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 2025  marzo 10 Lunedì calendario

F35 e F16, sistemi Patriot, software e radar: Europa in balìa di Putin se Trump ci “spegne” le armi

Nell’ormai celebrato (ma nei fatti spesso ignorato) “rapporto Draghi”sulla competitività dell’Europa, alcune linee molto importanti sono dedicate al problema europeo sulle armi. L’affidamento dell’Europa a partner stranieri (prevalentemente agli Stati Uniti) è ancora fondamentale per ottenere tecnologie all’avanguardia in settori come gli intercettori per la difesa missilistica a lungo raggio o gli aerei di quinta generazione. E questo, ovviamente, ci espone a una notevole vulnerabilità.
Non si sa se Mario Draghi avesse in mente già lo scenario dell’amministrazione Trump-Vance-Musk, fatto è che il problema non è solo rappresentato da armi e componentistica di queste armi americane, ma anche software, e dati satellitari: al punto che ormai dobbiamo porci brutalmente una domanda, che cosa accadrebbe (accadrà) se gli Stati Uniti di Trump disabilitassero/disabiliteranno una serie di servizi che sono fondamentali per far funzionare in Europa quelle stesse armi che ci hanno venduto?
Assumere gli Stati Uniti come un paese nemico sembra quasi un’eresia, pe il nostro sistema di alleanze storico, ma tutto sta cambiando alla velocità della luce in queste settimane, e è evidente che tutte le difese europee ormai si stanno ponendo in questo scenario (benché non attuale, tantomeno auspicato). Proviamo a rispondere con dati alla mano, ascoltando innanzitutto un generale italiano che, sotto richiesta di anonimato, ci spiega come punto di partenza che «il problema si porrebbe soprattutto per gli F-35 e i Patriot». Dobbiamo davvero temere che Trump ce li inabiliti, in un certo senso ce li spenga? Stiamo ai fatti, ai dati. Negli ultimi cinque anni i Paesi europei della Nato hanno più che raddoppiato le loro importazioni di armi, di cui oltre il 60% sono stati acquisti di armi statunitensi. Il 55% delle importazioni di difesa dell’Europa tra il 2019 e il 2023 proviene dagli Stati Uniti, in forte aumento rispetto al 35% dei cinque anni precedenti, secondo lo Stockholm International Peace Institute (SIPRI). «Le importazioni dagli Stati Uniti sono aumentate e gli stati europei della Nato hanno quasi 500 aerei da combattimento e molte altre armi ancora ordinate dagli Stati Uniti», spiega Mathew George, responsabile del programma sui trasferimenti di armi del SIPRI (è vero che la Francia è quello che si sta più attrezzando per competere, Parigi triplicato le esportazioni verso il resto d’Europa rispetto al periodo 2015-19, arrivando a un 9,3% soprattutto grazie alla vendita del caccia Rafale a Grecia e Croazia e alla fornitura di armi all’Ucraina, ma ciò è ancora imparagonabile agli acquisti europei dagli Usa).
Stiamo quindi ai caccia: secondo i dati dello US foreign military sales (FMS), che La Stampa ha consultato, Lockheed-Martin avviò nel 2001 un programma di sviluppo dell’F-35 che dichiarava l’obiettivo di produrre 2866 F-35 in 40 anni. L’obiettivo è poi sceso a 2470, a causa di significativi aumenti nei costi. Ora, per capirci: dall’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, Lockheed Martin ha ricevuto contratti dal FMS per la produzione di 150 nuovi F-35, di cui oltre il 75% corrisponde a contratti con nazioni europee. Qual è il problema? Per farla breve, con questi contratti quasi sempre le nazioni europee (eccezione virtuosa l’Olanda) hanno anche acquistato, come è prassi, servizi e piattaforme americane, necessarie per far funzionare quelle armi. Il programma di F-35 in Europa viaggiava con un sotware, sviluppato da Lockheed Martin per il Pentagono, Alis, che a partire da luglio 2021 sta ricevendo sostituzioni o aggiornamenti con un nuova piattaforma, chiamata ODIN Base Kit (OBK), sia negli Stati Uniti sia in Europa. Le basi che l’hanno già ricevuta sono Naval Air Station Lemoore, California, Nellis Air Force Base, Nevada, Hill Air Force Base, Utah, Eielson Air Force Base, Alaska, Marine Corps Air Station Miramar, California, Marine Corps Air Station Beaufort, Carolina del Sud, Stabilimento Lockheed Martin Aeronautics, ft. Worth, Texas, base aeronautica di Eglin, Florida, base aeronautica di Luke, Arizona, di Edwards, California, base aerea di Amendola, Italia, base navale di Portsmouth, Regno Unito. Per dire di quanto l’Italia stessa (oltre ovviamente al Regno Unito) sia considerata rilevante e strategica in Europa.
