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 2025  marzo 08 Sabato calendario

C’è del femminismo nel sogno bianco di abbattere l’Islam

A causa dell’immaginario che ritrae gli uomini musulmani e l’islam come intrinsecamente patriarcali, la liberazione delle donne musulmane viene anch’essa pensata come direttamente connessa all’assimilazione alla bianchezza secolare europea, invece che all’ottenimento di una giustizia secondo i nostri termini. Le narrazioni femministe mainstream sulla nostra liberazione, per esempio, raramente includono il rovesciamento del suprematismo bianco. Piuttosto, le storie di successo di ex musulmane, come quella di Ayaan Hirsi Ali, mostrano l’apice della fantasia femminista bianca a noi riservata: abbandonare l’islam segna la più piena libertà, spesso rappresentata dalla rimozione dell’hijab.In effetti è rivelatore che l’abbigliamento delle donne musulmane venga simultaneamente costruito come il metro che determina il nostro grado di libertà e civilizzazione. Il modo in cui ci relazioniamo con ciò che indossiamo è reso irrilevante. Inoltre, la somiglianza tra l’islamofobo che strappa via l’hijab a una donna e i discorsi femministi e/o assimilazionisti che tentano di fare la stessa cosa è spesso trascurata.Si è molto discusso del paragone fatto dall’allora primo ministro inglese Boris Johnson tra le donne che indossano il niqab e le «cassette postali» o i «rapinatori di banche». I suoi commenti oggettificanti e criminalizzanti hanno provocato un aumento del 375% degli attacchi islamofobi contro le donne. Nonostante questa violenza autorizzata dallo stato venga condannata da molte persone, essa viene generalmente accettata quando è facilitata dalla legge. L’indifferenza pubblica a tutto ciò è in parte determinata da una storia più lunga, in cui la rimozione degli abiti delle donne musulmane è stata costruita come liberatoria.Alla fine degli anni ’50, durante la guerra di indipendenza algerina, i colonizzatori francesi organizzavano delle “cerimonie di svelamento” in cui gli algerini venivano radunati e portati ad assistere allo “svelamento” delle algerine da parte delle mogli degli ufficiali militari francesi. Queste cerimonie erano intese come una dimostrazione simbolica del successo delle forze francesi. Erano anche un modo per soddisfare la fantasia patriarcale di “accedere” ai corpi delle donne musulmane e, nel farlo, “evirare” gli uomini musulmani. Le voci delle donne, i loro bisogni e desideri, erano irrilevanti; alcune venivano addirittura pagate per partecipare.Nel 2001, Oprah Winfrey “svelò” una donna afghana su un palco, a New York, durante un evento per porre fine alla violenza su donne e bambine. Questo svelamento simboleggiava un’altra conquista imperialista che, ci viene detto, avrebbe liberato le musulmane: immagini di donne in burqa erano state fatte circolare ampiamente quell’anno per alimentare il consenso pubblico nei confronti dell’invasione dell’Afghanistan, anch’essa presentata come una missione di liberazione delle donne. I successivi decenni di guerra, spostamenti forzati e distruzione sono raramente discussi come processi che opprimono e violano le donne musulmane.In effetti, il femminismo mainstream spesso propone l’uguaglianza in termini neoliberali, imperialisti ed etnonazionalisti. Celebra le donne che combattono negli eserciti statali, che ricoprono posizioni di potere negli stati imperialisti o diventano amministratrici delegate di multinazionali che sfruttano il lavoro delle donne nel Sud globale. L’uguaglianza concepita in questi termini lascia la maggior parte delle donne del pianeta sfruttate, povere, sfollate, invase, senza documenti e perseguitate; si limita semplicemente a rimpiazzare un colonizzatore con un altro, colludendo con la violenza razziale come fecero le mogli dei militari francesi negli anni ’50. (...)Quando la liberazione delle donne è scollegata dalle condizioni materiali, le nostre vite non diventano più vivibili. Piuttosto, veniamo ridotte a meri simboli. In Svizzera, per fare un esempio, il divieto del niqab negli spazi pubblici è stato approvato l’8 marzo 2021, durante la giornata internazionale della donna, con il sostegno del 51% degli elettori, nonostante solo circa trenta donne in tutto il paese indossassero il niqab. Nel frattempo, in quel periodo, indossare le mascherine facciali a causa del Covid-19 era obbligatorio. Questo rafforza l’idea di quanto questi divieti abbiano poco a che fare con la libertà, la sicurezza o il femminismo. Piuttosto, mirano ad aumentare il sostegno ai governi attraverso un etnonazionalismo e un’islamofobia sfrontati.Alla base di questi interventi sull’abbigliamento delle donne musulmane c’è una profonda ansia che riguarda l’Occidente stesso. Il fatto che potremmo voler coprire i nostri corpi è impensabile perché mette in crisi l’idea secondo cui le concezioni secolari e liberali di “libertà” sarebbero universali. Il fatto di non legare la nostra libertà alla necessità di renderci intellegibili allo sguardo maschile bianco sessualizzante, ci rende “insopportabili”. Se i cosiddetti movimenti di liberazione non sono in grado di fare i conti con questo, vuol dire che non cercano la nostra liberazione dall’ingiustizia ma la nostra liberazione nella colonialità.