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 2025  marzo 10 Lunedì calendario

Carlo Pernat: “I miei Gp da Mitterrand a Mick Jagger. Valentino Rossi? All’inizio non lo volevano

«Non ho rimpianti, solo ricordi» sorride Carlo Pernat, 46 anni vissuti fra i motori. Il cross con la Gilera, l’ingresso nella velocità con la Cagiva, gli anni d’oro di Aprilia e poi i piloti, tantissimi: da Valentino Rossi a Max Biaggi, da Loris Capirossi a Marco Simoncelli, e ancora Andrea Iannone, Enea Bastianini. «Ho vinto 13 titoli mondiali», ricorda mentre inizia a raccontare la sua storia, per cui non basterebbe un libro.
Più di lei ha vinto solo Giacomo Agostini.
«Però lui come pilota, vale di più (ride). Anche se fare il manager non è facile, devi scovare i piloti, crederci. In Aprilia nessuno voleva Valentino, ci misi giorni a convincerli. Mi chiamò suo padre Graziano, andai Misano per vederlo correre. Per come guidava, capii subito che o era un pazzo o era un campione. Mi innamorai di lui anche per la sua simpatia e gli offrii un contratto di tre anni per quasi 300 milioni di lire».
Rossi e Biaggi, i due storici rivali: lei ha vinto con entrambi.
«Max era quello che aveva portato il motociclismo fuori dai circuiti, in tv. Quei due iniziarono a litigare presto, in un ristorante a Suzuka, ma era nell’aria. Valentino riuscì a battere Biaggi perché gli trapanò il cervello, come fece con tutti i suoi avversari, capiva i loro punti deboli e picchiava su quelli. Devo tanto a Rossi, avevo mandato via Biaggi e se Valentino non avesse vinto il titolo in 125 forse sarei stato licenziato dall’Aprilia. Lo devo ringraziare, anche se poi gli dissi un no».
Come mai?
«Mi chiese di fargli da manager, ma in quel momento ero il direttore sportivo di Aprilia ed era impossibile per me. Se tornassi indietro cambierei la mia risposta, ma Valentino ha vinto tanto anche senza di me».
Un altro nome: Marco Simoncelli.
«Non l’ho scoperto io, lui e suo padre Paolo mi cercarono e ci incontrammo in hotel a Istanbul. Ero felicissimo dell’offerta, perché Marco era fortissimo e simpaticissimo, era un altro Valentino. Feci un po’ il prezioso, ma dopo una settimana firmammo il contratto. Con Marco stavo bene, era un ragazzo vero, anche ingenuo se vogliamo. Mi ricordo che, quando eravamo a pranzo, se vedeva dei tifosi ad aspettarlo rinunciava a mangiare per andare a firmare gli autografi».
Cosa ha significato per lei la sua scomparsa?
«Dopo essere tornati dalla Malesia, ero spesso a casa dei suoi genitori, dormivo nella camera di Marco, al primo piano. Nei primi giorni ho assistito a scene incredibili, arrivarono un pezzo della pista dell’aeroporto di Caselle con la scritta “Sic”, una coppia dalla Spagna solo per stringere la mano al papà e poi lettere dei bambini, tantissime e bellissime. A un certo punto, Paolo dovette mettere un cancello per quanta gente c’era».
Come ha superato quella tragedia?
«Succedevano cose strane. Spensi il telefonino dopo l’incidente e, quando lo riaccesi due giorni dopo, il primo messaggio che mi apparve era di Marco, c’era scritto: “Ci vediamo dopo”. Un segno: mi venne in mente l’idea della Fondazione. In quel momento volevo smettere con le corse, ma io e Paolo ci salvammo convincendoci l’uno con l’altro. Sua moglie Rossella ci diede la forza».
Anche i piloti furono profondamente colpiti.
«Il primo che arrivò a casa e abbracciò Paolo fu Andrea Dovizioso, che era sempre stato rivale di Marco. Valentino, invece, non venne per due mesi, si sentiva in colpa. Non è stato più lo stesso e secondo me ha ancora Marco nella sua testa. È grazie alla loro amicizia se esiste la sua Academy, quella da cui sono usciti piloti come Bagnaia».
Chi è il pilota a cui si sente più legato?
«Loris Capirossi è il pilota, è il motociclista della porta accanto, una persona vera. Qualche anno fa mi operarono, quando mi svegliai la mattina la prima persona che vidi di fianco al mio letto era lui».
Ha tradito le moto solo per il «suo» Genoa.
«Mi fecero un contratto di tre anni come responsabile marketing e comunicazione, ma me ne andai dopo sei mesi. Ho fatto un errore dettato dalla passione, ma trovai un mondo che non era il mio. Dall’alta parte della barricata, vidi delle cose che non mi piacevano da tifoso».
Non è mai sceso a compromessi?
«Ho sempre fatto quello che volevo, ho sempre seguito la mia passione. Se ho un consiglio da dare è che bisogna sempre fare quello che uno sente, altrimenti nascono i rimpianti. Io mi sono soprattutto divertito e ho incontrato delle persone incredibili, dal presidente francese Mitterrand a quello dell’Argentina Menem. E anche Mick Jagger».
Ha un’anima rock?
«Nel 1982 Gilera sponsorizzò il tour dei Rolling Stones in Italia e me ne occupai io, non posso raccontare tutto quello che vidi dietro quel palco. George Harrison dei Beatles, invece, era un mio fan e mi chiese un autografo, io non lo riconobbi e mi inginocchiai per farmi perdonare. Mi piace la musica, con Baccini commentiamo le partite del Genoa, De André era un amico».
Ha un ricordo di De André?
«Nel 1998 lavoravo per il Genoa e volevo fare una grande festa in cui avrei invitato tutti i tifosi della squadra. Così chiamai Fabrizio per dirglielo e lui mi spiegò quali fossero le condizioni della sua salute. Certi ricordi sarebbe meglio non averli».
Come vive Pernat fuori dai circuiti?
«Faccio l’opinionista, qualche anno fa ho scritto un libro, “Belìn, che paddock”. C’è sempre qualcuno che mi chiama, vuol dire che ho lasciato un bel ricordo, anche se vorrei essere ancora in pista. Purtroppo la salute mi costringe a casa».
Non è un nostalgico?
«La MotoGp mi piace ancora. L’epoca migliore è stata quella delle 500 2 tempi, quando i piloti contavano di più. Ora siamo andati verso la Formula 1, il pilota deve fare anche l’ingegnere. Seguirò sempre le moto, smetterò solo quando correranno quelle elettriche, al rumore non rinuncio (ride)».
Bagnaia o Marquez, su chi punta per il titolo della MotoGp?
«Avevo dato favorito Bagnaia e non cambio idea, però Marquez ha superato problemi fisici che avrebbero fatto smettere altri piloti, la sua è una scommessa, vuole vincere. Nella prima gara in Thailandia Pecco ha preso uno schiaffo, non deve porgere l’altra guancia. Mi aspetto una bella lotta».