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 2025  marzo 08 Sabato calendario

"Vi racconto nel dettaglio cosa significa per un uomo odiare e umiliare le donne"

Se si volesse raccogliere tutta la misoginia del mondo e imbottigliarla nel corpo di un unico uomo, il risultato sarebbe Dokter, il vecchio, rancoroso e violento protagonista di Il sari verde di Ananda Devi. Dal suo letto di morte, caduti i veli della decenza, la voce del carnefice, ormai scarnificato e nudo, può finalmente slabbrarsi e dare sfogo a tutta la rabbia e il disprezzo nei confronti del genere femminile in generale, e delle tre donne che hanno avuto la sventura di abitare la sua casa in particolare.Su di loro – prima la moglie, sposata quando era un’ingenua e ridanciana ragazzina, poi la figlia ribattezzata Kitty e fatta serva per tutta la vita, e infine la nipote Malika, da cui arriva la sfida allo strapotere patriarcale – ha imperversato fino a giungere, malato terminale, su quel capezzale. Botte, insulti, torture psicologiche e fisiche. E, pure, un’ombra sulla scomparsa della moglie, colei che un tempo indossava il sari del titolo.Quella del Dokter, un Barbablù legittimato dal titolo onorifico – per la verità, un medico da nulla, che se salva è solo per pura casualità – è una delle voci d’odio più potenti apparse in letteratura. Che quando è della migliore qualità, come in questo caso, non può fare altro che interrogare, perché le risposte è la società che deve darle.L’autrice, che ha scritto una ventina di libri e vinto numerosi premi, viene da Mauritius e da anni vive in Francia. Quasi tutti i suoi romanzi, compreso Il sari verde, sono ambientati nella sua isola natale, anche se qui l’isola non si vede praticamente mai, perché l’intera vicenda rimane chiusa tra le quattro pareti, purulenti e claustrofobiche, di quell’ultima stanza. Più volte, dice Devi, le hanno fatto notare che in ciò che scriveva c’era sempre un eccesso di violenza, e ogni volta lei ha ribadito che in un mondo in cui le donne vengono violentate ogni giorno lei non capiva proprio come la sua visione potesse essere anche solo considerata eccessiva.Il sari verde, la cui lettura andrebbe prescritta ad almeno metà della popolazione terrestre, ha due livelli di interpretazione: il primo segue la narrazione del protagonista, per il quale quella violenza dovrebbe essere chiamata «amore», il secondo quella di chi legge ed è invece consapevole dell’orrore. Il finale arriva con coerenza e lucidità. Dice Devi: «Non volevo applicare alle donne lo stesso modo di comportarsi degli uomini». Del resto è stata la femminista Audre Lorde a dire che «non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone».Solo una donna avrebbe potuto descrivere in maniera così vivida e spietata la misoginia di un uomo. È d’accordo?«Alcune persone mi hanno detto che è stato un bene che a scrivere un libro di questo tipo sia stata una donna, perché altrimenti i lettori avrebbero potuto confondere le opinioni espresse dal protagonista con quelle dello scrittore stesso. Penso che in un certo senso sia vero, e che essendo una donna ho potuto essere più lucida su che cosa significa odiare le donne, umiliarle nel profondo».Ha ricevuto critiche da lettori maschi?«Non proprio. Alcuni hanno detto che leggere è stato come ricevere un grosso colpo. Ma sono state soprattutto le donne a sentire più profondamente la storia, perché hanno riconosciuto esattamente quel tipo di violenza».A tratti però è come se gli osceni pensieri del Dokter riuscissero ad avvincerci, a manipolarci. Perché?«In effetti ci sono dei momenti in cui per lui si prova quasi una forma di “simpatia”, per la vita difficile che ha avuto da piccolo. Volevo che soprattutto i lettori maschi pensassero: “Ah, ma anch’io la penso così, a volte, sulle donne” e, anche, provocare una riflessione più generale, perché tutti abbiamo la tendenza a giudicare molto facilmente le persone, a disprezzarle. Penso che la ragione per cui il dottore risulta un personaggio affascinante è proprio perché è sì un mostro, ma allo stesso tempo ci riconosciamo in alcune cose che dice».Lei ha raccontato di essere cresciuta in una famiglia amorevole, con un padre che leggeva poesie e racconti a lei e alle sue sorelle. Dove nasce, allora, la figura di questo padre?