovrano piacere ogni illusione borghese. Ora anche il nipote può congedarsi da Henriette, con un gesto affettuoso, tra calorosi baci.