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 2025  marzo 08 Sabato calendario

Le riscritture di Szymborska dove tutto diventa niente e anche l’anima è una cosa

Si formano sempre scuole di pensiero diverse rispetto agli inediti di un autore scomparso. C’è chi pensa ci sia un motivo, se i testi sono rimasti impubblicati, forse l’autore non li riteneva pronti, degni di pubblicazione. Ma è anche vero che quei testi possono rivelarci dati preziosi, il processo creativo di uno scrittore, l’evoluzione di una poetica. Wislawa Szymborska, Premio Nobel 1996, non era certo il tipo da risparmiare ciò che non le piaceva, esistono infinite testimonianze sulla sua frontalità nel “cestinare”. Parte degli inediti si sono conservati grazie all’ex marito, Adam Wlodek. Non è scontata la loro esistenza. «Nell’opera di chi considerava il cestino della carta straccia l’accessorio più utile, il loro status intermedio fra l’esistenza piena e la non-esistenza è tanto più degno di attenzione e non può essere sottovalutato». A scriverlo è Andrea Ceccherelli in postfazione di Racconto antico e altre poesie disperse, di Szymborska appunto. Testi dispersi e inediti quindi, pubblicati in rivista (ma mai in volume) o ritrovati tra le carte della poetessa dopo la sua morte. Una raccolta tra l’altro che si distingue per diversi motivi. Innanzitutto l’arco temporale: dalle poesie giovanili a testi ideati poco prima della morte. Inoltre non essendo pensati per una raccolta, i temi sono eterogenei. Ma è questo il punto. Proprio la diversità dell’ispirazione e dell’ideazione permette di tracciare lo sviluppo creativo dell’opera. Certo una vita come la sua, soggetta a radicali trasformazioni e tragedie storiche, non poteva non influire sull’evoluzione del canone. Ma Szymborska rimane Szymborska. Se escludiamo la produzione giovanile e giocosa, il resto è stilisticamente riconducibile ai componimenti già conosciuti. Non solo per le connessioni intertestuali o per il riuso di alcuni versi. In fondo a pensarci anche la produzione ludica (con testi che risalgono addirittura al liceo) ci riconduce all’elemento essenziale dell’ironia. Certo, più ingenua, più rigida nell’esecuzione di metri e rime, più “tradizionale”. Non dimentichiamo però che versi come quelli che aprono la raccolta sono stati scritti su per giù a quattordici anni. Insomma possiamo considerare l’aspetto giocoso il tratto originario di una poetessa che si è sempre tenuta a grande distanza da ogni concessione al sentimentalismo, preferendo una lirica sostenuta dall’ironia e dal paradosso.Ceccherelli distingue tre macrocategorie di testi, divisi per tematiche: giochi poetici, componimenti ispirati all’attualità sociopolitica, poesie che indagano l’esistenza individuale. Come osserva il curatore, nonostante le poesie disperse non si prestino ad alcuna descrizione strutturale «mostrano legami di vario tipo con il canone d’autore». Quindi comunanza di motivi, immagini, ripresa di strofe fino alla vera e propria riscrittura. Chi conosce l’opera della poetessa non potrà non individuare alcuni versi di Grande numero o Il bacio del milite ignoto, qui proposti nella loro forma originaria, di cui poco si è salvato. D’altra parte sono veri e propri documenti che confermano il suo metodo, la riscrittura di quelle idee che appuntava sul suo taccuino, idee e immagini che riteneva degne di sviluppo. Riscrittura ma non solo. Il confluire di alcuni versi o argomenti di questi testi finora sconosciuti su poesie già pubblicate e quindi ritenute compiute, dà la possibilità di stabilire una datazione. È il caso dell’inedita La tribuna, una satira molto vicina alla già conosciuta Parata militare (1976), quindi con tutta probabilità composta anch’essa negli anni ’70. Le connessioni intertestuali sono molteplici, per tematiche, certo, per l’impiego di versi già scritti (non ancora dati alle stampe), ma soprattutto per quella dimensione – metafisica da una parte, materica dall’altra – che è già in nuce in quest’opera inedita. Così riconosciamo l’autrice che ha fatto della poetica degli oggetti la perfetta soglia di un linguaggio esistenziale. Se poesie come Museo ci dicevano con impeccabile eleganza come anche le cose ci supereranno, in questi inediti individuiamo metafore acutissime nell’osservazione di un semplice bicchiere, un bricco, una chiave o una teiera. Ma insomma Szymborska ha reso materica anche l’anima (Qualche parola sull’anima). Qui possiamo godere dei tanti “prequel”. Basti un titolo: La poetessa ai suoi utensili. Così come non è difficile riconoscere l’embrione dei contenuti metapoetici, primo fra tutti Racconto antico, una versione alternativa alla nota Gioia di scrivere.La raccolta ci restituisce anche lo sviluppo di una tempra filosofica sempre più collettiva, meno individuale. Ma è già presente, in queste poesie per la prima volta tradotte in Italia, il cuore e motore della sua opera, la straordinaria capacità di rendere tutto un niente. Stupirsi sempre, era il suo motto. Perché la vita ha molti più particolari – scriveva nel suo taccuino – della morte.