Parliamo di tutto ciò che consente a un caccia in Europa di decollare, sganciare missili, tornare alla base. Tutto. Washington con Trump e Musk terrà acceso questo software e i relativi costanti aggiornamenti per noi?
Naturalmente, sarebbe economicamente folle per gli Usa rinunciare al (o alienarsi il) mercato industrial-militare europeo: attualmente gran parte delle armi prodotte dagli Stati Uniti, come i proiettili per carri armati e artiglieria, i missili anti-aeree, le loro componenti, sono venduti o a paesi europei o a Israele. Ma con la nuova Washington siamo entrati nella sfera del tutto è possibile. Stesso discorso per il caccia F-16V Fighting Falcon: tutte le capacità di guerra elettronica rimangono sotto la supervisione degli Stati Uniti. O per il drone “MQ-9 Reaper” (l’Italia ne usa attivamente, dalla base di Sigonella): il “Reaper” funziona attraverso collegamenti satellitari controllati dagli Stati Uniti, che possono essere disattivati. Paesi come Danimarca, Norvegia, Regno Unito e Svizzera si affidano quasi totalmente agli F-35 di produzione statunitense per la difesa aerea.
Anche i Patriot sono estremamente vulnerabili e dipendenti dagli Usa: i dati del FMS americano certificano che in cinque contratti dall’invasione russa dell’Ucraina sono stati venduti all’Europa 1119 Patriot (esclusi tutti i missili mandati in Ucraina direttamente dalle scorte del Pentagono). Qui c’è un doppio problema: primo, i software dei Patriot (ogni Patriot costa 13 milioni di dollari), e i dati satellitari dei radar, sono tutti forniti dagli Usa (e dunque revocabili). Secondo, le capacità produttive degli stessi Usa non bastano già più a soddisfare la domanda europea, almeno a questo ritmo di guerra in Ucraina, e di minacce della Russia all’Europa: l’attuale tasso di produzione annuale (fonte Bruegel) è inferiore a 740 – l’obiettivo sarebbe arrivare a 1070 entro il 2027.
Enormemente vulnerabile è l’uso di tank americani per l’Europa. L’attuale produzione annuale dell’M1A2 Abrams degli Stati Uniti è tra 60 e 120 carri armati. Qui il problema non è solo satellitare, ma anche che i sistemi di controllo del fuoco e di puntamento di questi mezzi dipendono dalla crittografia controllata dagli Stati Uniti. Rischiamo di comprare carri armati che non sanno poi più leggere le istruzioni. Armi cieche, inutilizzabili.
Si potrebbe proseguire con altre gravi vulnerabilità di un’Europa dipendente da Stati Uniti nemici, per esempio il sistema di combattimento Aegis in uso sulle navi da guerra europee, che riposano sa software e configurazioni radar forniti dagli Stati Uniti. O i missili a lungo raggio Tomahawk, che sono utilizzati non da paesi Ue ma dall’Inghilterra: l’autorizzazione al lancio e i sistemi di puntamento restano legati alla supervisione degli Stati Uniti.
Senza F-35 e F-16 funzionanti, la superiorità aerea europea sarebbe persa in pochi giorni, benché gli aerei russi siano tecnologicamente inferiori, potrebbero controllare i cieli semplicemente grazie al numero e la possibilità di non dover fronteggiare guerra elettronica. Con Patriot “spenti” l’Europa sarebbe esposta agli attacchi missilistici russi con davvero poca protezione. E a quel punto, davvero, dovremmo sperare nelle testate nucleari di Macron e della Royal Navy inglese.