«Quella de Il sari verde è una storia che avevo dentro di me fin da quando avevo 10 anni, da quando cioè mia mamma mi aveva raccontato di un uomo che conosceva e che, una volta, in preda alla furia aveva rovesciato del riso bollente sulla testa della moglie. Quell’immagine, una donna impietrita sotto una colata di riso ustionante, non se ne è mai più andata dalla mia mente. Mia madre aveva aggiunto anche che, dopo, la donna era andata a mettersi a letto e non si era alzata mai più. In un certo senso, credo che questo fosse in fondo l’unico romanzo che mi sentivo in dovere di scrivere, ed è per questo che mi ci è voluto così tanto tempo. Il rischio era che poi non riuscissi più a scrivere altro, ma per fortuna non è successo».È stato difficile o doloroso identificarsi con lui?«Una volta che ho capito che doveva essere la sua voce che raccontava, è venuto tutto abbastanza facilmente. Sono rimasta nella sua mente a lungo, guardando le cose dal suo punto di vista. È stato dopo che ho trovato molto difficile rileggerlo, ritornarci sopra»."Il sari verde” è uscito per la prima volta nel 2009, eppure è più attuale che mai. Ci eravamo illuse che le cose, dopo il MeToo, potessero migliorare, e invece.«Appartengo a una generazione per cui la liberazione femminile è stato un obiettivo molto importante e che, a un certo punto, aveva iniziato a credere che le cose stessero davvero cambiando: non ovunque, certo, ma in molte parti del mondo alle donne è stata in effetti concessa più libertà. Poi, lentamente, ho visto tutto scivolare di nuovo verso il basso. Quei diritti che pensavamo acquisti in effetti non lo erano. Certo, il movimento MeToo ha ridato la voce ad alcune donne, ma allo stesso tempo ha visto il formarsi di una specie di “resistenza” da parte di alcuni uomini che hanno pensato che si stava andando un po’ troppo oltre. Viviamo in tempi pericolosi, da tutti i punti di vista. I social media hanno aperto la porta a ogni sorta di linguaggio di violenza e odio contro le minoranze, i migranti, le donne, i neri, e questo linguaggio sta diventando ogni giorno sempre più potente, tanto da sovrastare ogni altra voce. Ecco perché penso che sia importante che la letteratura continui a toccare i sentimenti della società e a farla riflettere».Nel romanzo, a far andare definitivamente su tutte le furie il nonno è il racconto, ricco di dettaglisessuali, che Malika gli fa della sua relazione lesbica con una donna dalla pelle “nera nera”. Lo fa per rovesciare il potere del patriarca, andando anche a sobillare il suo istinto razzista?
«Che due donne stiano insieme, per il protagonista, è l’epitome dell’orrore, del sacrilegio. Qualcosa di quasi impensabile, e ancora più perché l’altra è una nera. Sfidare il patriarcato, ridefinire gli stereotipi femminili, quelli che ci vogliono da sempre passive, silenziose, intrappolate nelle tradizioni, sottomesse e perfino grate di fare da serve agli uomini, è un po’ una costante in tutto ciò che scrivo. Anche se ho avuto la fortuna che tutto ciò non riguardasse la mia vita, ho sempre trovato più importante guardare al resto della società. Ma sa qual è la cosa più triste? Che, pur scrivendo da ormai 50 anni, sono ancora qui a pensare: “Mio Dio, non stiamo imparando niente. Gli uomini non stanno imparando niente"».
Ha detto che nelle società tradizionali “il desiderio femminile non esiste”.
«Il problema non è che non esiste, ma che non viene riconosciuto. E a volte dalle stesse donne. Anche nelle società occidentali, che sono più liberali, è solo di recente che si è iniziato a parlare apertamente di mestruazioni, vagina, menopausa, tutti argomenti tabù considerati una specie di sancta sanctorum e confinati tra donne. Invece è importante parlarne, perché siamo il 50% della popolazione mondiale! Il discorso sul desiderio femminile è molto importante, così come riappropriarci del nostro corpo e del nostro piacere sessuale. Ma mi rendo conto che siamo molto, molto lontane da questo. Prendiamo gli Stati Uniti dove l’aborto, dopo decenni, potrebbe tornare illegale, o l’India, uno dei Paesi con il maggior numero di stupri in tutto il mondo. Non sono molto ottimista, in realtà, ma spero ancora che le cose possano cambiare. Sempre che la smettiamo di usare lo stesso vecchio modello di società patriarcale».
Oggi è più che mai necessario che le voci che parlano di giustizia e rispetto vengano ascoltate. Ma
come è possibile farsi sentire contro la violenza di chi sta prendendo in ostaggio l’intero pianeta?«È una domanda che mi pongo anch’io ogni giorno. Non so quanto scrivere o parlare di queste cose possa, concretamente, servire a fare cambiare le cose nel breve tempo. Ma non farlo significherebbe accettare e sedersi. Dobbiamo continuare a crederci, e non stancarci di farlo».